Cosa rende il cambiamento climatico una minaccia? / Da sfera fusa a palla di neve

20 Maggio 2018

“Il segno distintivo della Terra fu il cambiamento costante. Come un artista precoce, il nostro pianeta ha reinventato se stesso più e più volte, provando in ogni fase qualcosa di nuovo”. Lo afferma Robert M. Hazen, mineralogista e astrobiologo, docente alla George Mason University, e autore del saggio Breve storia della Terra (il Saggiatore) in cui racconta come, formatasi dalle polveri della nebulosa del Sole, sia diventata un pianeta capace di generare la vita. In contraddizione col titolo, è una storia lunga e appassionante, da cui si emerge colmi di meraviglia per quel vero prodigio che è la Terra. Ed anche con un po' d'inquietudine perché l'autore, dopo avere spiegato quali siano le responsabilità che oggi gravano sulle spalle della società umana per la salvaguardia del pianeta, ci ricorda – e non so se questo ci consoli – che il destino della Terra non è tutto nelle nostre mani. Siamo ospiti, forse attesi o persino sperati e comunque finora benvenuti, di cui però il pianeta può facilmente sbarazzarsi, per ragioni tutte sue. 

Robert Hazen suddivide la storia della Terra, iniziata circa 4,5 miliardi di anni fa, secondo il colore che aveva nei momenti cruciali della sua evoluzione, come fanno gli storici dell'arte con certi pittori. L'analogia Terra-Artista attraversa tutto il libro.

 

All'inizio, però, mentre era ancora in formazione e ruotava insieme agli altri pianeti attorno al giovane Sole, non aveva colore e … neppure terra! Era una proto-Terra quando si trovò sulla stessa orbita di un altro pianeta più piccolo, ma pur sempre grande come due o tre volte Marte, chiamato Theia come la titanide madre di Selene, la Luna della mitologia. Nello scontro la Terra incamerò Theia, mentre un suo gigantesco frammento fu sbalzato in cielo e divenne la Luna, il prezioso satellite grazie al cui effetto gravitazionale la rotta della Terra e l'obliquità dell'asse terrestre si mantengono stabili. Tutto quanto accadde dopo e continua ad accadere sulla Terra, è reso possibile da questa stabilità. Però ci volle del tempo, perché la Luna era troppo grande e troppo vicina (24.000 chilometri dalla superficie terrestre, oggi è a 384.000 chilometri) il che rese turbolenti quei tempi. La Terra ruotava tanto velocemente che il giorno durava cinque ore e tutto era molto disordinato, giacché i due pianeti erano allo stato fuso e, per effetto dell'enorme forza di gravità, ogni poche ore la superficie della Terra “si rigonfiava spingendosi per oltre un km verso la Luna”. 

 

Poi cominciarono i periodi colorati della Terra. Il primo fu il periodo nero, quando rocce vulcaniche fuse le fornirono la sua prima superficie solida, galleggiante su un magma infuocato, e la Terra era una sfera di basalto. Poi venne il periodo blu quando, come nel secondo giorno della creazione biblica, c'erano soltanto le acque e il cielo, e la Terra era coperta da un unico, immenso oceano profondo, si pensa, almeno un chilometro e mezzo. Nel suo periodo grigio, ecco finalmente una bella crosta di granito; e questo rappresentò la prima importante differenza tra la Terra e gli altri pianeti attorno a lei, dandole le prime fondamenta rocciose per i futuri continenti. Da questo momento in poi la Terra divenne unica nel Sistema Solare a causa di un fenomeno nuovo, la fotosintesi, che, liberando ossigeno, in questa prima fase trasformò l'atmosfera in un ambiente ossidante chiamato dagli scienziati GEO (Grande Evento Ossidativo); fu il periodo rosso della Terra. Poi arrivò il periodo bianco, detto anche della Terra palla di neve, in cui la vita microscopica, prima abbondante, scomparve e si azzerò sulla superficie, ma non nei fondali oceanici, presso i camini termali vulcanici. Lì resistette e resistette in attesa di nuove condizioni, e finalmente il pianeta riprese a scaldarsi. Giunse così il periodo verde della Terra, quello della biosfera in cui ancora oggi viviamo.  

 

Ph Simen Johan.


