La radicalità di un pensiero semplice

27 Luglio 2015

Con questo articolo di Alessandro Zaccuri proseguiamo la discussione, avviata con l’articolo di Francesca Rigotti, sulla recente enciclica papale Laudato si’ con interventi di credenti e non credenti, filosofi, teologi e saggisti.

 

 

«Abbiamo suonato il flauto e non avete danzato, abbiamo cantato il lamento e non avete pianto»: riportato sia da Matteo (11,17) sia da Luca (7,32), questo detto di Gesù può tornare utile nella sua magistrale ironia – chi ironizza è infatti il Maestro – per valutare alcune delle reazioni che l’enciclica Laudato si’ sta suscitando. Troppo incline ad assumere le posizioni del movimento ecologista secondo una parte del mondo cattolico, troppo sospettosa nei confronti del «paradigma tecnocratico» (n. 106) secondo una parte della comunità scientifica. In una lettera aperta apparsa il 15 luglio sul quotidiano “Avvenire”, per esempio, un gruppo di accademici illustri – tra cui Giulio Giorello, Telmo Pievani ed Edoardo Boncinelli – si domandava se l’insistenza di papa Francesco sul predominio della «tecnoscienza» (n. 107) non adombrasse il rischio di un nuovo “caso Galileo”, e cioè l’assoggettamento della ragione a una mentalità fideista e, da ultimo, autoritaria.

 

Preoccupazioni legittime, per quanto in buona misura ridimensionate da altri passaggi dello stesso documento (al n. 102, citando Giovanni Paolo II, la scienza e la tecnologia sono elogiate come «un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio»). La mia personale impressione, però, è che un testo come Laudato si’ richieda una diversa chiave di lettura, nello stesso tempo più semplice e più radicale.

 

Questa è infatti la prima enciclica in cui la Chiesa cattolica, universale per definizione, adotta una visione non più eurocentrica o, se si preferisce, radicata esclusivamente nella cultura occidentale. Papa Francesco opera un ribaltamento tra Nord e Sud del mondo, ma non necessariamente una contrapposizione, se non altro perché ormai, per effetto della globalizzazione (tema molto ricorrente nel documento) Nord e Sud mutano continuamente di posto anche sulla carta geografica. Le società affluenti ospitano al loro interno periferie desolate, mentre Luanda, la capitale dell’Angola, balza di prepotenza in testa alla classifica delle città più costose del pianeta. In questo quadro di conflittualità latente, l’obiettivo di Laudato si’ consiste nel fare sintesi, nel ristabilire punti di contatto basati – ecco il ribaltamento – prima sull’esperienza e poi, di conseguenza, sulla riflessione teorica. Ed è curioso che, in queste settimane di entusiasmi più o meno motivati per la salvaguardia della pericolante eredità ellenica, non si sia sottolineato abbastanza come il sottotitolo dell’enciclica, con quel richiamo alla «cura della casa comune», riproponga alla lettera l’etimologia del termine “economia”, che è appunto nomos, regola, della casa, oikos. Una dichiarazione di intenti subito ribadita, al n. 6, dal richiamo niente affatto casuale al predecessore di Francesco, Benedetto XVI, che già nel 2007 aveva invitato a «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e [… ]correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente».

 

Non è una forzatura, a questo punto, sostenere che Laudato si’, pur non venendo meno al suo statuto di magistero, esprime una ben riconoscibile e a volte addirittura combattiva dimensione politica. Basterebbe a dimostrarlo un brano come il seguente, non per niente fra i più controversi nella prospettiva del cattolicesimo conservatore statunitense: «La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica» (n. 130). Ancora una volta, il dato di esperienza ha il sopravvento. Mai, prima di Laudato si’, un’enciclica aveva riservato tanto spazio ai documenti delle Conferenze episcopali dei Paesi non europei, con una spiccata predilezione per l’America Latina e, nella fattispecie, per il cosiddetto Documento di Aparecida (2007), che si è imposto come riferimento irrinunciabile fin dalle battute iniziali del pontificato di Bergoglio.

