Salvare il mondo / Scienza senza coscienza

3 Settembre 2019

La notizia

 

Sul New York Times del 10 Agosto scorso è apparso un articolo di Sheri Fink dal titolo “This High-Tech Solution to Disaster, Response Maybe too Good to Be True”, che si potrebbe tradurre, grosso modo: “Troppo bello per essere vero, ma forse questa soluzione ad alta tecnologia porta disastri”.

Si parla di un’impresa, chiamata One Concern, che ha inventato tecnologie per “salvare vite umane” in casi di emergenza: terremoti, alluvioni e incendi improvvisi. Già parte del titolo – troppo bello per essere vero – fornisce qualche indizio. 

La frase “troppo bello per essere vero” si riferisce al mondo onirico, alle rêverie, ai sogni a occhi aperti evocati da Bion, Winnicott, Bachelard. Nel campo dell’imprenditoria è uso evocare il visionario, il “lucido folle” che, seguendo un sogno, ottiene risultati insperati. 

Anche il signor Ahmad Wani, di 31 anni, capo di One Concern, dichiara di avere un sogno. Ha vissuto la propria infanzia in India e testimoniato come la perdita di vite umane durante i disastri ecologici fosse dovuta alla disorganizzazione dei mezzi di soccorso e all’improvvisazione, non solo in India, ma anche nel mondo industrializzato. Anche lui ha un sogno: “salvare vite umane”. 

Tuttavia l’autrice dell’articolo ha qualche sospetto. In primo luogo, si tratta di capire che cosa significa mettere insieme due scopi tra loro così diversi: salvare vite umane e guadagnare enormi quantità di denaro. È una riflessione legittima: ora chiedi una quantità enorme di denaro promettendo di salvare più vite umane, ma quali sono le tue “credenziali”?

Molti esperti, anche interni alla compagnia, hanno simulato gli effetti di questi interventi e li hanno ritenuti inaffidabili, risultato: se erano dipendenti, sono stati licenziati. Tra gli investitori al progetto ci sono gruppi multimilionari, che non vogliono perdere denaro, dunque i due obiettivi, salvare vite umane e fare profitti, sono già in doppio legame: è necessario andare avanti comunque. 

 

La mala fede nel tempo

 

Marx aveva denunciato questo fenomeno come “falsa coscienza”. Da una parte l’etica del capitalista, che reinveste i profitti per la causa del progresso e dello sviluppo, dall’altra la denuncia dell’ingiustizia perpetrata attraverso lo sfruttamento degli operai. Il fallimento del marxismo si mostra quando gli operai diventano, a loro volta, parte del sistema. Quando possono permettersi l’accesso ai beni di lusso, prima nelle Americhe, poi, con il secondo dopoguerra, in Europa, il socialismo non è più necessità storica, perde la sua caratteristica di scientificità, diventa una possibilità morale, ci vuole fede, bisogna crederci.

In quel momento, nasce, dentro il marxismo, l’idea sartriana della mauvaise foi, la mala fede. Per Sartre, nessuno sfugge alla mala fede, perché, a differenza del senso comune, che attribuisce alla malafede un progetto consapevole, e la confonde con la menzogna, la mala fede, in filosofia, riguarda ognuno di noi. Ha la stessa struttura della menzogna, con una differenza: quando mento, io mento all’altro, che non lo sa. Nella malafede io mento a me stesso. So che mento, ma fingo, o meglio, mi figuro di non saperlo; la malafede filosofica, implica la buona fede in me stesso. Condizione umana, l’operaio si corrompe quando acquista la 600, la 600 avvia una disposizione: le vacanze, le domeniche al lago o alla partita, l’imborghesimento.

 

 

Questa la riflessione amara del marxismo degli anni del dopoguerra; questa la ragione, per molti filosofi marxisti, dello studio della psicoanalisi e dell’antropologia. La doppia dimensione della malafede era un fenomeno dissociativo. Oggi non è più così, oggi la mala fede è di nuovo cambiata, si assiste a una “scissione delirante”. È forse per fermare, ma invano, questa deriva che Edgar Morin, anni fa, scrisse Scienza con coscienza. Ma oggi esiste ancora la coscienza?

