Un libro di Sergio Benvenuto / La ballata del mangiatore di cervella

28 Febbraio 2021

Questo libro, che per gradi si articola come una summa delle posizioni principali di Lacan, di ciò che fa la differenza nel suo pensiero psicoanalitico ma anche filosofico sulla vita e la soggettività, ha per oggetto le due analisi di un giovane, il cui problema è l'impossibilità di scrivere un qualunque testo senza considerarlo come il risultato di un plagio di idee altrui. A differenza di altri pazienti importanti della psicoanalisi, non si è mai saputo nulla sulla sua identità. Sergio Benvenuto, noto psicoanalista e saggista, che conosce in profondità sia Freud che Lacan, lo battezza "Professor Brain" in quanto è uno studioso e per via della sua predilezione per un piatto a base di cervella, che servono in certi ristorantini etnici le cui vetrine incontra sulla sua strada e guarda con piacere ogni volta che esce dalla seduta, stando alla lettura del giornale clinico di Ernst Kris, psicoanalista austriaco riparato a Londra nel 1938 e poi a New York nel 1940 per sfuggire al nazismo. Secondo la ricostruzione di Lacan, la scena delle vetrine avverrebbe a New York. Il fatto è che l'analisi con Kris, che è la seconda e si interrompe con lo scoppio della guerra nel 1939, nella ricostruzione dell'autore non si è affatto svolta a New York, ma a Londra, come del resto anche la prima, con Melitta Schmideberg, figlia di Melanie Klein, cominciata all'inizio dei Trenta. Perché questa discordanza, che come vedremo non è la sola, né rispetto a questo specifico episodio, né rispetto ad altri fatti?

 

Considero molto alto l'interesse che suscita Il caso clinico, di cui a fine volume è riportata la descrizione vergata da Kris, e perciò anche questo libro lucido che nel cercare la verità storica fra diverse versioni dei fatti pare ispirato alla logica di Poe nel racconto The Purloined letter (La Lettera sottratta) immortalato in psicoanalisi negli Écrits di Lacan. Il motivo di tale interesse risiede nelle implicazioni della storia qui commentata del Prof. Brain per la costruzione della teoria psicoanalitica e di quella specie di controteoria rispetto alla vulgata freudiana ufficiale, che è la rilettura soggettiva del caso e di Freud fatta da Jacques Lacan. Un Lacan ancora non famoso cerca alleati e nemici — e veniamo così al punto su cui ruota il suo scopo principale e quindi la sua lettura delle due analisi di Brain — per affermarsi nella storia delle idee e della psicoanalisi con una sua posizione originale come legittimo, anzi unico vero erede di Freud, «ma anche come l’unico innovatore credibile sul piano tecnico». E lo fa con uno stile aggressivo e un modo di procedere a volte non cristallino, tramite attacchi spregiudicati contro chi vede come avversari. Essi sono basati non su deliberate mistificazioni, ma su meccanismi inconsci di proiezione, identificazione, o si potrebbe dire in un certo senso su dei malintesi, che Heidegger considera come una forma tipica della vita inautentica e Benvenuto atti mancati, rivelatori di gelosie e ambizioni.

 

Per raggiungere il suo obiettivo, Lacan piomba come un’aquila sulle testimonianze scritte del caso, e le stressa per cogliere in fallo chi vede come suo antagonista. Nei Seminari, nel 1953 e nel'54, fino al '56, utilizza in maniera spregiudicata il diario clinico di Kris, legge a suo modo quello di Schmideberg, e svaluta con ironie e sofismi bizantineggianti la linea di Anna Freud che aveva messo in primo piano i meccanismi di difesa dell'Io, sulla scia del suo saggio del 1937, LIo e i meccanismi di difesa. È la stessa linea su cui si ricolloca in fondo Ernst Kris, visto da Lacan come l'amerikano che vendendosi al pragmatismo yankee con la sua Ego Psychology e strizzando l'occhio appunto alla psicologia, annacqua e riduce la visione psicoanalitica in sterile chiave funzionalistica sbilanciata su questa sola istanza psichica. L'uso del malinteso «permette a Lacan di mettere il dito su quel che gli sembra la pecca etica fondamentale dell’Ego psychology: pensare l’intersoggettività in termini mercantili, da economia liberale, come dare-e-avere».

