Speciale

Sinapsi dell’anormale / Campioni # 18: Alessandra Carnaroli

24 Maggio 2016

Alessandra Carnaroli

da Ead., elsamatta (Roma, «Syn. Scritture di ricerca» ikonaLíber, settembre 2015, pp. 62,  € 7), p. 9

 

Elsa matta quattrocento sessanta sette membri

 

il lavoro si basa sui commenti postati all’interno di un gruppo fb,

«quelli che una volta gli ha fatto fare la fuga l’elsa matta».

Svago e tragedia normale, quotidiano di una donna matta e dei suoi seguaci fedeli, quasi

[cani.

 

Alessandra Carnaroli (1979) ci ha abituati già da tempo a una scrittura in versi che «fa le fughe», che ci mette in fuga dando voce ai vari volti implicati nella violenza sociale. Di volta in volta quella voce sa adattarsi al bagaglio culturale, all’immaginario e di conseguenza al registro linguistico del soggetto scelto. Chi scrive esemplifica un esercizio di estraniazione da sé, utile in un’epoca di chiusura degli orizzonti attorno a individualismi asfittici; la lettura dei suoi testi offre quindi l’opportunità di mettere in discussione se stessi e le proiezioni più consolidate della realtà esterna. Ne abbiamo di nuovo conferma con la sua ultima pubblicazione: Elsamatta è apparsa alla fine del 2015, non a caso nella collana Syn delle edizioni IkonaLíber, curata e garantita dallo sguardo atipico di Marco Giovenale.

 

Il titolo ci rivela un’identità inscindibile dalla propria diversità, o meglio, dalla propria anormalità, intesa come esclusione dalla società che si considera normale. Le prime pagine rivelano immediatamente il meccanismo genetico della raccolta: un montaggio di post tratti dal gruppo facebook «quelli che una volta gli ha fatto la fuga l’elsa matta», accompagnato dalla registrazione dei “mi piace” e di eventuali commenti.

Ne risulta un romanzo collettivo, scritto a più mani dai vari membri, il cui soggetto non protagonista è Elsa, che nell’arco di una ventina d’anni impressiona con le sue bizzarrie gli abitanti di un quartiere metropolitano e infine è reclusa in un manicomio. Attorno alla costruzione della sua leggenda, entra in scena in primo piano chi dice io, chi dice noi, chi descrive lei attraverso le proprie memorie, le proprie emozioni, i propri preconcetti.

 

Alessandra Carnaroli, Elsamatta. 

 

Il contesto, da cui la composizione trae ispirazione, autorizza a riprodurre e giocare con il netspeak tipico del social media: un linguaggio scritto che ibrida forme colloquiali, informali, inconsapevolmente o sfacciatamente sgrammaticate. Con questa neolingua, fatta di disordini sintattici, di anarchia rispetto alla punteggiatura, di refusi che veicolano significati differenti rispetto alle intenzioni (esemplificative sono le scale mostre), la Carnaroli gioca: la forma poetica si cala nel parlato e, attraverso le spezzature del discorso, fa risaltare le sinapsi concettuali, filtrandone anche le formule ritmiche e fonetiche sottotraccia.

È proprio il linguaggio a smascherare la disinvoltura con cui vengono confessate e condivise paure e soprattutto certezze.

 

Così com’è capace, con molta nonchalance, di mandare a morte i congiuntivi, di sacrificare in modo pleonastico i pronomi, di ricorrere illecitamente a espressioni informali, chi domina e decide il racconto dei fatti può serenamente, incoscientemente, agire e registrare la banalità del male.

Siamo ben lontani dalle fotografie in versi di figure del disagio mentale e sociale, scattate, ad esempio, da un Tonino Guerra. I pochi lampi di commiserazione – i poverina, gli ipocriti «in fondo le volevamo bene» – sono troppo episodici e fulminei per parlare di compassione e comprensione. La comunità che si ritrova virtualmente, si aggrega per legittimare autenticamente le proprie reazioni di paura di fronte ad atti di terrorismo compiuti da Elsa a bordo di un triciclo.

 

Non servono avvertimenti per cogliere la pericolosità, qui illustrata, dei processi di costruzione dell’identità in corso attraverso forme di dialogo fittizie, di confronto minimizzato e appiattito a semplici emoticon, di una popolarità conteggiabile a colpi di click.

Il gruppo ha paura: un sentimento che si propaga per contagio e si rafforza per risonanza, facendo leva su istinti ancestrali, su evidenze semplificate, sulle norme rassicuranti del conformismo. Tra una testimonianza e l’altra, questa paura si dimostra la cartina di tornasole dell’impreparazione, per non dire della pochezza, di strumenti culturali ed emotivi per accogliere, comprendere, riconoscere il diverso, senza sottrargli dignità. Ma di quale diversità si parla? 

