Nuove strade al teatro antico?

23 Maggio 2013

Pensate a un teatro antico tra i più belli d’Italia. E immaginate di vedere sulla scena, proprio mentre il sole tramonta, un cast di oltre trenta attori.

 

Edipo Re, fotografia di Maddalena Giovannelli

 

La rassegna di teatro classico organizzata a Siracusa dall’Istituto del Dramma Antico ha tutte le carte in regola per essere una ghiotta occasione produttiva per registi e attori (specie in tempi di finanziamenti ridotti all’osso e organici di compagnia striminziti) e diventare un appuntamento imperdibile per pubblico e addetti ai lavori. Eppure, il festival si porta dietro l’immagine di un’esperienza un po’ settoriale e anacronistica, ambita da scuole e fanatici del dramma antico, ma distante delle modalità e dalle prassi del teatro contemporaneo. Del resto basta dare un’occhiata alla locandina della rassegna dell’ultima edizione (dall’11 maggio al 23 giugno) per vedere avvalorata questa impressione: una maschera in primo piano, il teatro antico sullo sfondo, e i titoli delle due tragedie e della commedia rappresentate. Del nome dei registi, nessuna traccia; come se l’interesse per le tre rappresentazioni dovesse o potesse essere indipendente dalle professionalità chiamate in causa. Eppure si tratta di nomi conosciuti: basti citare, tra i registi che sono passati dal teatro siracusano nelle scorse edizioni, Massimo Castri, Luca Ronconi, Mario Martone.

 

Donne al parlamento, fotografia di Maria Laura Aureli

 

Le contraddizioni di questa esperienza culturale, tra tradizione e innovazione, sembrano essere esplose con più forza nelle ultime due edizioni: accanto a un modo di guardare il teatro antico che
rischia di essere mera ‘archeologia’ è emerso con maggior decisione un sano slancio verso la contemporaneità. L’anno scorso sono stati chiamati nomi di eccellenza internazionale, che meritavano una considerazione a sé stante: l’archistar Rem Koohlaas, la Martha Graham Dance Company e personalità dall’esperienza poliedrica coma la regista cinematografica Roberta Torre.

 

Antigone, fotografia di Maria Laura Aureli

 

Anche il cartellone di questo XLIX ciclo rispecchia appieno il contrasto tra vecchi stilemi di rappresentazione del classico e l’urgenza di ritracciare strade nuove per riportare alla vita il teatro antico. Sono in particolare le tragedie a fornire due esempi quasi speculari: l’Edipo re di Daniele Salvo (allievo di Ronconi, alla sua terza esperienza all’Istituto del Dramma Antico) è paludato e declamatorio. Non mancano aspetti che vorrebbero dare allo spettacolo un coté più attuale: lo spettro della Sfinge si aggira per la bella scena di Maurizio Balò, dando alla vicenda un sapore onirico e richiamando – almeno nelle intenzioni del regista – un oscuro mondo dell’inconscio alla Dalì. Si tratta però di operazioni di facciata, che generano a tratti un effetto involontariamente comico (il coro di vecchi richiama un immaginario alla Guerre stellari) senza riuscire a svecchiare il testo: nonostante la moderna traduzione di Guido Paduano, resta l’impressione di trovarsi di fronte a un Edipo polveroso e inattuale. Gli attori (tra cui il protagonista Daniele Pecci, e nomi di rilievo come quelli di Ugo Pagliai) offrono un’interpretazione che appare costantemente sovradimensionata; e colpisce vedere vittima di simili stilemi persino Laura Marinoni (Giocasta), appena applaudita per la sua emozionante interpretazione in Un tram che si chiama desiderio di Antonio Latella.

 

Edipo Re, fotografia di Franca Centaro

 

L’Antigone di Cristina Pezzoli è, al contrario, una tragedia intima, misurata, quasi sussurrata. La regista milanese fa della direzione degli attori l’elemento centrale del suo allestimento, con ottimi risultati: Maurizio Donadoni (che interpreta Creonte sia nell’Edipo che nell’Antigone) raggiunge qui una credibilità e un’intensità del tutto assenti nella precedente performance. Ed è proprio Creonte il protagonista di questo allestimento: Cristina Pezzoli ne fa un personaggio di grande potenzialità empatica, alle prese con un conflitto insolubile e doloroso tra la ragione di stato e l’interesse personale. L’eroina più amata del teatro occidentale, la ribelle Antigone (Ilenia Maccarone) è qui una ragazza gelida e monodimensionale; e non stupisce che la regista si sia ispirata per il personaggio alla figura di una terrorista. In questa tragedia delle sfumature c’è posto anche per il comico: strappa risate e applausi la guardia che consegna Antigone a Creonte (Gianluca Gobbi), e trova modalità ironiche persino il Coro (guidato dai bravi Francesco Biscione, Enzo Curcurù, Oreste Valente). La regista consegna quindi al pubblico uno spettacolo coinvolgente, anche se non privo di aspetti irrisolti. A mancare è soprattutto la relazione con l’imponente teatro greco: il coro pare quasi smarrito nella grande ‘orchestra’, e ci si immagina l’allestimento perfettamente contenuto da una tradizionale scatola nera, in un teatro cittadino.

 

Antigone, fotografia di Franca Centaro

 

L’appuntamento più significativo e riuscito è senz’altro Le Donne al Parlamento di Vincenzo Pirrotta: l’attore e regista siciliano restituisce un Aristofane divertente e incisivo allo stesso tempo. Tra battute grevi e sketch comici (in perfetto stile aristofaneo e troppo spesso epurati), c’è spazio per riflettere sulla contemporaneità: la presa del potere al femminile diventa liberatoria ribellione contro ogni forma di violenza sulle donne.

 

Donne al parlamento, fotografia di Maria Laura Aureli

 

A guidare le danze è la straordinaria Anna Bonaiuto, accompagnata da un incontenibile Vincenzo Pirrotta; ma non meno efficaci sono le coreute, che ballano e cantano senza sosta, offrendo un controcanto sempre organico all’azione drammatica. La funzione del Coro, eterna sfida per il teatro contemporaneo, pare così recuperare il suo profondo significato.

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