Remo Ceserani / Curiosità sempre in viaggio

13 Febbraio 2019

Davvero eccezionale, aperta nelle più varie direzioni, è stata la curiosità di Remo Ceserani: come stimolata dal carattere multiforme degli oggetti letterari, dal loro essere rivolti a toccare le più varie e contraddittorie dimensioni dell’umano, dell’essere nel mondo. Nel suo lungo lavoro, negli appassionati percorsi nei più diversi territori della letteratura, Remo ha sempre seguito il suo dispiegarsi in rapporto a tutti gli ambiti dell’esperienza, alle forme della realtà esterna, alle loro interpretazioni, ai modelli culturali e sociali, agli orizzonti epistemologici.

Se la letteratura può di per sé aprirsi verso le più diverse modalità della vita, sia collettiva che individuale, se può confrontarsi con le più diverse articolazioni della cultura e dell’esistenza, lo studioso deve essere pronto a rivolgersi ai molteplici territori da essa chiamati in causa e a mettere a punto metodi e prospettive di analisi volta per volta adeguati: e per questo in linea di principio dovrebbe confrontarsi con le discipline più varie, muovendosi tendenzialmente verso l’intero orizzonte culturale. È insomma la letteratura a imporre un’esigenza di complessità, una sfida a esplorare tutti i territori della cultura, che naturalmente non può mai essere soddisfatta fino in fondo, ma che va continuamente costeggiata, accerchiata, interrogata.

 

A questa sfida Remo ha risposto con la sua inesauribile curiosità, con una sua particolarissima tranquilla irrequietezza: la disposizione eclettica e problematica di lettore onnivoro, curioso dei metodi e degli strumenti teorici più vari, lo ha portato a seguire intrecci e interferenze di ogni sorta. Con pazienza, rigore e ironia, ha continuato a scrutare i più diversi orizzonti di ricerca, a rendere conto delle esperienze della critica e della teoria contemporanea, ricavandone svariate possibilità di interrogazione e comprensione della vita della letteratura. E sempre si è mosso con una straordinaria limpidità argomentativa, che lo ha portato a offrire sintesi chiarificatrici di oggetti di particolare difficoltà, anche delle più complicate posizioni e linee teoriche.

 

La sua prospettiva critica e teorica è stata sempre immersa nell’orizzonte della complessità, sostenuta da una vigile razionalità civile: e si è appoggiata su un senso di concretezza la cui più lontana radice sta forse già in quell’attenzione all’evidenza dei testi maturata alla scuola di Mario Fubini. Ma è stato proprio questo senso del concreto a portare Remo all’insoddisfazione per una critica e storiografia chiusa in un puro ambito filologico e stilistico e nei limitati territori della tradizione italiana, e a spingerlo a cercare ogni sorta di convergenza, sia con le grandi letterature straniere che con tutto il vasto campo dei metodi e delle teorie disponibili. Approdato alle letterature comparate, è stato uno dei rifondatori, il più attivo e produttivo, della disciplina in Italia, allontanandola dall’orizzonte di una meccanica ‘comparazione’ storico-erudita fra le diverse letterature e conducendola verso un necessario confronto con la complessità e globalità culturale.

È evidente come ciò fosse in stretta consonanza con il più generale modificarsi delle forme culturali nel tempo della globalizzazione: e se a questo tema Ceserani ha dedicato il libro del 2012 scritto con Giuliana Benvenuti, La letteratura nell’età globale, un’ottica globale sosteneva in fondo anche il grande manuale curato insieme a Lidia De Federicis, che è stato strumento determinante per generazioni di studenti e docenti, Il materiale e l’immaginario (10 voll., Torino, Loescher, 1979-1988): in esso lo studio della letteratura italiana si apriva alle maggiori prospettive critiche, teoriche ed epistemologiche che allora venivano imponendosi nel nostro Paese, e già tendeva a costruire intrecci e scambi con le principali letterature straniere.

 

A ripensarci oggi, da parte di chi come me ne ha tratto molti insegnamenti e stimoli, Il materiale e l’immaginario si qualificava proprio per la sua eccezionale apertura, per il modo così chiaro e concreto con cui raccoglieva la spinta conoscitiva degli anni Sessanta e Settanta, quel fervore teorico e metodologico che animava allora gli studi letterari italiani, con l’aspirazione a una storiografia letteraria a più dimensioni, tra semiotica, strutturalismo, marxismo critico, nuova storiografia (in primo luogo quella delle Annales), antropologia, psicoanalisi, ecc. Pur fra tante contraddizioni, ci si trovava in un orizzonte culturale in cui era ancora resistente il rilievo pubblico e scolastico della letteratura: e Il materiale e l’immaginario vi si inseriva con una spinta dinamica e fiduciosa, suggeriva nuovi sviluppi e possibilità.