 

elsa mattaspaventa bambini

insegue femmine per strappargli i capelli,

uno a uno o a

ciocche come rametti

di salvia per arrosti amante

di soldati, uomini bestie / gatti a gattoni

sul davanzale dove l’elsa presta

comecapra sacrificio

per pulire le scale mostre.

gli angoli vespe

altre paturnie

 

io l’ho vista trascinare con triciclo

una bambina

/maira/ sul selciato

la madre che gridava e la piccola diventata scarpa

sfuggita per un soffio alla terza guerra.

 

L’arma del Soldato Futuro è il fucile d’assalto ARX-160 in calibro 5,56 mm munito di 

[lanciagranate

da

40 mm GLX-160

 

Un motivo ricorrente allude ad un armamento collettivo e suggerisce un’interpretazione meno particolare: viene infatti rappresentata una sezione minima di una società che si arma con fucili d’assalto, che elabora programmi per il soldato futuro, che si sente – o meglio, si sentiva – sfuggita per un soffio alla terza guerra, combattuta con poche risorse e soprattutto con poca creatività. Nel corso del memoriale, dall’architettura coesa e difficilmente campionabile, le carte vengono scompigliate ed è legittimo domandarsi di quale scontro o confronto si parli, chi sia la vittima e chi l’aggressore, soprattutto, che cosa rappresenti davvero l’Altro.

 

Elsa resta un mondo isolato, sconosciuto, distanziato anni luce dall’incapacità di empatia di chi la descrive. Tra lei e il mondo si sviluppa un rapporto che si esplica soltanto con reazioni e controreazioni, atti provocatori letti dai “sani” come aggressione e risposte di fuga che, a ben vedere, appaiono sottrazioni. La parola di Elsa di tanto in tanto fa capolino nei commenti ai post: distinta da un linguaggio ancor più disarticolato, ci conduce con spavalda incoscienza ad aspetti primordiali, sul filo di una crudeltà artaudiana. La lingua e la logica vanno oltre, non hanno timore di scomporre «la moralità pubblica e il buon costume» calandosi in un contatto ulteriore con la realtà materiale, a tratti volgare, lì dove istinto fisiologico e intelligenza emotiva si amalgamano in un tutt’uno.

 

[…] 

gomma bollente

benzina e fiamme

vetro come figlio

posizionato storto

come parto

come guerra

questa donna

resa collo

resa colla

come merda evasa

nella fanga

si diserta e si deserta

cerca forma di vagina avanza

cerca la sua panza

per ricostruire il mestruo

una digestione apparente

apparato riproducente

sangue e pelle

in avanzato stato interessante

avanzato incessante

di sperma che infesta

diserbo e scordo

signor tenente

 

 

L’identità di Elsa si incarna in un corpo che è esso stesso segno di femminilità e di maternità, corpo in cui il fluido mestruale periodicamente ci riconduce a istanze biologiche primordiali, represse nella nostra. In questo quadro in cui il bios tesse il discorso del logos, la tensione all’unione ritorna in un orizzonte spontaneo e naturale e al tempo stesso interseca un che di sublime: «dio vuole che figlio» è come dire che la Vita, il Cosmo, il mio Organismo hanno dato questo e non un altro corpo per una finalità sacra, ovvero la procreazione.

 

Eppure l’approccio dell’altro è repellente, come un infestante o un diserbante. La tensione alla relazione, espressa in forme distorte, è altrettanto malamente interpretata come aggressione e malamente corrisposta da un consumo prostituente e da stupri di gruppo che sterilizzano quell’ansia e quella potenzialità generativa.

La lingua di Elsa sembra spingerci al confronto con quell’abisso come struttura dell’essere di cui parlava Patrizia Vicinelli, citata in conclusione: in lei si può scorgere un principio generativo non riconosciuto e represso, contrapposizione violenta a una altrettanto violenta visione razionalistica che produce distruzione.

 

Alessandra Carnaroli è nata a Fano nel 1979 e vive a Piagge (PU). Ha pubblicato le raccolte Taglio intimo (Fara 2001), Femminimondo (Polimata 2011), la plaquette autoprodotta Animalier (2013) e Sei Lucia (Isola 2014). Finalista al premio «Antonio Delfini» nel 2005 con la raccolta poetica Scartata e nel 2013 con Annamatta 467 membri, suoi testi sono inoltre inclusi nelle antologie 1° non singolo (sette poeti italiani), con una nota di Aldo Nove (Oèdipus 2006), Registro di poesia #5 (D’If 2012), Bastarde senza gloria (Sartoria Utopia 2013) e Femminile Plurale (Vydia 2014). Suoi racconti e prose sono pubblicati su diverse riviste cartacee e online.

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