Lo spazio metamorfico della città di Luanda

L’Angola è tra i paesi nel mondo a più alto tasso di crescita economica: a poco più di un decennio della fine di una guerra civile, protratta per oltre 27 anni, il paese vive un forte implemento economico legato alle sue ingenti risorse. Alle impennate del PIL, che interessa parte minoritaria della popolazione, corrisponde un brulicare di cantieri che stanno plasmando il nuovo volto del paese. Emblema della rinascita angolana è la capitale Luanda, un territorio urbano abitato da oltre sette milioni di abitanti che cresce in modo esponenziale. Una vitalità che si manifesta non solo nel proliferare dei commerci e dei nuovi edifici del centro, spesso malamente incastonati tra le tracce architettoniche del passato coloniale, ma anche in un fermento culturale e artistico che produce azioni e forme di rappresentazione identitaria in contrasto con quelle neoliberiste. 

 

Luanda, Encyclopedic City, vista del Padiglione della Repubblica d'Angola, Palazzo Cini, Biennale di Venezia, 2013. Courtesy Padiglione della Repubblica d'Angola.

 

Come la Triennale di Luanda, nata nel 2005 per iniziativa dell’artista e curatore Fernando Alvim, con il sostegno della Fondazione Sindika Dokolo, e nel 2014 alla sua terza edizione, costituisce un laboratorio culturale che osserva e analizza i cambiamenti emotivi ed estetici della società, in rapporto con l'ambiente politico e sociale. La Triennale è una costellazione di iniziative, centri e piccole gallerie che gravitano attorno, hanno dato impulso alla cultura, riflettendo sulla storia dell’Angola e provando a riconciliare il pubblico angolano con la scena internazionale. Per la complessità e rapidità delle sue mutazioni Luanda è esempio paradigmatico dello sviluppo recente di molte aree africane.

 

Edson Chagas, Found not taken, 2013, Luanda, Angola. © E.Chagas. Courtesy Padiglione della Repubblica d'Angola

 

Per aggregare una delle letture molteplici di questa complessità procederemo attraverso il racconto di due esempi di progetti, basati entrambi sulle relazioni ricorsive tra la pratica artistica e la città: partendo da Luanda, Encyclopedic City, il Padiglione dell’Angola, vincitore del Leone d’oro alla 55a Biennale di Venezia e curato da Stefano Rabolli Pansera e Paula Nascimento per Beyond Entropy, agenzia per la produzione regionale, urbana e architettonica che utilizza il concetto di Energia come strumento di ricerca per la progettazione e realizzazione di spazi, per giungere a Mobile A2K: Culture and Safety in Africa, progetto di ricerca cofinanziato da Swiss Network for International Studies (SNIS) di Ginevra e Fondazione lettera27 di Milano, coordinato dalla SUPSI di Lugano, a cura di Iolanda Pensa.

 

Edson Chagas, Found not taken, 2013, Luanda, Angola. © E.Chagas. Courtesy Padiglione della Repubblica d'Angola

 

A Luanda, le straordinarie contraddizioni non possono essere spiegate con modelli architettonici convenzionali: si tratta di una città molto popolosa (sette milioni di abitanti) senza infrastrutture, con uno sviluppo urbano orizzontale, ma con densità abitativa altissima (in certe aree, come Cazenga, le costruzioni non superano il piano di altezza ma la densità abitativa è superiore a quella di Manhattan). Com’è possibile creare un modello per capire questa città? Come può il concetto di Energia essere usato per informare nuove possibilità di abitare lo spazio urbano? Così Stefano Rabolli Pansera racconta lo scenario di Luanda e le ragioni che motivano la ricerca sulla città avviata nel 2011 insieme a Paula Nascimento, direttrice di Beyond Entropy Africa. La capitale luandese è scelta dai due curatori, architetti di formazione, come rappresentativa della polisemia delle aree urbane in Africa, dove ogni spazio è sempre multifunzionale casa, ufficio o locale commerciale nello stesso tempo. Questo ‘spazio metamorfico’ è ciò che Beyond Entropy ha identificato come cifra autentica della spazialità della città africana e che ha ricreato sia attraverso il Padiglione dell’Angola alla Biennale del 2012, un parco naturale che funziona simultaneamente come infrastruttura per la produzione di biomassa e come impianto di fognatura biologico, che con il Padiglione del 2013, un catalogo urbano degli spazi di Luanda.

