Un libro di Delphine Horvilleur / Nudità e pudore. La misoginia religiosa

14 Giugno 2021

È difficile negare che esista un nesso tra misoginia e religione. Le cinquanta studentesse morte in un attentato contro la loro scuola a Kabul ne sono la più recente tragica conferma. Siccome questo e molti altri episodi simili sono accaduti in Paesi islamici fondamentalisti e in società culturalmente arretrate, spesso pensiamo che la misoginia sia una caratteristica dell'islam mentre, in realtà, è presente anche in ambito ebraico e cristiano, per limitarci ai tre monoteismi. Le sfumature sono diverse, ma gli effetti ci sono ovunque. 

La discriminazione contro cui una stanchissima Rosa Parks si ribellò nel 1955 in un'America ancora incredibilmente razzista, rifiutandosi di cedere il proprio posto in autobus a un bianco, si è manifestata recentemente sotto forma di discriminazione sessuale in Israele sull'autobus Ashdod-Gerusalemme, quando un ultra-ortodosso ha invitato una giovane donna seduta dietro all'autista a spostarsi in fondo, nei posti riservati alle donne (per inciso, i più disagevoli, quelli in cui ci si sente male più facilmente). Ne nacque un caso che suscitò grande indignazione nel Paese, stigmatizzato dal governo e dalla maggioranza dell'opinione pubblica. Tuttavia, quasi contemporaneamente, un altro episodio significativo coinvolse l'esercito israeliano, il primo nel mondo ad avere integrato nei suoi ranghi donne e uomini; durante una cerimonia alcuni soldati seguaci di un certo rabbino Tal dei Tali abbandonarono platealmente la celebrazione per non essere costretti ad ascoltare voci di donne che cantano. Dunque non sono solo i retrivi talebani afgani che considerano inaccettabile persino ascoltare una voce di donna, anche se sta solo cantando. La differenza è che i rabbini ultra-ortodossi non le uccidono, gli afgani sì; differenza che un suo peso ce l'ha, senza dubbio, però la matrice misogina, il modo di guardare alle donne non sembra poi molto diverso.

 

Riflettendo su episodi come questi la francese Delphine Horvilleur, una delle tre donne rabbino nel movimento del giudaismo liberale di Francia, ha scritto Nudità e pudore (ed. Qiqajon) in cui riflette sul legame tra testi sacri, ovviamente la Bibbia in particolare, e misoginia. Il tema è vasto e serio, persino tragico, ma seguendo la tradizione rabbinica la Horvilleur lo affronta in un modo da cui traspare sempre un lieve sorriso, senza acrimonia, a tratti persino divertente. Senza togliere nulla alla serietà della questione né tantomeno alla necessità di contrastare con fermezza la lettura misogina della Bibbia, affronta la questione senza astio, con leggerezza e profondità, con la grazia e la gentilezza di chi ama veramente la parola di Dio.

 

Partendo dal concetto di nudità e applicandola, come vedremo, anche alla lettura del testo sacro, la Horvilleur s'interroga sul significato del pudore chiedendosi cosa significhi, se sia solo femminile e se lo si debba considerare solo un residuo superato del passato, uno strumento repressivo, o se invece sia portatore di qualche valore utile nella modernità. I fondamentalisti religiosi, spiega, inneggiano al pudore come a una difesa che mette le donne al riparo dal desiderio maschile, e in tal modo si liberano delle donne e del pericolo che rappresentano per loro. Ne conseguono due cose: la prima è che la donna viene spazzata via dallo spazio pubblico; la seconda è che uomo e donna sono ridotti a organi: organo sessuale la donna, occhio l'uomo. Una visione che li umilia e amputa entrambi. 

I fondamentalismi iper-sessualizzano la donna al punto che "ciò che nell'uomo veicola la parola e traduce il pensiero – la voce –, nella donna viene associato alla funzione genitale." Tutto è erotico nella donna, anche il capo e il volto. Coprirli è una specie di decapitazione simbolica e anche l'attestazione di un diritto di proprietà: finché non è stata scelta può essere desiderata, quando è sposata no, perché appartiene già a qualcuno. 

 

Questa concezione, si chiede la Horvilleur, è la patologia di una minoranza fanatica o trova giustificazione nei testi religiosi? L'uso deviato e deviante del concetto di pudore che pretende di conformarsi ai testi sacri mostra la necessità e l'urgenza che le diverse tradizioni religiose lo ripensino, tornando a leggere e a interpretare di nuovo i testi alla luce dell'oggi, perché "il pudore non può consistere nella mania di velare il corpo dell'altro", ma deve piuttosto basarsi nell'accettare "il fatto che nessuno sia interamente visibile nella sua nudità… nessuno [sia] riducibile al desiderio che suscita o alle immagini che un testo sacro ne veicola." 

 

 

Anche nell'affrontare il testo, afferma l'autrice facendo un parallelo tra la nudità del corpo e quella del testo sacro, è necessario un atteggiamento di pudore. "L'unica lettura pudica dei testi religiosi – prosegue – è quella che afferma che non sono stati ancora completamente rivelati… Quando l'interpretazione cerca di fissarli definitivamente, li profana." La lettura letterale è voyeuristica, li guarda nella loro nudità spogliandoli dell'infinito senso di cui sono portatori. La polisemia del testo biblico, favorita dalla natura della lingua ebraica basata su radicali a cui prefissi, suffissi e una diversa vocalizzazione danno molteplici significati anche distanti tra loro, si riflette anche visivamente nelle pagine del Talmud che raccolgono, accostandole le une alle altre, le diverse interpretazioni di un singolo versetto date dagli studiosi; ognuna si aggiunge all'altra e nessuna viene cancellata. Si può dire che ogni "pagina di Talmud è l'illustrazione letteraria dell'arte di non trovarsi d'accordo" senza sopprimere le differenze. 