 

Lacan, come ricaviamo sempre dall’imparziale resoconto di Benvenuto, vuol vedere come due ossessivi sia Brain che Kris. Il primo, in realtà, considerando interessanti solo le idee degli altri, può utilizzare le proprie solo se gli sembrano altrui, ma per Lacan in quest'appropriazione sta facendo tesoro dei principi di quello che chiamerà il "discorso capitalista", che è intrinsecamente ossessivo, nel quale a suo parere anche Kris è entrato. Lacan vuol farci balenare davanti agli occhi tramite loro il peggio dell'America, l'ossessiva filosofia del do ut des, ed è a questo confronto svilente che ci riporta anche quando colloca impropriamente il caso a New York, e americanizza Brain: «Siccome gli interessava far passare Kris come un analista ormai del tutto americanizzato – che stava tradendo le nobili origini mitteleuropee sia proprie che della psicoanalisi – per una sorta di metonimia interpretativa dà anche al Prof. Brain i tratti dell’americanità».

 

Kris peraltro, pur pretendendo di fondare con la Psicologia dell'Io un suo indirizzo, ricalca in realtà le posizioni tecniche di Freud: partire dalla superficie, analizzando le difese e le resistenze (e cioè l'Io) senza correre subito a interpretazioni dell'Es come i kleiniani. Lacan vede in Kris, che pure era figura potenzialmente affascinante per lui in quanto intellettuale di punta e finissimo critico d'arte, e proprio forse per le sue ambizioni e la sua alta caratura personale, l'avversario più temibile, da sgominare. 

L'altro aspetto della strategia di Lacan, in questa tranche de vie, oltre all'attacco ai rivali, è la costruzione di alleanze. Cerca una sponda inglese in Melanie Klein, ma è tradito da un lapsus: lo smarrimento della prima parte della traduzione in francese fatta da Diatkine di La psicoanalisi dei bambini (1932) con cui voleva ingraziarsela, in funzione anti-Kris e anti-Ego-psychology. La cosa è riferita dai traduttori che dovrebbero proseguire il lavoro, la coppia Boulanger, e Melanie Klein di fronte all'incuria rivelatrice della strumentalità del rapporto, si disinteressa di lui. D'altra parte la psicoanalista inglese, con la sua visione tutta descrizione di processi psichici, è decisamente lontana dall'orizzonte di Lacan il quale era invece interessato a relazioni formali, «a un insieme di differenze e ripetizioni; non a un'evoluzione in una certa direzione, ma a "salti" da una posizione all'altra. Anima facit saltus».

 

I sintomi di Brain derivano dall'impossibilità di accesso a un'identificazione positiva cruciale, cioè da una forclusion, che con Benvenuto traduciamo come "pignoramento": Brain, figlio di un padre forse inetto, ma messo in ombra dal nonno autorevole e creativo, è bisognoso di un'identificazione "forte", ma non può compierla se non attraverso la mediazione della figura del nonno. Nell'interpretazione di Lacan, come emerge dall’attenta ricostruzione di Benvenuto, un significante connesso all'oralità come modalità di appropriazione per incorporazione gli è pignorato. Essendo il modello del proprio sapere fondato su un'identificazione vicariante (col nonno) peraltro denegata, che sostituisce un'impossibile identificazione col padre, l'unico sapere che possa assumere come proprio non può che provenirgli da un altro (dall'Altro, per Lacan). Per via del diniego che accompagna per Lacan l'identificazione speculare, il paziente non si riconosce nelle figure di tutore che di volta in volta individua, e perciò quel sapere non può che apparirgli un plagio del pensiero dell'altro. «Brain, producendo il discorso del plagio e portandolo fino a denunciarsi come plagiario suo malgrado, effettua un diniego.

 

La verità di quel paziente consiste nel voler cibarsi delle idee del proprio io ideale( [ ] il nonno), ma denuncia questa verità come ciò ch’egli teme di fare.» Il paziente, che riferisce a Kris di aver trovato in biblioteca una pubblicazione di un collega che anticipa sorprendentemente ciò che lui allora stava scrivendo, «vede le proprie “idee” nelle pubblicazioni dell’altro come in uno specchio che non è riconosciuto come specchio, le considera insomma cose appartenenti all’altro che non riconosce come speculare. Se il collega ha preso il posto del nonno come io ideale, allora non è più il collega a rispecchiare le idee del soggetto, ma il soggetto vede le proprie idee come rispecchiamento di quelle dell’altro. Il gioco di specchi prende qui le forme del labirinto».