 

Edson Chagas, Found not taken, serie, 2013, Luanda, Angola. © E.Chagas. Courtesy Padiglione della Repubblica d'Angola

 

Il padiglione di quest’anno espande il tema del Palazzo Enciclopedico alla complessità metamorfica di Luanda, in grado di aggregare moltitudini di spazi e funzioni con l’unità e la riconoscibilità di una forma, unitaria e insieme contraddittoria, conflittuale. Le sale  di Palazzo Cini, sede del padiglione, sono punteggiate da risme di poster, copie del ciclo di 27 fotografie scattate dal reporter Edson Chagas (Luanda, 1977) in diversi angoli di Luanda. Ciascun visitatore può selezionare le stampe e portarle con sé, compilando il proprio catalogo della città. La mostra è il catalogo e il catalogo è la mostra: il pubblico è artefice di un’appropriazione che è ricezione di un dono e insieme composizione di frammenti in una forma nuova, scrittura di racconto visivo nel quale ogni immagine è anche traccia di un’assenza. Le fotografie di Chagas, parte di un più ampio progetto dal titolo Found, not Taken che coinvolge, oltre a Luanda, le città di Newport e Londra, ritraggono infatti protagonisti muti e autosignificanti, oggetti trovati nella città e ricollocati in luoghi altri dello scenario urbano. Il tentativo di creare un sapere universale prende avvio dal cercare di raccogliere e ordinare le cose intorno a noi, spiega Rabolli Pansera. Il lavoro di Edson consiste nel trovare degli oggetti abbandonati e distrutti, nel ricollocarli all’interno del tessuto urbano e fotografarli: una sorta di enciclopedia urbana. L’azione di prendere gli oggetti e riposizionarli nel contesto urbano è indicativa del fatto che ogni enciclopedia è una documentazione tanto quanto una ricostruzione poetica della realtà. Se la cifra autentica della città africana è l’uso metamorfico dello spazio, le immagini di Edson rivelano come oggetti apparentemente irrilevanti possano trasformarsi nella città e, allo stesso tempo, trasformare la percezione della città e informare un nuovo modo di abitarla. Il Padiglione può anche essere interpretato come una messa-in-scena dello stesso meccanismo concettuale di Found not Taken: una serie di oggetti trovati (i poster di Edson) sono localizzati in un nuovo contesto (Palazzo Cini) e fanno scaturire relazioni inaspettate che riattivano lo spazio e lo rendono di nuovo fruibile e vivo.

 

Edson Chagas, Found not taken, 2013, Luanda, Angola. © E.Chagas. Courtesy Padiglione della Repubblica d'Angola.

 

Sulla città africana e sulle sue trasformazioni si concentra anche Mobile A2K: Culture and Safety in Africa, progetto di ricerca interdisciplinare avviato nel 2012. Il programma ha lo scopo di tracciare e valutare l'impatto dell'arte pubblica su tre città africane, Luanda, Douala in Camerun, e Johannesburg, in Sudafrica, scelte per la presenza di importanti esperienze culturali che hanno ridisegnato negli anni il tessuto urbano e sociale.

Johannesburg è una città particolarmente violenta che ha affrontato un processo di gentrificazione significativo per la strategia e per la quantità di opere di arte pubblica prodotte. Racconta Davide Fornari, ricercatore presso la SUPSI e direttore esecutivo di Mobile A2K: Culture and Safety in Africa. Luanda è la capitale di uno stato, l’Angola, uscito da una guerra lunghissima e ricco di materie prime: da una parte ha investito molto in cultura come strumento di propaganda politica, dall’altra ha reso possibile l’intervento di un artista visionario come Fernando Alvim, che ha promosso la Triennale di Luanda come un’enorme installazione site-specific per trasformare la città e ridurre i conflitti. Douala è una città di milioni di abitanti, in condizioni climatiche estreme, dove un’associazione culturale indipendente, doual’art, ha sviluppato un programma di circa trenta opere di arte pubblica negli ultimi venti anni, lavorando su più fronti: landmark e monumenti, narrazioni urbane attraverso la memoria dei toponimi, infrastrutture ‘collaterali’ per la città come ponti, canalizzazioni, sistemi di illuminazione.


 
La metodologia originale, messa a punto nel corso del progetto, ha guidato le ricerche sul campo di tre gruppi di ricercatori che hanno documentato il patrimonio di opere ed eventi sviluppati dal 1991. Gran parte del materiale è disponibile su Wikimedia Commons perché rilasciato con una licenza Creative Commons, in modo da facilitarne la disseminazione e l’accesso.