Ahmad Wani riconosce  che «la sua compagnia talvolta promuove prodotti ancora non disponibili, ma solo dopo “convalidiamo la scienza che funziona”… La nostra missione non è solo far soldi, aggiunge poi il signor Wani, “stiamo cercando di salvare il mondo” (dall’articolo di Fink sul New York Times).

La buona fede si dichiara attraverso deliri come: “Io salverò il mondo”; molti ci credono, bisogna che ci credano, ci sono investimenti economici enormi. Un tempo la 600, benché fosse poca cosa, ti arrivava davvero, oggi ti rimane solo il sogno di fare soldi a palate senza sforzo, come nel gioco d’azzardo. In pratica: le multinazionali salveranno il mondo, o ci credi o morirai in breve tempo; dunque, come nelle pubblicità del mobilio, corri finché sei ancora in tempo. 

 

Conta quel che la gente sente

 

La “gente” desidera sentirsi dire che il mondo va a gonfie vele, ci sono problemi, ma il mondo va a gonfie vele, non importa che la realtà mostri il contrario. Questo è il modo in cui oggi funziona il desiderio. Marco Dotti ha recentemente scritto su Linkedin un saggio sul libro Words that Work, di Frank Lunz, uno dei maître à pensée di questo modo di ragionare. Secondo Dotti, Lunz non è un semplice creatore di metafore, un creativo qualunque, Lunz “crea cornici, definisce gli ordini e i disordini del discorso, costruisce regimi di verità. Insomma: tira un cerchio dentro il quale le idee – tutte le idee, uguali o contrarie – si muoveranno”. 

La magica creazione di Lunz consiste nell’avere cambiato “riscaldamento globale” in “cambiamento climatico”. Ci sono stati tutti, in nome dell’idea che la scienza non riesce a dare certezze. “Riscaldamento globale” è un’ipotesi incerta, pessimista. Benché sia sotto gli occhi di ognuno, e molti scienziati forniscano dati, c’è incertezza. “Cambiamento climatico” sposta l’attenzione dalle responsabilità delle multinazionali, che devono continuare a fare profitti, a un fenomeno quasi-naturale, che richiede correttivi. 

La scienza è diventata la coperta corta della post-verità, se qualcuno dissente viene licenziato, i controlli di enti indipendenti vengono osteggiati, si ammettono possibili errori, ma intanto si va avanti. Solo il tempo servirà a dimostrare i disastri, ma allora sarà tardi per rimediare.

 

Una sola delirante preoccupazione: fare soldi

 

One Concern sembra disinteressato a dare contributi che fermino il riscaldamento globale – rispetto ai quali alluvioni e incendi sempre più diffusi sono evidenza –; One Concern, a quanto sostengono Fink e gli ingegneri coscienziosi esterni, o licenziati dall’establishment, vuole riparare “a posteriori” i danni prodotti dal cambiamento climatico attraverso sistemi di Intelligenza Artificiale che possono dimostrare di funzionare solo dopo essere stati installati. Se non funzionano, i luoghi che useranno lo strumento a disposizione, pagando centinaia di migliaia di dollari, avranno anche ingenti perdite di vite. D’altro canto, di fronte al “cambiamento climatico”, più che fermare il tasso di sfruttamento della terra e rallentare lo sviluppo economico – come se fossimo di fronte al “riscaldamento globale” – bisogna preparare rimedi post hoc. E aumentare la protezione post hoc. Forse non funziona, ma ci sono in ballo solo vite umane: “sacrificarne dieci per salvarne cento”, non è musica nuova. L’epoca della post-verità ha cambiato la struttura della mala fede, la post-verità è una menzogna raccontata agli altri, che sanno che sto mentendo. Proprio per questo mi appoggiano!

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