Oliver Sacks. Hallucinations

23 Aprile 2013

L'ultimo libro del neurologo Oliver Sacks, Hallucinations, apparso alcuni mesi fa in America e Inghilterra, è, negli intenti dell'autore, "una sorta di storia naturale o antologia delle allucinazioni".

 


Vi troviamo, capitolo dopo capitolo, un'affascinante rassegna delle allucinazioni più disparate: esperienze tattili, uditive, visive, olfattive e propriocettive (come la sensazione di abbandonare il proprio corpo e guardarlo dall'alto o l'esperienza, spesso dolorosa, di un arto fantasma, cui sono spesso soggetti coloro che hanno subito amputazioni). Fenomenologicamente, i casi riportati variano molto. Si va da esperienze molto vivide e "reali", ma percepite come estranee e emotivamente neutre, spesso descritte "come un film", talvolta persino un po' noioso (come l'apparizione di uomini vestiti in abiti asiatici che camminano senza sosta avanti e indietro in silenzio), fino a esperienze estatiche, simili ai sogni, dal carattere religioso o mistico, che mobilitano la sfera culturale e emotiva del soggetto e lo interpellano direttamente, con parole confortanti o sguardi feroci. Alcune allucinazioni sono buffe, come l'apparizione di Kermit la Rana, altre filosofiche, come l'esperienza vissuta dallo stesso neurologo in un periodo in cui faceva uso di droghe psicotrope, che si ritrovò a intrattenere con un ragno un dotta conversazione su Frege e il paradosso di Russell.

 

 

Dalla sua rassegna Sacks omette deliberatamente le allucinazioni connesse con la schizofrenia e altre sindromi psichiatriche (con l'unica eccezione delle allucinazioni in seguito a forti traumi, in genere clinicamente classificate come condizioni psichiatriche). Si concentra invece sulle "psicosi 'organiche' - le psicosi transitorie associate talvolta con il delirium tremens, l'epilessia, l'uso di droghe e alcune condizioni mediche", prime fra tutte la deprivazione sensoriale. Uno degli intenti dichiarati del neurologo, infatti, è quello di rassicurare coloro che hanno o hanno avuto allucinazioni e che spesso temono per la propria sanità mentale o vengono diagnosticati erroneamente.

 

Nel capitolo "Hearing Things", Sacks riporta uno studio condotto dallo psicologo di Stanford Rosenhan e apparso su Science nel 1973 che rivelò come la sola presenza di allucinazioni fosse sufficiente a una diagnosi di schizofrenia. Otto pseudo-pazienti, tra cui Rosehnan stesso, si presentarono in diversi ospedali degli Stati Uniti lamentando allucinazioni uditive, non accompagnate tuttavia da nessun altro sintomo né tali da interferire con il loro comportamento. Tutti vennero diagnosticati schizofrenici (tranne uno cui fu diagnosticata una psicosi maniaco-depressiva) e ricoverati.

 

Sebbene al giorno d'oggi la schizofrenia non venga più diagnosticata con tanta facilità, l'equazione assiomatica tra allucinazione e "pazzia" è ancora molto diffusa, soprattutto nell'opinione pubblica.  
I termini "storia naturale" e "antologia" catturano perfettamente il metodo di lavoro e la filosofia di Sacks. Hallucinations non è un semplice catalogo in cui le allucinazioni vengono descritte e organizzate secondo rigidi criteri diagnostici, ma una vera e propria antologia di racconti clinici, perché per Sacks la descrizione della patologia non prescinde mai dal soggetto che le subisce e dal racconto della sua storia personale.

 

Se "antologia" rinvia alla dimensione narrativa del lavoro dell’autore, "storia naturale" rinvia a Goethe e alla tradizione di "scienza romantica", secondo il termine usato da Lurija, in cui Sacks si iscrive. Per Alexandr Lurija, il celebre neurologo sovietico, chiamava "romantica" una scienza descrittiva e narrativa, che si contrappone al riduzionismo meccanicista e alle classificazioni statiche della "scienza classica", e rifiutava l'opposizione tra scienze dure e scienze umane. Lurija rappresentò un modello fondamentale  per Oliver Sacks. Lo racconta egli stesso in una conferenza tenuta recentemente all'Università di Warwick dal titolo significativo "Narrative and Medicine: the importance of the case history", in cui il neurologo ci consegna una sorta di biografia intellettuale e professionale (tutte le citazioni di Oliver Sacks che seguono sono tratte da questa conferenza, che potete ascoltare integralmente qui): 