Alla base degli studi di Robert Hazen e dei suoi colleghi, c'è una tesi che si può riassumere in tre punti fondamentali: i minerali cambiano nel tempo, quindi la mineralogia ne deve descrivere l'evoluzione, avvenuta in stadi successivi e concatenati; la vita ha trasformato l'ambiente non soltanto a livello della superficie e dell'atmosfera, ma anche a quello delle rocce; tra geosfera e biosfera c'è stata una vera e propria co-evoluzione “perfino più sorprendente di quanto si sarebbe potuto immaginare – afferma Hazen –. Non soltanto infatti alcune rocce derivano dagli organismi, come appare evidente nelle grotte calcaree in tutti i continenti, ma la vita, a sua volta, potrebbe essere nata dalle rocce”. È probabile, infatti, e Robert Hazen ne è convinto, che il metabolismo, processo elementare della vita, sia la conseguenza di un processo geochimico, in cui il ruolo principale fu giocato dal carbonio, l'elemento più versatile della tavola periodica presente in tutte le forme di vita organica. 

 

I cieli e la Terra, gli astri e il cosmo, un tempo modelli d'immutabilità, non lo sono più perché ormai si sa per certo che se c'è una legge che domina ogni cosa, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo, è il movimento costante, la trasformazione. Soltanto la brevità della nostra esistenza ci ha fatto interpretare come eternità il lento mutare dell'Universo intorno a noi e della Terra sotto i nostri piedi. E tutto è interconnesso, organico e inorganico, in una rete intricata e meravigliosa; ogni evento è legato a quello che lo precede, e determina quello che lo segue, ogni dettaglio è importante e ogni svolta sorprendente. 

Il volto della Terra è segnato dai suoi continenti, e dai loro movimenti. Fu un outsider della geologia, il meteorologo tedesco Alfred Wegener, a comprendere e ipotizzare per primo quella che oggi è nota come deriva dei continenti. Egli aveva notato come i loro diversi profili sarebbero potuti essere accorpati formando un unico super continente e lo chiamò Pangea.

 

Propose la sua teoria nel 1915 pubblicando un articolo che – la storia si ripete! – fu criticato aspramente da Rollin Chamberlain, geologo dell'università di Chicago, il quale “in un convegno nel 1926 disse: 'per credere all'ipotesi di Wegener dobbiamo dimenticare tutto quello che abbiamo imparato negli ultimi settant'anni e ricominciare da capo'”. Ed è così che la scienza progredisce: facendosi beffe delle granitiche convinzioni che per arroganza, pigrizia o paura, non si vogliono abbandonare. Comunque, oggi nessuno mette in dubbio che “il processo costante della tettonica delle placche non form[i] soltanto i continenti ma li trasport[i] anche incessantemente da una parte all'altra del globo”. Verosimilmente, prima di Pangea altri super continenti si sono formati e poi divisi di nuovo, in forme diverse ma ricostruibili. E il loro lento movimento continua sempre. Ne sono testimonianza le montagne, la dorsale atlantica, i terremoti e la recente frattura formatasi in Africa, nella Rift Valley (la valle africana che si è prodotta per la separazione di due placche tettoniche in formazione circa 15 milioni di anni fa e alla quale dobbiamo, come pare, l'abilità di camminare su due gambe). Insomma, di tempo in tempo la Terra si rifà il maquillage e si trasforma: rocce oggi all'equatore si trovavano ai poli, in Antartide c'erano lagune tropicali, in Africa una tundra gelata e “tra 250 milioni di anni (più o meno) la maggior parte delle masse di Terra formerà di nuovo un super continente vastissimo”.

 

Dopo un lunghissimo periodo di quiete, a partire da 850 mln di anni fa la Terra ha cominciato ad attraversare fluttuazioni climatiche profonde, estreme e rapide. Dopo essere diventata una palla di neve, “in un battito di ciglia geologico, forse molto meno di un migliaio di anni” è diventata una serra riscaldata, e forse per 30 milioni di anni il caldo prevalse. In quella fase, racconta Hazen, “gli organismi unicellulari impararono a cooperare, aggregarsi, specializzarsi, crescere e muoversi. Impararono insomma a diventare animali”. Fu così che 540 mln di anni fa, in un periodo cruciale chiamato Cambriano, si ebbe un'esplosione senza precedenti di forme viventi pluricellulari, tra le quali comparve un delicato cordato che fu probabilmente il nostro primissimo antenato: Pikaia gracilens (ne ha scritto diffusamente il grande biologo e paleontologo Stephen J. Gould nel saggio La vita meravigliosa del 1989).  