 

Le peculiarità del caso, grazie anche agli aggiustamenti resi possibili dai malintesi, offrono a Lacan assist formidabili per la formulazione di concetti cardine della sua visione: «la sua teoria dell'Io [ ] come struttura immaginaria, come integrazione di parti frammentarie e non coordinate attraverso l'immagine speculare di sé; la distinzione tra Io ideale e Ideale dell'Io», di cui il primo sarebbe immaginario e il secondo una struttura invece simbolica; la succitata forclusion e il concetto di Altro. «Quel caso pareva emblematizzare il carattere vertiginoso del concetto di Altro che lui stava elaborando. [ ] Brain può cogliere ciò che c’è di intimo nella propria mente, le proprie idee, solo grazie a un’alienazione immaginaria per cui il proprio appare come furto inflitto allAltro. L’Altro non è quindi questo o quell’altro, ma un luogo di non-proprietà, di in-appropriatezza, un Altro puramente formale e non sostanziale». 

E il sapere sul proprio inconscio chiama anch'esso in causa l'Altro come sponda di alterità necessaria da cui proviene una possibilità di sapere e dire. 

 

Lacan ricollega le cervella in vetrina e la forclusion: «ciò che è pignorato nel simbolico ritorna come esperienze nel reale», attraverso un preteso acting out nel caso di Brain, che non trova riscontro nella documentazione lasciata da Kris, ma solo nella fantasia di Lacan. 

Lacan vede nell'osservazione delle vetrine dei ristoranti (peraltro esterna alla seduta) il gesto di un momento che fa seguito un dato giorno a una certa interpretazione di Kris, ma in realtà è un'azione abitudinaria del paziente nel suo percorso all'uscita dalla seduta. E inoltre Lacan adduce, come dette dal paziente, parole solo sue che arricchiscono le immagini e introducono pietanze piccanti. Perché quest'infedeltà al testo di Kris?

 

 

Nota al riguardo Benvenuto, confrontando le carte, che il paziente: « parla di “ristoranti piccoli ma attraenti”, senza dire affatto che erano stranieri né che servivano piatti piccanti o raffinati. [ ] Che cosa spinge Lacan a immaginare questo scenario di ristoranti esotici, con cibi speziati o strani, luoghi raffinati nei quali – come scriverà nel 1956 – “l’on est bien soigné”, dove i clienti sarebbero trattati in modo speciale? Perché Lacan ha visto tutto questo scenario da film hollywoodiano nella semplice espressione “attractive restaurants”? Era una forma di gigionismo per accalappiare il suo pubblico stanco dopo circa due ore di seminario? Il testo di Kris – come, in fondo, qualsiasi testo – funziona qui come una macchia di Rorschach, così che Lacan vi “vede” i propri fantasmi. Evidentemente le “cervella fresche” evocano in Lacan una reverie, direbbe Bion, tutto un mondo di equivoci ristoranti orientali forse nella Chinatown di Manhattan, di pasti perversi a base di cervelli, magari con giovani prostitute pronte a completare un pasto intriso di spezie… Al contrario del lost in translation, molto è enriched in translation».

Di fatto, comunque, «Brain non ha simbolizzato un rapporto di divorazione orale, per cui questo rapporto di divorazione gli ritorna nella realtà, nel senso che lui pensa realmente di rubare le idee altrui. Rubare le idee altrui non è insomma qui una metafora (come avverrebbe in un nevrotico ritorno del rimosso) ma è una convinzione, al limite, delirante: è come se le idee diventassero cose reali che si possono prendere o lasciare, mangiare o sputare». 

 

E Lacan si spinge a dire che le cervella che il paziente cerca nelle vetrine sono il suo pasto metonimico (cervello=mente): un cibo che è un "niente" di cui psichicamente ci si nutre tuttavia, come fa l'anoressica col "niente" (l'oggetto rien) che gode nel divorare. «Brain è un bulimico del nulla. È vero che mangia cervella fresche, ovvero qual cosa, ma nella misura in cui queste cervella sono il significante delle idee: crede di mangiare un piatto, in realtà mangia un »significante, ovvero qualcosa che non c’è. Siccome pensa che lui non abbia “cervello” (idee), mangia idee esterne[ ]». 