 

Un principio basilare della lettura rabbinica è che il testo "non dice mai una cosa sola, o meglio non la dice mai una volta per tutte." La deriva voyeuristica, sempre in agguato per i lettori dei tre monoteismi, è una sorta di testolatria e un tentativo blasfemo di manipolazione della parola divina. Chi mai potrebbe avere tanta arroganza da pretendere di esserne l'unico interprete, l'unico capace di comprendere e dunque contenere in sé stesso il pensiero di Dio? Chi può esaurire la creatività divina? Chi lo facesse, rivendicherebbe per sé una parità con Dio che, nella storia, solo Gesù ha osato rivendicare.

Il paradosso delle interpretazioni letterali del testo biblico, sottolinea la Horvilleur, è che chi le sostiene molto spesso usa il testo per affermare la giustezza della propria visione del mondo a scapito delle altre, con lo scopo di mantenere lo status quo politico o sociale. Per di più questa lettura è fatta soltanto per determinati versetti o brani strumentalmente utili, ma non per tutto il testo. Ci si potrebbe, altrimenti, trovare costretti a porsi quesiti del tipo: "Quando dò fuoco a un toro sull'altare sacrificale… i vicini si lamentano del fumo. Devo debellarli? (Lv 1,9) Vorrei vendere mia figlia come schiava, come prevede Esodo 21, 7. Che prezzo mi consiglia? Un mio vicino si ostina a lavorare di sabato. Devo ucciderlo io stesso? Mio zio giura e bestemmia spesso. Devo lapidarlo (Lv 20) o non potrei invece più semplicemente dargli fuoco?"

 

Lasciamo il testo e torniamo alla donna. Perché è tanto pericolosa per gli integralisti? È una tentatrice, dicono, davanti alla quale l'uomo rischia di perdere il controllo. Quindi bisogna proteggerla dagli uomini, rinchiuderla, renderla un'ombra. Un punto di vista che offende la donna ridotta a oggetto sessuale, ma dovrebbe offendere anche l'uomo che, costretto al suo sesso, risulta un bruto dagli istinti incontrollabili, e non fa una bella figura. Viene da chiedersi, poi, come si può conciliare tanta incontrollabilità con la tradizionale idea dell'uomo quale essere sommamente razionale e capace di controllare le proprie emozioni, pertanto più pregevole della donna resa fragile e inaffidabile dalla sua, supposta, invalidante emotività.

 

Nella Bibbia il primo essere umano "disturbato dalla nudità al punto di coprirla", il primo pudico della storia, è un uomo, Adamo, la cui colpa è un atto di sfiducia verso Dio e non di concupiscenza. Non c'è legame tra sessualità e peccato, l'ebraismo "non lega la castità all'innocenza", infatti Adamo aveva già conosciuto (il verbo ebraico che indica l'unione intima e fisica) Eva prima della caduta, senza conseguenze. 

Cacciando i due dall'Eden, Dio prepara per loro due tuniche di pelle, cucite da Lui stesso; quasi fossero stati fino a quel momento metaforicamente privi di pelle, trasparenti l'uno all'altra, come neonati nei primissimi mesi di vita, del tutto inconsapevoli "della separazione tra sé e il mondo." Ora devono entrare nel mondo fuori dal paradiso, un mondo di opacità e consistenza in cui non esistono esseri trasparenti e fusionali, in cui i corpi rivestiti di pelle scoprono la nudità come consapevolezza dell'esistenza dell'altro separato da sé, col quale non si può più ricreare l'unità primigenia. La pelle che Dio cuce per l'umanità è una barriera di protezione e di rispetto reciproco. 

Nella lingua ebraica le parole vergogna e mancanza hanno una stessa radice, sottolinea la Horvilleur, la vergogna che spinge Adamo a coprirsi è dunque legata a un senso di mancanza, di scissione e di separazione. Dal suo fianco non dalla sua costola (altra questione di scelta traduttiva dalle infinite conseguenze) è stata tratta chirurgicamente la donna, perché in origine l'essere vivente è insieme maschile e femminile (una realtà curiosamente confermata anche dall'evoluzione). "Percependosi separati l'uno dall'altra saranno veramente nudi. È dall'esperienza della nudità che nasce la vergogna, coscienza della lacerazione e della mancanza", ma anche presupposto dell'incontro, perché "ci si può accostare solo a qualcuno da cui ci si è separati. È proprio attraverso la scissione che diventa possibile il cammino verso l'altro."

 

Nella Bibbia tutta l'umanità è nuda, poi piano piano è rimasta nuda soltanto la donna, a lei sola si chiede di coprirsi e mostrare pudore. E invece il pudore, per non essere un residuo obsoleto del passato ma un'espressione di rispetto reciproco e di libertà, deve riguardare tutti e due, uomo e donna.  E dunque sì, conclude Delphine Horvilleur, nei testi fontali delle religioni si trova qualche tratto misogino, però sarebbe disonesto dare ai testi ogni colpa. Il vero problema è che sono stati gli uomini che li hanno interpretati a essere in gran maggioranza misogini. Per liberare la parola di Dio dalla misoginia e dagli errori degli uomini, è vitale ascoltare l'interpretazione dei testi sacri fatta dalle donne, in ogni tradizione religiosa. Finché non ci sarà anche la loro voce, qualunque visione di Dio sarà parziale e distorta, un vero pervertimento del disegno divino. 

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