Le cose sono poi mutate: le vicende di fine Novecento hanno visto, insieme all’indebolirsi dei modelli letterari e del loro rilievo pubblico e scolastico, una sempre più marcata crisi delle teorie nel loro rapporto con i testi letterari (crisi legata paradossalmente alla loro diffusione, moltiplicazione, parcellizzazione nel mondo accademico), con l’affermarsi dei cultural studies e della digitalità. Si è perduta quella spinta in avanti che così nettamente caratterizzava il manuale Ceserani-De Federicis: ma Remo non ha mai rinunciato alla sua inquieta apertura, al suo disponibile sguardo in positivo, alla sua attenzione ‘fenomenologica’ all’intero orizzonte culturale.

 

 

Egli ha dato grandi prove di resistenza alla crisi, trovando nella nuova situazione nuovi stimoli a sottoporre la letteratura a confronti con l’orizzonte culturale, con la pluralità di prospettive riconducibili all’area postmoderna e poi a quella che, seguendo Zygmunt Bauman, ha preferito chiamare ‘modernità liquida’. La sua critica ha puntato sempre di più su una disposizione narrativa, convergendo così con il nuovo rilievo che la narratività è venuta ad assumere nel postmoderno. Come ‘racconto’, in Raccontare la letteratura (Bollati Boringhieri, 1990), si è così svolta la sua riflessione problematica sulla storia letteraria e sulle sue necessarie aperture ad altre storie; e come racconto, in Raccontare il postmoderno (Bollati Boringhieri, 1997), si è articolata la stessa sua analisi del postmoderno.

Proprio nella dimensione narrativa Ceserani ha riconosciuto d’altra parte il dato in cui più direttamente si possono sviluppare le convergenze fra gli studi letterari e le altre discipline. Il libro del 2010, Convergenze. Gli strumenti letterari e le altre discipline (Bruno Mondadori, 2010), si è collocato nel cuore di una situazione di crisi, di una generale perdita di prestigio della letteratura e riduzione del rilievo pubblico degli studi letterari, cui fa riscontro un vario diffondersi di modalità letterarie, in primo luogo narrative, e di sguardi alla letteratura da parte di altre discipline. Nella sua passione per le interferenze Remo è sceso nel cuore di questa situazione, rendendo conto, con la sua dispiegata curiosità, di una fitta serie di contatti in atto fra la letteratura e le discipline più diverse, dell’interesse che studiosi e scienziati di vario tipo rivolgono soprattutto alla narrazione e alla creazione metaforica: in queste sperimentazioni egli ha riconosciuto una strada essenziale per orientarsi nella crisi, per tracciare nuovi percorsi per il futuro della letteratura. E nelle ultime pagine di Convergenze ha formulato, pur tra molte cautele, l’ipotesi che tutto ciò «possa far bene alla letteratura»:

 

Inserire il discorso letterario nell’insieme dei discorsi che circolano nelle comunità umane consente paradossalmente di salvaguardarne alcune caratteristiche specifiche (ammesso che sia possibile ormai distinguerlo con esattezza e in modo assoluto e non relativo rispetto ad altri tipi di discorso). Togliere il carattere di sacralità e intangibilità ad alcuni testi, isolati e monumentalizzati, non può che giovare alla libera conoscenza e fruizione di essi.

 

Sotto il segno delle convergenze pluridisciplinari la crisi presente, lungi dal far emergere uno stato di pericolo, viene a suggerire una nuova possibilità di apertura, un nuovo e positivo orizzonte di interferenze, un esteso campo di ‘comparazioni’ che per giunta si volge verso un interesse etico, sotto il segno della responsabilità e del riconoscimento dell’alterità. Chiudendo quel libro del 2010 in chiave positiva, Remo si è voluto mettere esplicitamente nel novero degli «ardimentosi ottimisti», trovando nella confusa situazione presente «uno spazio per l’esercizio dell’analisi critica e della ricostruzione di alcuni parametri etici indispensabili».

