Lino Musella in scena / Il “giornale notturno” di Jan Fabre

4 Aprile 2019

Una voce di più voci, una voce molteplice, plurale, ricondotta a unità da un corpo. Lino Musella è la dimensione del perpetuo cambiamento inseguito da Jan Fabre, che cura il testo, le scene e la regia della lettura teatrale The Night Writer. Giornale notturno: quel cangiante sconfinamento tra la luce e l’ombra, il sogno e l’incubo, l’uomo e l’animale, la vita e la morte. Seduto alla sua scrivania, l’attore affronta, doma e cavalca tali metamorfosi di spazio e tempo incarnando una sorta di trinità polifonica. Ovvero, Fabre in dialettica tra sé e sé, Musella stesso a colloquio con lui ed entrambi in dialogo con il pubblico davanti a loro. Pare di vedere applicato sulla scena il “catechismo” dell’eclettico e controverso maestro belga, al suo primo lavoro in lingua italiana: “l’arte è il padre / la bellezza, il figlio / e la libertà, lo spirito santo”. La produzione è di Troubleyn/Jan Fabre e Aldo Grompone, in coproduzione con FOG Triennale Milano Performing Arts, LuganoInScena – LAC, Teatro Metastasio di Prato, TPE – Teatro Piemonte Europa, Marche Teatro, Teatro Stabile del Veneto.

 

Jan Fabre, ph. Phil Griffin.


Il palcoscenico del pratese Teatro Fabbrichino è la distesa di un mare prosciugato. Sono sopravvissuti unicamente il sale e quattro “Steine”, i sassi che rappresentano le “brillanti spelonche dello spirito umano”, le pietre miliari delle coscienze e stagioni che furono di uno scienziato, di uno scrittore, di un filosofo e di un dottore. Al centro di questi ricordi cristallizzati, testimonianza e lascito di flutti e flussi, passati e tuttora presenti, si erge lo scoglio dello scrittore notturno. È un tavolo che combina la matericità del legno – le assi del teatro – con la trasparenza del piano in vetro – la scrittura di notte del diario, che rende visibili i “pensieri che non avrei il coraggio di esprimere ad alta voce”. Una pratica che continua ancora oggi.

Al flebile accenno di una nuda lampadina, ossia la realtà sospesa come una spada di Damocle e resa vera luce soltanto dall’illuminazione scenica, l’interprete dice, segna a dito, ripercorre l’universo dell’artista visivo, creatore teatrale e autore fiammingo per come si è rivelato, da solo, al mondo. Infatti, il suo corpus è estratto vivo dai diari personali (raccolti nel Giornale Notturno 1978-1984 e Giornale Notturno II 1985-1991, pubblicati in Italia da Cronopio, che ha da poco presentato il Giornale Notturno III 1992-1998) alternati, pagina dopo pagina, sigaretta dopo sigaretta, a brani di alcune sue opere del periodo 1976-2012 (La reincarnazione di Dio, L’angelo della morte, Io sono un errore, L’imperatore della perdita, Il Re del plagio, Corpo, servo delle mie brame, dimmi…, Io sono sangue, La storia delle lacrime, Le droghe mi hanno tenuto in vita). È come se gli uni fossero lo specchio rovesciato degli altri, al pari di quanto fanno i due emisferi con la notte e il giorno: equilibrio tra gli opposti che definiscono la stessa esistenza naturale (la drammaturgia è di Miet Martens, Sigrid Bousset; la traduzione è di Franco Paris).

 

Lino Musella in The Night Writer, ph. Gianluca Di Ioia.