 

"Lurija pubblicò fino agli anni 60 libri con titoli come Higher cortical functions in men, ma poi pubblicò due libri notevoli, uno nel 1968, dal titolo La mente di un Mnemonista (un mnemonista è una persona con una memoria infinita) [Il libro è stato pubblicato in Italia con due titoli diversi: nel 1991, da Editori Riuniti, con il titolo Un piccolo libro una grande memoria, e nel 1979, in una traduzione diversa, da Armando, con il titolo Viaggio nella mente di un uomo che non dimentica nulla]. Io lessi circa quaranta pagine di quel libro pensando che fosse un romanzo e realizzai solo in seguito che si trattava di uno studio di caso clinico, il più bello, profondo, dettagliato che avessi mai visto. Ma uno studio di caso clinico con il pathos, l'intensità, il dramma e tutti i sentimenti di un romanzo. Per me era un romanzo non di finzione, che mostrava che la scienza e il raccontare storie potessero essere complementari e non antitetiche."

 

Questa tradizione di "scienza romantica" ha raggiunto il suo punto più alto nel XIX secolo, che ha prodotto numerosi studi di casi clinici eccezionali per profondità, vividezza e dettaglio, per poi dissolversi nel corso del XX secolo, che ha visto imporsi  progressivamente l'idea che indagini meccaniche ed elettroniche possano, insieme a una lista di criteri diagnostici, sostituire un'anamnesi e uno studio dei casi clinici dettagliati.

 

Sacks racconta di come abbia progressivamente visto scomparire, dagli ospedali, le descrizioni accurate della storia clinica dei pazienti cronici, che permetteva ai medici di comprendere il vissuto di queste persone.

 

"Questo coincise con la pubblicazione, negli anni 80, di un libro che non esito a chiamare, anche se può sembrare ingiurioso, abominevole, il Diagnostic Statistic Manual, il DSM. Il DSM fornisce criteri per ogni tipo di malattia psichiatrica e neurologica. I medici furono messi sotto pressione per usare questi criteri, altrimenti non potevano essere incaricati di visitare il paziente.
Non ho niente contro i criteri, ma una lista di criteri non può sostituire una descrizione intera o una storia. C'è un grande pericolo, almeno negli Stati Uniti, che la grande tradizione dello studio analitico e elaborato dei casi clinici vada persa."

 

Non stupisce allora che in Hallucinations ricorrano numerosi riferimenti a studiosi del XIX secolo o precedenti (Jean-Étienne Esquirol, Francis Galton, Charles Bonnet, William James, James Parkinson, William Gowers...). Così che il libro si può leggere letteralmente come una storia naturale delle allucinazioni, ovvero un capitolo di storia della medicina. Molto ampi sono pure i riferimenti letterari (T. de Quincey, H. James, Maupassant, Baudelaire, Lewis Carroll, Dostoevskij, W. H. Auden, Proust, Rilke, Nabokov e molti altri) ricchi di descrizioni dettagliate e vivide di stati allucinatori, spesso autobiografiche.   

 

Non mancano tuttavia i riferimenti agli studi neurologici più recenti, come quelli di Olaf Blanke e Dominic Ffytche. Come detto, per Sacks, la narrazione dei casi clinici non deve contrapporsi alla tecnologia medico-scientifica, ma integrarsi ad essa.

 

Nel sesto capitolo di Hallucinations, “Altered states”, largamente autobiografico, Sacks racconta la sua frustrazione nel leggere la letteratura sull'emicrania, a cui si era interessato nel corso del suo primo impiego a New York: la letteratura contemporanea gli pareva una sterile raccolta di dati e statistiche, incapace di restituire la realtà complessa che incontrava nel suo lavoro quotidiano e che cercava di capire meglio. La sua frustrazione finì quando gli capitò tra le mani il libro pubblicato nel 1873 dallo psicologo inglese Edward Leveing, dal titolo On Megrim. Sick-headhache, and some allied disorders: A contribution to the Pathology of Nerve.  