Questo senso di fiduciosa apertura è venuto poi ad animare l’appassionato scambio dell’ultimo libro, il dialogo con un grande amico ritrovato, l’etologo Danilo Mainardi: in L’Uomo, i libri e altri animali. Dialogo tra un etologo e un letterato (Il Mulino, 2013) la convergenza si è realizzata in un continuo passaggio di temi, di esperienze, di sperimentazioni, di letture, di rilievi sull’ambiente naturale e sullo spazio culturale. Ne sono scaturite ipotesi suggestive, formulate talvolta con apparente nonchalance, come quella sulla possibilità di «applicare il concetto di ritualizzazione ai generi letterari»: in un percorso che per Remo si conclude sotto il segno di una domanda «sulla differenza fra i tempi e i ritmi dell’evoluzione naturale e quelli dell’evoluzione culturale», sui fondamenti di «quella peculiare capacità che ha la specie umana di inventare storie, personaggi, mondi immaginari e di calarli in finzioni e narrazioni (in quella che a partire dal Settecento si è spesso chiamata “letteratura”)».

 

Si sa come la passione di Remo per i nessi fra il ‘materiale’ e l’‘immaginario’ e per il rapporto della letteratura con l’intero orizzonte dell’esperienza lo abbia portato ad attraversare con grande originalità l’ambito della critica tematica, che egli ha contribuito in modo determinante a diffondere nel nostro Paese. L’esito maggiore nel suo esercizio della critica tematica (oltre alla costruzione, insieme a Mario Domenichelli e Pino Fasano, del monumentale Dizionario dei Temi Letterari, Utet, 2007) è stato certamente il libro del 1993, riproposto nel 2002, Treni di carta (Bollati Boringhieri): dove dal tema stesso scaturisce un’articolata prospettiva storica, insieme a una distinzione di orizzonti ideologici, di modalità di rapporto, di misure dello spazio e del tempo.

Non si può non vedere in questa scelta tematica del treno una sorta di specchio e riflesso del vario viaggiare di Remo, del fatto che la sua disposizione critica e teorica sia stata sempre ‘in viaggio’, in rapporto con i centri universitari d’Europa e d’America, in un gusto del contatto e del confronto fra esperienze in transito, fra suggestioni legate a luoghi diversi. La critica ‘aperta’ di Remo Ceserani, nella sua attenzione per la varietà delle prospettive critiche e teoriche in atto, può anche essere qualificata come una ‘critica in viaggio’, all’altezza della mobilità e dell’eterogeneità nel mondo culturale e sociale, sull’asse spaziale della ‘modernità liquida’.

 

Non va però dimenticato un altro aspetto della personalità di Remo, che ha agito quasi da controcanto, da correttivo interno, a questa sua formidabile apertura: si tratta dell’ironia, di un certo spirito settecentesco, di un gusto dell’aneddoto, della riduzione limitante (ricordo ad esempio l’aneddoto, raccontato nell’Introduzione di Treni di carta, su un curioso errore del caporedattore letterario di «Die Zeit», Friedrich Raddatz). Ceserani è stato sempre pronto a pungere con discreta leggerezza i punti di vista troppo sicuri di se stessi, le eccessive sufficienze di quelle stesse posizioni critiche e teoriche alle quali, pure, prestava adeguata attenzione.

La sua curiosità per le più diverse posizioni intellettuali si è sempre legata a una pronta disponibilità a sentirne il limite. Tutto ciò era ben evidente nella sua conversazione, nei suoi racconti orali e nel leggero riso con cui li accompagnava, ma si manifestava anche in una sua varia esperienza di scritture e spigolature ironiche, la cui maggiore manifestazione è stato il libro del 1996, Viaggio in Italia del dottor Dapertutto (Il Mulino, 1996). Questo viaggio immaginario di due personaggi tedeschi di matrice hoffmanniana offre un’affollata e stravolta immagine parodica della vita intellettuale degli anni Novanta: in un intreccio di voci che sembra registrarne l’evanescenza, sotto il segno della sempre vigile e pungente curiosità di Remo.

 

Questo testo è contenuto nel volume AA. VV., Un «osservatore e testimone attento». L’opera di Remo Ceserani nel suo tempo, a cura di Stefano Lazzarin e Pierluigi Pellini, Mucchi Editore, 2018, p. 762. Ringraziamo l’editore per averci concesso la riproduzione.

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