Intra-Matta

1 Agosto 2013

“Dal momento che la tua vita ti sembra diventata un viaggio senza fine verso il nulla, hai bisogno di una meta per questo tuo viaggio. Lascia che questa meta sia l’architettura (ricorda che da nessuna parte potrebbe essere qui e ora)”. Nelle parole con cui Roberto Sebastian Matta in una lettera del 1962 si rivolge a suo figlio Gordon Matta-Clark, sembra risuonare la natura di questa mostra organizzata dalla Galleria d’Arte Maggiore di Bologna e curata da Danilo Eccher presso l’area Scarpa della Fondazione Querini Stampalia di Venezia. Esposte in questa sede, e per la prima volta insieme, le opere di tre figure emblematiche del XX secolo: il pittore e scultore cileno Roberto Sebastian Matta e i suoi figli Pablo Echaurren e Gordon Matta-Clark.

 

Roberto Sebastian Matta, There was blood in the clouds, 1942, Pastelli a cera, matita su carta, 59 x 73,5 cm. - Courtesy Galleria d'Arte Maggiore G.A.M., Bologna/Paris

 

Se delle tracce biografiche entrano inevitabilmente a far parte della singolare costruzione di questa esposizione, tuttavia, a tessere e restituirne l’articolata geografia, sono il rapporto controverso e mutevole di questi artisti con lo spazio, il sogno, il tempo, la memoria e la società.
L’influenza che Roberto Matta ha avuto sui suoi figli è stata discussa e documentata in molte occasioni ma ciò che emerge principalmente qui è il profondo dialogo tra dimensioni percettive, segniche e materiali, al contempo prossime e profondamente divergenti. A intrecciare saldamente le loro fila oltre a quel legame familiare così delicato, discontinuo e animato, sono, infatti, le reciproche suggestioni visive, ossessioni e idiosincrasie personali che come tanti frammenti di vetro di un caleidoscopio, ruotano modificandosi vicendevolmente tra loro, pur nello spazio delimitato e autonomo dell’unicità di ogni singola opera.

 

Gordon Matta-Clark, Untitled (Spiral Tree), 1972-73, pennarello su carta, 35.6 x 43.2 cm. - Courtesy The Estate of Gordon Matta-Clark and David Zwirner, New York/London

 

Così le sottili fenditure tra un’immagine e l’altra o le loro giustapposizioni asimmetriche, presenti nei montaggi fotografici realizzati da Matta-Clark, ci trasportano negli spazi inquieti e stranianti di suo padre; i cerchi concentrici di quest’ultimo che si dilatano in direzione centrifuga, rimandano alle spaccature circolari di Conical Intersect o ai piccoli vortici di Untitled (Spiral Tree) (Matta-Clark, 1975 e 1972-73); infine, a destabilizzare e scuotere la catena di questi sottesi e supposti rimandi, la preziosa serie di acquarelli e china su carta di Echaurren, in cui lettere, simboli della lotta operaia, stelle e incrostazioni geologiche si ripetono serialmente con piccole variazioni dentro minuziosi riquadri.

 

Pablo Echaurren, Basta con i padroni con questa brutta razza, 1973, acquerello e china su carta, cm. 24 x 18 - Courtesy Galleria d'Arte Maggiore G.A.M., Bologna/Paris

 

Una delle prime riflessioni significative riguardo al rapporto tra Roberto Matta e Gordon Matta-Clark, segnato nel corso del tempo da una fitta corrispondenza e da altrettanti silenzi, si trova nel libro Transmission: The Art of Matta and Gordon Matta-Clark (Museum of Modern Art, San Diego, 2006). In esso una serie di saggi rileggono in chiave psicanalitica la natura di queste mutue risonanze e trasmissioni fatte d’interruzioni e ritorni, suggerendo una relazione tra la serie dei Psychologiacl Landscapes di Roberto Matta iniziata nel 1936, in cui lo spazio architettonico sembra dialetticamente sospeso in un processo di contrazione e deflagrazione continua, e i building-cuts realizzati da Matta-Clark tra il 1973 e il 1976. Tagli e asportazioni di materia da soffitti, facciate e pavimenti di edifici in stato d’abbandono, dunque, come squarci metaforici e protesi sensibili di quegli spazi “intrauterini” costellati da Totem e forme biomorfe, immaginati e disegnati da suo padre? Fori e dissezioni di pareti come estensioni e concrezioni tridimensionali di tracce mnestiche?

 

Laureati in architettura e ossessionati dalle sue forme, ma soprattutto consapevoli della coercizione fisica e psicologica da essa provocata sulle relazioni e la comunicazione tra le persone, ne sovvertono dall’interno le regole, gli ordini e le fattezze. Lo scarto tra queste due visioni e interpretazioni dello spazio, tuttavia, si radicalizza nel momento in cui Matta-Clark, accolta l’eredità storica di queste suggestioni mutuate dall’immaginario onirico del padre (così prossimo e al contempo distante dal Surrealismo e così influente per gli artisti americani dell’Espressionismo Astratto), ne traduce la portata rivoluzionaria e immaginifica nello spessore materico degli edifici. Eseguiti nel cuore e nelle periferie delle città, questi vuoti possono dunque essere letti come possibili e conturbanti trascrizioni di quel seducente e agitato mondo di sogno nella contemporaneità. Lettura singolare, questa, che deve tuttavia necessariamente tener conto del determinato contesto all’interno del quale Matta-Clark ha realizzato i suoi interventi anarchitettonici, poiché questi ultimi, oltre ad essere varchi utopici, erano spaccature critiche volte contro ogni forma architettonica autoritaria e repressiva.