 

Questa lettura lo entusiasmò oltremodo. I pazienti erano presentati tutti individualmente con grande sensibilità umana e sociale. L'entusiasmo del giovane Sacks fu amplificato dall'anfetamina, sotto il cui effetto stava leggendo quel libro, al punto che egli racconta di aver raggiunto, nel corso della lettura, una completa immedesimazione con Leveing nell'atto di visitare i pazienti e di aver avuto la sensazione di stare scrivendo quel libro, piuttosto che leggerlo. Riemergendo dalla fantasia di essere Leveing, Sacks si chiese chi avrebbe potuto scrivere, nel 1960, un libro del genere. Dopo aver passato in rassegna invano un gran numero di colleghi, una voce interna tuonò: "Tu stupido coglione! tu lo scriverai!". Il giorno dopo, racconta Sacks, iniziò a scrivere il suo primo libro, Emicrania, su un soggetto che, benché possa sembrare un piccolo tema marginale, "può fornire un'eccezionale finestra sul sistema nervoso".

 

Il lavoro sull'emicrania gli aveva insegnato che la medicina non può ridursi alla somministrazione di un farmaco, ma deve tenere conto dell'economia di un individuo, del ruolo che i sintomi possono assumere nella sua vita.

 

L'esperienza presso una clinica per malattie croniche fu ancora più decisiva e il libro che ne derivò, Risvegli, ancora più risolutamente narrativo. Risvegli racconta degli spettacolari e inattesi risultati della sperimentazione condotta di L-Dopa, un nuovo farmaco su pazienti sopravvissuti all'epidemia di encefalite letargica a cavallo nei primi anni 20, e rimasti in uno stato catatonico per decenni. Quasi contemporaneamente, ottanta persone, fino ad allora mute e immobili come statue, iniziarono a parlare, muoversi e sentire. Il libro racconta le vicissitudini dei "risvegliati" e le loro difficoltà a reinserirsi in una realtà che per oltre quarant'anni per loro non era esistita: la necessità più impellente per queste persone era che gli fosse restituita una storia che desse senso e coerenza alle loro esistenze.

 

 

Risvegli ebbe uno straordinario successo di pubblico e di critica, ne furono tratti un film di successo e uno spettacolo teatrale di Harold Pinter. Fu però del tutto ignorato dai colleghi (con la sola, prevedibile, eccezione di Lurija, che lo salutò come la dimostrazione che la tradizione dello studio di casi clinici potesse essere ravvivata con grande successo), come se l'utilizzo di una dimensione narrativa corrispondesse ipso facto all'abbandono della propria integrità scientifica.  
Sacks si è sempre opposto a questa divisione tra tecnico e popolare, tra umanistico e scientifico, ricordando come si tratti di una divisione relativamente recente. Ancora una volta il modello di Sacks è quello della grande scienza ottocentesca: "Tutti i libri di Darwin sono tanto facili e piacevoli da leggere quanto romanzi. Sono, di fatto, romanzi non di finzione, dei romanzi scientifici: contengono scienza, ma la scienza è integrata in una storia. Questo a me pare l'ideale."

 

Nel corso degli anni, in pochi sembrano aver seguito l'esempio di Sacks. Le università continuano a produrre medici con scarse conoscenze in storia della medicina e ancor più scarse conoscenze umanistiche. Ogni anno si pubblicano centinaia di articoli e libri che ancora abbracciano ciecamente il paradigma computazionale del cervello (con le sue metafore di hardware, software e processore), nonostante la profonda critica a questo modello in corso ormai da decenni nell'ambito delle neuroscienze e della filosofia della mente. Per non parlare delle pressioni produttivistiche esercitate a tutti i livelli nella nostra società, molto pressanti anche all'interno delle istituzioni mediche. La mancanza di tempo, dice Sacks, è l'ostacolo ad un approccio più umano e personalizzato alla medicina che più spesso i suoi colleghi adducono:

 

"I medici mi dicono che non hanno tempo di scrivere i casi clinici: ma invece c'è il tempo. Uno studio di caso clinico dettagliato e profondo non deve essere lungo. Se si sa usare il linguaggio, può essere di un paio di paragrafi. Ma bisogna usare correttamente il linguaggio".

 

Usare correttamente il linguaggio è qualcosa per cui Sacks ha un dono particolare. In Hallucinations, come in tutti i suoi libri precedenti, il lettore troverà una lingua colta e piacevole, una scrittura efficace e puntuale e un'eccezionale capacità di restituire i tratti e i vissuti delle persone. Una straordinaria capacità narrativa.

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