 

Benvenuto sottolinea il versante filosofico alternativo di queste considerazioni, osservando che Lacan dimostra ai positivisti che «la storia, la vita, si fa anche col negativo. [ ] il mondo umano non è un mondo analogico, un mondo mimetico, è un mondo digitale di bits: lo 0 funziona ed è fondamentale non meno di 1. Il pieno si rovescia in vuoto, e viceversa».

 

I fattori che decretano il successo di Lacan l'autore li individua nella coniugazione della pulsione con un esprit de géométrie strutturalista e con un coté esistenzialista, che gli fa vedere "un’incrinatura fondamentale nell’essere umano, una sorta di insoddisfazione o incompiutezza originari" prodotta dall'azione traumatica del linguaggio, in una visione pessimistica con cui tutti si possono identificare sentendosi partecipi di un'eletta sensibilità. 

Il libro si spinge al di là del caso Brain e si leva in un cielo grande, psicoanalitico e filosofico. Passaggi chiave di Freud trovano un'eco nuova in Lacan. E così la ripetizione non è solo mortifera, in quanto è anche matrice del simbolico. L'evento ripetuto forma il simbolico, è trasformato in significante come le lallazioni del bambino ci mostrano. Non ci sarà alla fine solo un grande silenzio, perché il nostro ripetere è pulsazione incessante, come una respirazione con perpetui annullamento e riapparizione. 

E va rivisitata l'idea di inconscio, partendo dal piacere che sempre si ricava da una delle sue formazioni, il motto di spirito: «l'inconscio non è solo una fonte di malesseri e minacce: è anche un modo per godere. [ ] non è solo il luogo del rimosso, [ ], ma anche un’istanza di trasgressione creativa. È la forza libidica da cui un soggetto può attingere per esprimere qualcosa di nuovo [ ]. L’inconscio per Lacan è prima di tutto il fatto che, anche a nostra insaputa, ciò (es) gode». 

 

E l'etica di Lacan non è quella dell'ebreo transfuga in un mondo ostile, ma quella «del libertino o del dandy, che punta a trasgredire per cercare di godere» e si radica in «una visione filosofica diversa della soggettività umana».

Mentre l'Io è «l'agente di quel calcolo utilitaristico che rimuove le nostre istanze inconsce». «[ ] l’Io (le moi) [è] il vero avversario, che [Lacan] si rifiuta di rafforzare». 

Nella prospettiva di Lacan l'Ego Psychology di Kris è inaccettabile. Per un intellettuale parigino non conservatore, fa notare Benvenuto, «molto più vicino all’anarchismo di Sade, dei surrealisti, di Sorel, di Bataille e di Foucault» che alla tecnocrazia socialista e ai burocrati, e «affine ai conservatori liberali americani, per i quali la diffidenza per lo stato e i suoi controlli è capitale, [ ].l'Io freudiano è [ ] assimilato [ ] allo stato e ai suoi apparati». E inoltre «[ ciò che ] divarica un lacaniano da un ego-psychologist e in genere dalle correnti in qualche modo legate all’ego psychology [ ] non [è] tanto una tecnica clinica, quanto una visione della soggettività e un’etica diversa del nostro essere-nel-mondo. Un lacaniano rigetta essenzialmente: l’adattativismo, il voler rafforzare l’io, l’ideale di autonomia dell’io, la vocazione maturativa della psicoanalisi». 

 

A ciò si deve aggiungere che Lacan si è sempre distanziato dai tentativi dell'Ego Psychology, come di altre correnti psicoanalitiche, «di conciliare psicoanalisi e psicologia generale. [ ] Lacan vedeva la psicoanalisi piuttosto come un’anti-psicologia, come un’implicita critica della psicologia, [come una ] teoria dell’origine dello psichico in quanto tale».

Infine: "dove era l'Es io deve addivenire" spiega Benvenuto, e non parla dell'Io ma dice io deve...

