Piazza Garibaldi: minoranze, teste calde

2 Novembre 2011

Esce – per il momento a Milano (Cinema Mexico) e a Roma (Nuovo Cinema Aquila) – il nuovo documentario di Davide Ferrario, Piazza Garibaldi, che alla presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia ha ricevuto una standing ovation di nove minuti. Il film, nato da un’idea di Marco Belpoliti, è scritto da Ferrario e Giorgio Mastrorocco.

 

“Piazza Garibaldi”, dice il regista, “è un toponimo che si incontra in qualsiasi città italiana. È la metafora della nazione e della sua storia”.

 

Il viaggio è pieno di sorprese, incontri, riflessioni: un grande road movie attraverso la storia e la geografia del paese, cercando di rispondere a una domanda assillante: perché noi italiani non riusciamo più a immaginarci un futuro?

 

Piazza Garibaldi si avvale della partecipazione speciale di Marco Paolini, Luciana Littizzetto, Filippo Timi e Salvatore Cantalupo.

 

 

A convincermi del tutto dell’insostituibilità di giovani e teste calde nei grandi rivolgimenti della storia nazionale, mi soccorre la lettura recente di un bellissimo saggio di Giorgio Mangini, pubblicato anni fa su Rivista Storica dell’Anarchismo: “Aldo Capitini,‘La Cittadella’ e il Movimento di  Religione”. Dove scopro che a far nascere nell’immediato ultimo dopoguerra la splendida esperienza della rivista “La Cittadella”, crocevia decisivo del dibattito politico-culturale post-resistenziale italiano di quegli anni, sono stati quattro ex studenti antifascisti del Liceo Classico “Paolo Sarpi” di Bergamo, poco più che ventenni: Mario Tassoni, partigiano nell’Oltrepò nelle Brigate Garibaldi; Salvo Parigi, esponente di punta dell’azionismo bergamasco; Gian Carlo Pozzi, che prima di riparare in Svizzera partecipò alla gloriosa esperienza della Repubblica dell’Ossola; Dino Moretti, il più ‘vecchio’, classe 1918, che si fece la Guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali e poi la Resistenza in Francia fino al 1943 e in Italia dopo l’8 settembre…

 

C’è una scena del film Piazza Garibaldi, ambientata in Sicilia, dove a commento dell’irriducibile, testarda testimonianza di un prete di Augusta, don Palmiro, di genitori comunisti, che da decenni si batte contro il degrado ambientale e la cappa di silenzio che fanno capo al petrolchimico di Augusta e Priolo, la zona più inquinata d’Italia, a commento - dicevo - del personaggio, citiamo un articolo di Aldo Capitini degli anni ’50. In poche righe il futuro fondatore del Movimento Nonviolento, nonché promotore della prima Marcia per la Pace di Assisi, spiega il ruolo decisivo nella storia del nostro paese svolto dalle minoranze. A partire dal francescanesimo, che esplicita agli inizi del XIII secolo la “differenza tra la Religione e la Chiesa”. E via via, attraverso il meglio della cultura italiana, fino ad arrivare a Matteotti, Amendola, Gramsci e Rosselli.

 

 

Partiti nell’elaborazione della sceneggiatura del film dagli studenti del Liceo Classico di Bergamo che raggiungono Garibaldi a Genova a fine aprile 1860, mi ritrovo davanti altri ex studenti di quello stesso liceo capaci, dopo l’8 settembre 1943, di fare la scelta giusta e, a partire dal 1946, protagonisti di quell’avventura culturale che farà conoscere prima a Bergamo e poi nel resto d’Italia Aldo Capitini e la sua eresia nonviolenta.

È come se l’idea germinale del nostro lavoro trovasse una conferma: minoranze, giovani e teste calde, il classico cerchio che si chiude.

 

Post scriptum. Ogni eventuale allusione ai fatti di Roma del 15 ottobre che il lettore volesse inferire da queste brevi note  rimanda alla concretezza dei fatti accaduti. Ed è quindi, se non suggerita, ammissibile.

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