I fogli del copione, che Lino Musella ha in mano quando entra, dopo essere passato per un fermo immagine istantaneo sulla soglia, sono sistemati di fronte a lui, tra il posacenere, le sigarette, i fiammiferi, le caraffe in vetro (una a forma di teschio), la frutta. E la penna Bic blu. “Voglio instaurare un codice per questi scritti. / Se uso una normale penna biro blu, allora quello che c’è scritto è vero. Se uso una penna / biro rossa, allora è falso. [...] L’unica cosa che non ho potuto avere oggi è stata una penna biro rossa”. Una simile distinzione può ricordare il metodo di Luigi Pirandello per comporre le sue commedie: inchiostro rosso per le didascalie, nero per le battute. Prima di scriverle, se le dettava, pronunciandole una a una. Orio Vergani, testimone oculare della nascita dei Sei personaggi in cerca d’autore, fa un ritratto che, invero, si addice molto alla trasfigurazione di Musella nel carattere di Jan Fabre (peraltro, i due sono incredibilmente somiglianti): Pirandello urlava, ringhiava, singhiozzava o cantava le parole dei dialoghi, a seconda dei casi, con il viso sconvolto da espressioni intense e terribili.

La disperata malinconia del Krapp di Samuel Beckett pare incontrarsi in The Night Writer. Giornale notturno con la calda, fulminante vitalità del cantante da night Tony Pagoda creato da Paolo Sorrentino, alias letterario del Tony Pisapia del film L’uomo in più. Difatti, anche al Fabbrichino ci si rivela cantando: dalla pena d’amare con Amandoti dei CCCP, proposta da Musella in persona durante le prove, alla fedeltà a se stessi con My Way di Frank Sinatra, fino alla felicità di perdersi con Volare di Domenico Modugno (la musica originale dello spettacolo è di Stef Kamil Carlens).

Il mistero della vita intermedia per Fabre risiede proprio ‘nel blu dipinto di blu’. La sua penna blu è l’eco fluida dell’‘Ora blu’, la teoria formulata dal noto entomologo Jean-Henri Fabre per indicare l’istante sospeso in cui la notte svanisce nel giorno, gli animali notturni si ritirano e i diurni si risvegliano. La natura vive nella quiete. Tutto si fonde, confonde, muta. Questo è il momento della trasformazione.

 

Lino Musella in The Night Writer, ph. Gianluca Di Ioia.


L’ombra, comunque nera, dell’attore al tavolo si ritaglia un frame sullo schermo grande in fondo: è la misura teatrale della metamorfosi costante, che cerca di ambire al meglio per sé, come per gli altri. L’interprete si versa da bere e aspira dal pacchetto di nazionali disegnato dal surrealista René Magritte, belga anche lui, il soffio, il respiro di un autoritratto insonne e in rivolta. Scorrono le città, Anversa, New York, Bruges, Basilea, quanto le date, gli anni saltano avanti e indietro. Il ventenne mosso da un’irresistibile volontà di creare contro la meschinità e il conformismo generale, una riga dopo è l’uomo maturo, meditativo e furente, che insiste a combattere la sua battaglia per la bellezza. Senza scampo, né compromessi. “Ogni vera bellezza è scomoda” è uno dei concetti cardine proiettati dietro alla scrivania.

Pensieri, idee, ossessioni lo visitano nella vita diurna, con il suo brusio di idee inarrestabili e progetti ambiziosi, quanto in quella notturna, che Jan Fabre sperimenta in tutta la sua elettrizzante e sessuale intensità. È il luogo di riflessione più propizio, più lacerante e perciò più furiosamente creativo e letteralmente di ‘sanguinamento’. “Ho comprato delle lamette Gillette. E nella mia stanzetta d’albergo mi sono tagliato la / fronte. Ho fatto sgocciolare il sangue del mio pensiero. È diventato una serie di bei disegni. / (Avevo l’eccitante sensazione di star facendo qualcosa di proibito)”. 

L’arte non si realizza, si secerne. È pianto, piscio, sangue, sudore, sperma, sputo. Un orizzonte che pare intercettare la necessità di Antonin Artaud di ‘rifare i corpi’. Il proprio, quello degli attori e quello degli spettatori. Allora, l’opera d’arte di Fabre – una marionetta con le sue fattezze, i tipici occhiali neri e il trench, che sbuca e fuma di tre quarti dalla quinta di destra – guarda l’arte in opera di Musella, che con i capelli ingellati si scolpisce due corna, alla stregua dei busti in bronzo dorato e cera dei Chapters I-XVIII (2010), dove le ramificazioni dell’io artistico prendono le sembianze di attributi animaleschi.

 

Lino Musella in The Night Writer, ph. Gianluca Di Ioia.