Perché l'Io, l'Io della difesa o, per meglio tradurre abwehr con Benvenuto, l'Io che "schiva" come uno spadaccino o para i colpi provenienti dall'Es, è tutta un'altra faccenda rispetto a io. «Io [ ] devo costituirmi proprio nell’inconscio, devo abitarlo, per non dire colonizzarlo. Non è l’io che esautora l’inconscio, ma sono io che raggiungo l’inconscio e mi installo in esso».

 

Demistificata e ben decostruita, la figura magnetica di Lacan resta tuttavia la protagonista nella battaglia per la propria affermazione personale e contro un mondo conformistico. E questo è forse l’unico limite, una sorta di limite ottico, pressoché obbligato della prospettiva in cui si situa il libro di Benvenuto, quasi come diretta conseguenza del profilo epico e provocatorio del personaggio al centro dell’attenzione. Ma questi, velandola con la sua particolarissima e ostentata figura, in forma nascosta svela la paradossalità sorprendente della rivelazione del compiersi del destino del soggetto umano entro una totale mancanza di senso. 

Siamo presi in maniera impercettibile nel godimento della sua malia barocca ed estetizzante, del pensiero irriverente, del suo genio, dei suoi ideali, delle sue convinzioni: il fare l'analisi per l'analisi, non per guarire; la concezione del soggetto come effetto del linguaggio, del significante; l'idea della psicoanalisi come antipsicologia; la concezione antievoluzionistica; il rifiuto delle scienze a posteriori, tutto ciò entro il perimetro narrativo delle gesta di un guerriero nell'arena della psicoanalisi a lui contemporanea. Tuttavia non solo Lacan non può essere fedele a Freud, ma, per un principio che Benvenuto descrive nel testo, non può esserlo neanche rispetto alla psicoanalisi, e lui stesso alla fine, come credo tutti i grandi, si trascende. Nel rileggere Freud e la psicoanalisi, nell'appropriarsene, li trasforma e li supera e di norma trascuriamo di vedere questo fatto, nel senso di perdere di vista quel che Lacan, se non raggiunge in maniera esplicita, comunque addita come meta: ad esempio il futuro della conoscenza e della psicoanalisi, la sua trasformazione ora indefinibile. 

 

Nasce il desiderio che Benvenuto scriva ora un altro libro, con la stessa solidità e fantasmagoria di argomentazioni, per continuare a mostrare anche dell'altro, cioè quel che tutta l'opera di Lacan in filigrana mostra, come egli esista al meglio oltre se stesso, oltre il suo dire, fuori dal suo roman de geste, nella visionaria proiezione del pensiero in cui resta incompreso, e nell'enigma del linguaggio, dietro cui si nasconde per non asservire il suo pensiero, perché nessuno lo faccia suo, alienandolo a lui. Lacan è custode della funzione di scrittura immateriale della parola del soggetto da parte dell'analista come testimone uditivo del soggetto stesso. E «attraverso le poesie di Aimée, la lettera rubata di Poe, il plagio immaginario di Brain, le memorie scritte di Schreber, la scrittura “senza senso” di Joyce, [...] Lacan parla a chiunque di noi si ponga il problema del rapporto del soggetto, di ogni soggetto, con il linguaggio, che non è mai privato, personale, oggetto di appropriazione, ponendoci la questione di che cosa ci sia davvero proprio»

 

Lacan ci fa il singolare invito ad alzare lo sguardo oltre ogni sua audacia e impresa soggettiva — ancora oltre i discorsi dei nodi borromei e della topologia — ben oltre le parole e gli schemi di oggi. E come un'astronave sfonda barriere invisibili, si scolla dalla psicoanalisi che conosciamo, anche dalla sua propria per come appare, essendo questa in realtà resistente a ogni tentativo di presa definitiva dell'intelletto umano su di essa, e apre affiancandosi ad altri una scena che dovremmo cominciare a ipotizzare, anche se ancora non la vediamo, e anche se abbiamo ancora bisogno di meditare sulle scoperte psicoanalitiche e lacaniane del passato. In questa scena, se c'è un futuro per la psicoanalisi, se c'è grazie ad essa una conoscenza nel reale, è per via di intersezioni impensate, di prospettive e strumenti del pensiero ancora inediti, che dalla riflessione originaria derivano.

 

Sergio Benvenuto, La ballata del mangiatore di cervella. Kris, Lacan e leredità freudiana, (2020 Orthotes, Napoli-Salerno).

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