Letteratura lacustre

2 Settembre 2014

Gabriele Pedullà, introducendo la prima sezione novecentesca del suo Atlante Letterario Italiano (Einaudi 2012), scrive che le categorie geografiche di linea lombarda, matti padani, barocchi siciliani, scuola romana, piemontesi e einaudiani sono “fondate su criteri spesso incompatibili […] affinità stilistiche, tematiche ricorrenti, appartenenze editoriali o anche solo vincoli affettivi”. Da qualche anno si assiste ad una proliferazione e cristallizzazione di grappoli di opere attorno a un luogo, che molto spesso però sa di non luogo creato su spinta editoriale, per sfruttare un ancipite di successo.

 

Il caso più clamoroso, più tracimante si direbbe, la vogue e vague del lago. Alla base stanno probabilmente i numeri di vendite di Andrea Vitali i quali vanno a loro volta spiegati. Le trame ben costruite, qualche volta (vedi La signorina Tecla Manzi, Garzanti 2004) con l'oggi inevitabile aggiunta dell'indagine poliziesca, seppur sorridente ed inserita nel contesto di voci, pettegolezzi e invidie, relazioni segrete e ugualmente palesi del piccolo paese; e di seguito i personaggi caratteristici, l'atmosfera da commedia dipanata con una lingua piana offrono delle buone ragioni.

 

Il di più ce lo mette il lago che, rispetto alla montagna che forse tende al cupo, alla sorpassata campagna dove si suda, sembra ispirare con l'acqua (“akuaduulza acqua che scàpa e che poe turna indree” per citare Davide Van De Sfroos) un invincibile ipnotismo, al limite dell'intontimento, nel lettore. Una plaga amena, tradizionalmente turistica, ma con una sfumatura talvolta inquietante (ben evidente per esempio nel film di Molaioli La ragazza del lago 2007).

 

 

Questi ingredienti si ripropongono ne Il bacio dell'Assunta di Giovanni Cocco (Feltrinelli 2014), ambientato a Mezzegra, sulle sponde del Lario, nel 1980, dove viene trafugata la statua della Madonna del Carmine e ci si interroga su chi ne abbia richiesto il riscatto. L'ormai mitica Breva (nonché il Tivan, sempre Van de Sfroos) deve aver trasportato spore un po' per tutto il nord Italia, se Laura Pariani situa la sua indagine d'omicidio familiare sul lago d'Orta ai tempi di Dostoevskij (Nostra signora degli scorpioni, Sellerio 2014), laddove il “sereno” luogo, la “vita tranquilla” si twinpikizzano all'improvviso; attendiamo notizie dal lago d'Idro, d'Endine e perché no, scendendo verso sud, dal Trasimeno etc. etc..

 

Qui, come spesso in Vitali, vi è una retrocessione temporale, specie agli anni trenta di un buffo fascismo: così Alessio Mussinelli (Nemmeno le galline, Fazi 2014), sceglie come cronotopo il lago D'Iseo (Sarnico, parte bergamasca, come già Mühlbauer con La Sarneghera, Elliot 2013) nel 1938, anche se candidamente confessa che conta “la vita di pollaio”, non lo sfondo storico. A che serve allora? Forse a ribadire una piccola eternità rassicurante, da guardare con un po' di distanza come in una vignetta guareschiana, che si apre con la battuta “maledetto uccello”, pronunciata da un marito in camera da letto, ma rivolta al merlo del cognato, suo rivale nella fiera aviaria del paese. A cui si può aggiungere il medico in combutta con le pompe funebri, la beghina che adocchia il sacerdote, il carabiniere terrone etc. etc..

 

In ogni buon recensore, che mai si stanca di questo aureo filone editoriale degno dell'oro di Dongo, si cita appunto Vitali e, a ritroso, Piero Chiara. Certo il bar, con relativi perdigiorno, le chiacchiere, i giochi e le avventure amorose figli della noia, sono un elemento comune e però i suoi migliori antieroi avevano uno spessore introvabile negli attuali epigoni, capaci per esempio sul finire del secondo conflitto mondiale di scarti spiazzanti, come il Càmola de Il piatto piange:

 

Aveva vissuto nell'indifferenza i primi anni della nuova guerra e non aveva mutato le sue abitudini. Quasi tutti i vecchi amici superstiti erano partiti per i fronti o per altre imprese, lasciandolo solo a girare per i caffè dove stendeva sui tavolini lunghi solitari di carte aspettando quelli che sarebbero tornati. […] Se ne andò col tram fino alla Malpensata e poi, a piedi, risalì lungo i sentieri che aveva percorso tante volte con la Rina più di dieci anni prima. Arrivato agli avamposti fu accompagnato davanti al comandante che lo accettò fra i suoi uomini. […] Fu trovato un mese dopo in fondo a un piccolo burrone dove era caduto mentre scendeva, forse al buio, lungo il versante nord del San Martino.

 

Forse allora bisogna retrocedere ancor più, approdando al tardo ottocento di Fogazzaro, e non tanto a quello altolocato, oscuro e decadente di Marina di Malombra, bensì al Piccolo mondo antico, con le sue passioni politiche nette e ingenue, i personaggi pettegoli e maligni, le vecchie dure nel tenere nel pugno adunco il patrimonio familiare. Dunque andiamoci ad accomodare sul belvedere di pietra, leggermente rinfrescati dalla brezza, in attesa che ci portino una cedrata con ghiaccio, pronti ad accogliere qualcuno che ci metta a giorno delle nuove tramine locali, così conosciute, magari mentre in barca sfila il fantasma in occhiali da sole di George Clooney.

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