 

Pangea in realtà non è stato il primo bensì l'ultimo super continente; risale a 300 mln di anni fa, quando Gondwana, il grande super continente dell'emisfero meridionale, migrando verso nord, si unì a Laurentia, che corrisponde più o meno alle attuali America Settentrionale e Groenlandia. Per decine di milioni di anni il clima benigno permise alla vita di fiorire, scorrere ed evolvere su Pangea. Poi, improvvisamente e ancora misteriosamente “la vita collassò nell'estinzione più catastrofica mai verificatasi nella storia della Terra”: si stima che scomparvero il 70 per cento delle specie terrestri e attorno al 96 per cento di quelle marine. È facile comprendere come la storia arcana e tragica di Pangea eserciti un grande fascino sulla fantasia degli uomini. Ne è recente testimonianza, per esempio, la mostra Museo di Pangea. Le civiltà immaginarie (fino al prossimo 10 giugno presso il Labirinto della Masone sede della Collezione d'arte di Franco Maria Ricci) che l'artista Marco Barina dedica alla sua misteriosa scomparsa e ai suoi ancor più misteriosi, immaginari abitanti. Una mostra, elegante e suggestiva, in cui piccole divinità dai grandi occhi, personaggi adoranti e oggetti quotidiani come la Bambola dagli occhi enormi, sembrano proporsi quali enigmatiche testimonianze di una civiltà antichissima e scomparsa, o di una visita aliena rimasta nel ricordo degli artisti e, poi, misteriosamente riaffiorata nelle sculture tribali dell'Africa senza tempo. Sculture come interrogativi che sfidano a inventare una storia immaginaria, di un passato tanto antico e oscuro da non potere essere altro che leggenda.

 

Superando in un balzo le centinaia di milioni di anni più importanti per noi, veniamo a oggi. Qual è la situazione? Indubbiamente, spiega Robert Hazen, stiamo entrando in un periodo di significativi cambiamenti climatici in cui gli effetti retroattivi di rinforzo (feedback positivi) sembrano essere dominanti. Quindi, non è di un singolo evento che dobbiamo preoccuparci, ma piuttosto della catena di reazioni che ogni fatto porta con sé e dei conseguenti effetti a domino, e crescenti, sul clima. Dalla storia del nostro pianeta abbiamo imparato – prosegue l'autore – che se le oscillazioni climatiche estreme hanno creato nuove opportunità per l'evoluzione hanno però portato alla morte praticamente tutti gli organismi viventi sulla superficie della Terra. Dunque la questione è che certamente, per quanto sconsiderate siano le nostre azioni, la Terra continuerà la sua storia anche senza di noi e conserverà in se stessa, da qualche parte, come ha già fatto diverse volte, qualche forma di vita, se non altro microscopica, almeno finché la Luna non si sarà allontanata troppo e il Sole resterà al suo posto.

Quelli che sono in pericolo, avverte Hazen, siamo noi e gli altri animali: “Non può esserci il minimo dubbio sul fatto che le attività umane dell'ultimo secolo abbiano avviato trasformazioni profonde nella composizione dell'atmosfera. Ed è certo, come le leggi della fisica, che a queste trasformazioni seguiranno cambiamenti climatici…Per colpa delle nostre azioni, la Terra certamente diventerà più calda, il ghiaccio certamente si scioglierà e il livello degli oceani certamente si alzerà. Ma nulla di tutto ciò sarà nuovo per il nostro pianeta. Perché allora dovremmo preoccuparci se le attività umane renderanno più rapido questo processo di trasformazione?” E conclude: “Se decideremo di agire, certamente non sarà per 'salvare il pianeta'. La Terra … non ha bisogno di essere salvata … Qualunque cosa faremo, la Terra continuerà a essere un mondo vivo e variegato … se decidiamo di preoccuparci, dovremo farlo in prima istanza e soprattutto per la nostra famiglia umana, perché siamo noi quelli più a rischio. La Terra da sempre elimina sprechi ed errori. La vita andrà avanti nella sua grandiosità, ma la società umana, perlomeno con la sua attività sregolata attuale, potrebbe non farcela”. Con buona pace di chi la pensa come Donald Trump.

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