 

Quello che sto cercando di dire è che ricondurre lo sguardo di Laudato si’ a categorie teoriche o addirittura di congruità accademica è un’impresa destinata al fallimento, oltre che di scarsa utilità. Non perché Francesco difetti di formazione teologica o più ampiamente culturale, come pure alcuni dei suoi detrattori insinuano. Anche se appena accennato in una nota al n. 83, il pensiero di padre Pierre Teilhard de Chardin costituisce una presenza costante nell’enciclica, tant’è vero che lo stesso concetto di «ecologia integrale» – al quale è interamente dedicato il quarto capitolo di Laudato si’ – rivela più di una consonanza con la nozione di “ambiente divino” elaborata dal gesuita francese. Nello stesso tempo, l’«ecologia integrale» è anche un portato del complesso ramificarsi di posizioni ed esperienze che ha attraversato l’America Latina a ridosso del Concilio Vaticano II, con l’affermazione di quella “teologia del popolo” che, più e meglio della “teologia della liberazione”, aiuta a comprendere esiti e precedenti dell’attività pastorale di Bergoglio. Per schematizzare al massimo, la teologia del popolo fa propria l’istanza di giustizia sociale e di emancipazione dalla povertà da cui muove la teologia della liberazione, ma la declina al di fuori di ogni subalternità all’ideologia marxista, attuando un recupero radicale del dettato evangelico. Da questo punto di vista, uno dei testi che meglio illuminano la genesi di Laudato si’ è il discorso, che a molti è parso sorprendente, rivolto ai “movimenti popolari” convenuti a Roma il 28 ottobre 2014. Dopo aver ribadito il carattere irrinunciabile del diritto a «terra, casa e lavoro», Francesco così commentava: «È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa».

 

Proviamo a soffermarci su un aspetto particolare, ossia la “questione dell’acqua”, sulla quale l’enciclica si diffonde lungamente. Il passaggio più incisivo si trova al n. 30 e così recita: «l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani» (in corsivo nell’originale). Non si tratta di una mera petizione di principio. Francesco scrive tenendo davanti agli occhi la situazione delle villas miserias, i quartieri-baraccopoli della cintura di Buenos Aires ai quali ha dedicato straordinaria attenzione durante il suo mandato di arcivescovo nella capitale argentina. Scrive, inoltre, avendo ben presente la memoria della grandiosa protesta di Cochabamba, in Bolivia, una vera e propria “battaglia” che obbligò il Governo a interrompere il processo di privatizzazione selvaggia che avrebbe reso inaccessibili le risorse idriche a una larga fascia della popolazione.

 

Ribadire che in Laudato si’ l’esperienza viene prima del pensiero non significa affermare che in Laudato si’ il pensiero non abbia importanza. Al contrario, uno degli obiettivi che il documento si pone è la «conversione ecologica», da articolarsi anzitutto come percorso interiore, come riscoperta e riappropriazione di un filone altrimenti trascurato della spiritualità cristiana. Una spiritualità, si sottolinea al n. 216, che «non è disgiunta dal […] corpo, né dalla natura o dalla realtà di questo mondo, ma piuttosto vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che ci circonda»: di nuovo un’eco del “Cristo nella materia” di Teilhard de Chardin, mediata nello specifico dalla lezione di Francesco d’Assisi.

 

Il Papa scelto «quasi alla fine del mondo» non si interpreta con le categorie del mondo che abbiamo conosciuto finora. Lo dimostra l’alternanza stessa di linguaggi che contraddistingue il suo pontificato: le pratiche rigorose della devozione popolare non escludono una propensione per la disinvoltura postmoderna, l’amore per il “parlar chiaro” – che sfiora spesso la schiettezza del proverbio – non impedisce soluzioni di estrema raffinatezza, a partire dalla richiesta di benedizione che il Papa, appena eletto, rivolge dalla Loggia di San Pietro inginocchiandosi davanti al popolo il 13 marzo 2013. È un’arte del fare sintesi, una ricerca di universalità che ha trovato nell’ecologia un ambito pressoché istintivo di espressione. La natura, suggerisce il Papa, è troppo importante per lasciarla agli affaristi e agli specialisti. Se è casa comune, di tutti, allora tutti hanno il compito di occuparsene. Sembra semplice, detto così. Ma a pensarci bene non c’è, oggi, nulla di più radicale.

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