Non avere paura, mettere paura / «Paventare» si è spostato

2 Dicembre 2016

«Le opposizioni paventano la crisi di governo». La temono o invece la annunciano, la minacciano, la prospettano, la ventilano, la preparano, in fondo la auspicano? La seconda interpretazione è più logica, ma quella linguisticamente corretta è la prima. Ebbene? La lingua cambia e non bisognerebbe patire troppo le distorsioni linguistiche altrui, per non cadere nella Sindrome di Palombella Rossa e finire per prendere a schiaffi inermi giornaliste e urlare: «Le parole sono importanti!» (due reazioni, quale più, quale meno, sicuramente esagerate).

 

Sul caso di «paventare» converrà predisporsi alla rassegnazione: i vocabolari non registrano ancora questa nuova accezione, ma lo faranno presto – che lo si paventi o meno. Si tratta però di un caso tutt’altro che banale. Il verbo significa propriamente «temere» e, con lieve estensione, «prevedere qualcosa di temibile». Cassandra paventa, paventa fortemente. Ma Cassandra sa, per dono degli dèi, dice e non viene ascoltata. Invece oggi chi paventa viene ascoltato, anche se più di tanto non può sapere. Il significato di «paventare» è così piano piano scivolato fino ad arrivare su un terreno che è il suo, cioè fino a significare non più: «aver paura di»; ma: «mettere paura di». L’enfasi oggi non è sulla temibilità dell’oggetto paventato, bensì sul potere di monito del paventare.

Tutti a dirci che oggi la nostra pancia è più importante della nostra testa, e non perché sia importante che nessuna delle due sia vuota (c’è peraltro un programma migliore di questo, per la Sinistra?). La verità è che la pancia ha preso il comando, decide lei. «Paventare», nel senso di «aver paura», non è importante, anzi è consigliabile per le persone di potere e successo «non aver paura di nulla». L’importante è invece saper «paventare», nel senso di «mettere paura», comunicare paura (e magari e soprattutto la paura che non si ha), minacciare; più in generale: mirare alla pancia, emozionare. La pancia ha in effetti un precedente storico nella politica italiana, e proprio alle sue origini: il famoso apologo del senatore Menenio Agrippa contro il ritiro sull’Aventino dei plebei (494 a.C.). Gli organi del corpo non devono scioperare contro l’inerzia dello stomaco, che riceve cibo dalle braccia e non fa nulla, perché è lo stomaco che redistribuirà le energie a tutti. Duemila e cinquecento anni dopo, e rotti, la pancia viene invece usata per istigare alle divisioni e per mandarli, i plebei, su un Aventino separato dalla politica e dalla fisiologia sociale.

 

Le parole sono sì importanti, ma lo sono quando dalla traiettoria delle loro distorsioni, da come si evolve il loro senso, possiamo ricostruire quello che succede al mondo e a come lo configuriamo. «Paventare» si è spostato e, se lo sappiamo, sappiamo con questo che il timore ha cambiato la sua funzione sociale: da sentimento pre-politico, da rappresentare ed elaborare, è diventato oggi finalità che supera la politica, la determina, non le consente di avere orizzonti più larghi né di diffondere pensieri che non siano ansie. Si «paventa» per poi proporre le proprie rassicurazioni. Né si vede un Menenio Agrippa che spieghi, con la ragione, il corretto ruolo della pancia.

 

Articolo pubblicato su Repubblica, il 30 novembre 2016.

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