 

Gordon Matta-Clark, Office Baroque, 1977, Silver dye bleach print (Cibachrome), 49.5 x 101.6 cm – 68 x 99 cm. - Courtesy The Estate of Gordon Matta-Clark and David Zwirner, New York/London

 

È dunque all’interno di questa dimensione liminale, fittiva ed effettiva, memoriale e materiale, che i linguaggi, i desideri e le sensibilità di questi due artisti confliggono, pur nella loro straordinaria autonomia. Collisione che emerge in modo significativo all’interno di questa mostra, attraversando le figure ribollenti “di luce e fuoco” disegnate con pastelli a cera da Roberto Matta (Le Forçat de la lumière, 1937), annidandosi nelle fotocomposizioni in cibachrome di Matta-Clark (Office Baroque, 1977) ed esplodendo negli strappi verticali del film City Slivers (Matta-Clark, 1976, 16mm, 15:00 min). Tuttavia, se nelle fenditure perpendicolari che spaccano in due parti simmetriche un edificio (Splitting, 1974) o nelle profonde cavità concentriche che incidono lo spessore di un muro (Conical Intersect, 1975), possiamo ripercorrere quegli spazi concitati scolpiti dalla fervida immaginazione di Roberto Matta, ciò che sorprende è osservare come anche la serie dei bellissimi disegni su carta realizzati da Matta-Clark tra il 1971 e il 1974, così avulsa da quei supporti materici, porti i segni di quella radice eversiva, critica e immaginativa. È proprio la loro esplosione e liberazione di forme, linee, movimenti e temporalità, ma soprattutto il loro eccesso di vita, che Matta-Clark cercherà in tutta la sua opera d’inscrivere nella realtà dello spazio urbano.

 

Roberto Sebastian Matta, Le Forçat de la lumière, 1937, pastelli a cera, matita su carta, 50 x 65 cm. – Courtesy Galleria d’Arte Maggiore, Bologna/Paris

 

Questa mostra però non si esaurisce all’interno di questo scambio, dal momento che coinvolge e attraversa anche le folgoranti opere di Pablo Echaurren. Una serie di quadri di piccolo formato dai colori accesi in cui immagini di rocce, vulcani innevati, figure caricaturali e pianeti, sono distribuite in modo seriale e meticoloso sulla superficie dell’opera, irrompono, infatti, all’interno di questa esposizione facendo deflagrare ulteriormente l’intensità e la complessità di questo dialogo.
Una dopo l’altra queste immagini in miniatura dei primi anni 70’ potrebbero trarre in inganno se interpretate come semplici illustrazioni “di qualcosa”, poiché al contrario ci conducono nel cuore dell’immaginario magnetico, inquieto e cumulativo dell’artista. Queste ultime, infatti, sono disposte ossessivamente in successione come all’interno di un raccoglitore per collezionisti, e si sa che il collezionare è prima di tutto impulso. Spinta e desiderio di accumulo che s’inscrive, rompendo tuttavia con ogni ordine sistematico precedente, anche nell’opera Wall of Fame and Shame del 2012 in cui una serie di lettere, cerchi, parole e volti dipinti ad acrilico riempiono in modo caotico e febbrile lo spazio della tela. Questo lavoro, con i suoi colori meno accesi e l’insieme di figure abbozzate a rapidi tratti ci riporta proprio a quel particolare influsso etnico così vicino alle suggestioni iconografiche del padre mutuate dall’arte africana.

 

Echaurren, Sull'avvistamento, 1975

 

Tuttavia, dopo aver colto possibili rimandi e punti d’incidenza nell’insieme composito di tutte queste opere, ciò che più colpisce è scoprire la bellezza di un legame artistico e familiare che si costruisce e definisce anche per antinomie. Là dove Echaurren riempie la superficie delle sue tele per accumulazioni e ripetizioni (come anche nelle sue bellissime sculture policrome in ceramica, nei mosaici e nelle tarsie in tessuto), Roberto Matta mediante contrazioni e sovrapposizioni, Matta-Clark, al contrario, ne buca provocatoriamente e prepotentemente lo spessore.
In questi processi si sostanzia la natura di tre sguardi e attitudini radicalmente diverse poiché, mentre i primi due creano spazialità complesse e spiazzanti per addizione e moltiplicazione, il terzo le realizza per sottrazione e privazione.
Atti di critica quanto di creazione, queste opere nella loro dirompente diversità sembrano trovare il loro massimo punto d’incontro proprio in quella nota surreale e in differita che al termine di una lettera ricordava: “da nessuna parte potrebbe essere qui e ora”.

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