Questa espansione arriva a toccare nel profondo gli interpreti, i danzatori e i performer della compagnia Troubleyn/Jan Fabre. ‘Troubleyn’, come il cognome della madre Helena e che in fiammingo antico significa ‘restare fedeli’. “Vorrei potermi moltiplicare. Infilarmi così nei corpi degli attori. Portare i loro corpi come / un costume. E recitare di persona tutte le scene. Userei le loro viscere come materiale / di scena. Ma temo che sia impossibile. E temo che i miei attori vivranno a lungo felici e / contenti”. Espressioni di poetica che, per la verità, assumono tutt’altro significato se lette alla luce dell’intervista rilasciata dalla danzatrice e attivista belga Ilse Ghekiere a Gaia Clotilde Chernetich su Teatro e Critica, in cui si denunciano episodi di molestie sessuali che chiamano in causa Jan Fabre.

Prettamente di Artaud, infine, è l’esigenza che la pratica dello spettacolo cambi tanto l’attore quanto lo spettatore, come ripete spesso l’artaudiano Doc Claudio Ascoli dei Chille de la balanza. Solamente in questo modo il teatro può dirsi tale. “Vorrei che / la rappresentazione agisse come una droga e che il pubblico lasciasse la sala con le / allucinazioni. E che dopo restasse fatto per settimane e settimane”.

Gli spettatori sono il polo d’attrazione dell’intero arco drammaturgico di The Night Writer. Giornale notturno e di quello interpretativo. Lino Musella ha uno sguardo mai fermo, mai domo, il suo tono non vacilla, non indietreggia davanti a niente. È ponte, porta e lancia di turbamenti rabbiosi, dolenti, urticanti. Parla alla notte di Jan Fabre, per farla passare più in fretta come durare di più, a seconda dell’umore. Così, il mare ai suoi piedi è sale da spargere sull’escoriazione tra illusione e realtà oppure ogni lacrima d’arte versata che ci fa tornare uomini in ascolto della lingua dell’altro. Dimenticando la freddezza del cinismo e dell’ironia.

 

Musella non si alza quasi mai dalla sua sedia. Lo fa, però, quando si apre la camicia nera e mostra il petto: vuole essere uno di noi. “Perché? / Perché siete imprevedibili / Per questo le persone sono migliori / degli angeli”. Ripone sul tavolo le quattro “Steine” a ricreare l’asse dell’esistenza, il cervello, che è “frutto di milioni e milioni di anni / di continui tentativi / Del volere qualcosa / ma non potere / ma continuare a tentare / e non rinunciare”.

Perciò, l’ultima sequenza di questa prodigiosa lettura è dedicata al “fallimento totale” de La Schelda, il film del 1988 girato in 35 mm da un rimorchiatore sull’omonimo fiume di Anversa. Più volte iniziata, interrotta e beckettianamente ricominciata, finalmente passa muta sullo schermo grande la ripresa in bianco e nero di tre uomini in barca che provano a remare controcorrente, mentre l’attore osserva l’azione di tre quarti e dopo di spalle alla platea. Fabre medesimo consegna alle acque la frase, in olandese, “Ehi, questa pazzia è fantastica!” e un gufo, entrambi “fatti di vetro colorato d’inchiostro Bic blu”, poi sottratti dall’ineluttabilità del fiume. Giunto l’uccello a essere indistinto dall’orizzonte, tutto si spegne e si chiude.

Il gufo ha una valenza simbolica precisa rispetto alla teoria dell’‘Ora blu’: è l’animale-feticcio, simbolo della saggezza, della chiaroveggenza e messaggero della morte. Qui messo a solcare il letto del divenire, in cui non ci si può bagnare due volte. In definitiva, The Night Writer. Giornale notturno persegue e afferma la rinascita della vita dall’eccesso, dal limite, dalla fine. Come il giorno rinasce dalla notte. E l’arte dal corpo.

 

Ancora in scena l’8 e il 9 aprile al Lac di Lugano e dall’11 al 14 al teatro Astra di Torino con Teatro Piemonte Europa, il 18 al Politeama di Napoli con i teatri Associati di Napoli.

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