Fabio Vanin, ricercatore e co-fondatore di Latitude, organizzazione non profit per la ricerca urbana e territoriale e il design, partner del progetto Mobile A2K, ha trascorso un mese a Luanda conducendo interviste a vari attori della scena artistica della città tra i quali: Fernando Alvim e Marita Silva, fondatori e organizzatori della Triennale di Luanda, Simon Njami, curatore della Fondazione Sindika Dokolo, rappresentanti di gallerie di centri culturali, istituzioni locali o straniere come il Goethe Institut, artisti molto noti come Antonio Ole, come Nelo Teixeira, Marcela Costa, o nomi emergenti, come Francisco Vidal e RitaGT, e membri dell’UNAP, União Nacional de Artistas Plasticos. Questo per parlare delle cose che accadono nel centro, che rappresentano un primo livello della scena culturale luandese.  La cosa più interessante che sono riuscito solo ad ‘assaggiare’ è tutto ciò che avviene fuori dal centro, nei bairros, i così detti quartieri informali, zone suburbane spesso pericolose dove però succedono tantissime cose, legate principalmente alla scena musicale, come sessioni spontanee di kuduru, genere musicale angolano molto popolare. Si tratta spesso di manifestazioni non organizzate, che avvengono in maniera un po’ clandestina ma che caratterizzano una gran parte della città e delle aree suburbane.

 

A partire da queste osservazioni Vanin ha progressivamente reso elastica la definizione di arte pubblica per meglio adattarla allo scenario culturale luandese: rilevata l’assenza di opere di arte pubblica permanente, lo studioso ha scelto di far porre l’attenzione sui fenomeni estemporanei e immateriali, più o meno legati alla scena musicale dei bairros, come pure su elementi architettonici e tracce della storia di Luanda, artisticamente marginali ma emotivamente fondamentali nella percezione dello spazio urbano da parte dei suoi abitanti. Come monumenti di epoca coloniale, murales o piedistalli vuoti, tracce residuali della rimozione dei simboli portoghesi da piazze e strade, ‘oggetti’ ai quali la collettività ha attribuito un profondo valore simbolico e che per questo sono attrattori di un cambiamento nei modi in cui il tessuto urbano funziona e viene vissuto.

 

Edson Chagas, Found not taken, 2013, Luanda, Angola. © E.Chagas. Courtesy Padiglione della Repubblica d'Angola

 

I concetti stessi di sicurezza e di qualità dell’abitare sono spesso condizionati da un conoscenza dei luoghi instabile e spesso falsata. C’è una pressione psicologica molto forte su chi vive nei barrios. Ho rilevato come molto venga costruito a fini di propaganda, a causa della mancanza di informazione o della voluta mancanza di informazione. Molti quartieri sono stati da sempre letti e proclamati come pericolosi mentre non lo sono poi così tanto. Questi quartieri tendono infatti ad essere molto ‘introversi’, chiusi in se stessi. Una condizione che alcuni abitanti dei bairros hanno saputo capovolgere, individuando gli strumenti per rappresentare diversamente la propria parte di città. Come nel sobborgo di Marçal, fino a qualche anno fa, tra i più malfamati di Luanda. Qui una rete televisiva informale è riuscita a mostrare come le condizioni di vita fossero assai meno problematiche di quanto percepito all’esterno, modificando l’immagine del quartiere, oggi molto più accessibile e aperto. Quello di Marçal rappresenta solo una tra le esperienze di ripercussioni dell’azione culturale sui modi di vivere le arre urbane. Da una prima analisi comparativa dei dati raccolti da Mobile A2K: Culture and Safety in Africa nelle tre realtà africane, emerge come l’arte pubblica e gli eventi culturali siano in grado di risvegliare l’immaginario simbolico e il senso di appartenenza al luogo delle comunità interessate e, al tempo stesso di attivare processi di infrastrutturazione del contesto urbano.

 

Qui l'intervista a Stefano Rabolli Pansera

Qui l'intervista a Fabio Vanin



Articolo realizzato da Katia Anguelova e Claudia D'Alonzo per lettera27, fondazione non profit nata nel luglio 2006. La sua missione è sostenere il diritto all'alfabetizzazione, all'istruzione e favorire l'accesso alla conoscenza e all'informazione, in particolare Africa.

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