Picnic a Ninfa

11 Luglio 2013

Per tutto l'inverno c'era stato un fitto scambio di e-mail: chi avrebbe dovuto partecipare, quale il dress code, come avremmo organizzato il picnic. Argomenti futili in apparenza, ma l'occasione lo richiedeva. Attraverso Sophie, eravamo stati invitati alla giornata di primavera organizzata dagli amici del giardino di Ninfa, un club di inglesi perlopiù residenti a Roma che perpetuano la memoria della famiglia Caetani, principi di Sermoneta, e della loro creatura più bella: un giardino all'inglese, proprio sotto i Monti Lepini (circa un'ora a sud di Roma).

 

 

Era di maggio e il ristretto gruppo di invitati si radunò nella foresteria per ascoltare le parole di benvenuto dei discendenti di rami collaterali (se ho inteso bene) delle famiglie dei principi che, per tradizione, sposavano donne inglesi o americane. In silenzio abbiamo appreso la storia del giardino che nasce da una bonifica di fine Ottocento di un'area paludosa che aveva invaso Ninfa, cittadina abbandonata nel XIV secolo e di cui restano ruderi che sembrano nati dalla fantasia di Walter Scott. La più celebre tra le spose Caetani (Gelasio e Roffredo, nomi, ne converrete, poco adatti per il XX secolo, sono stati gli ultimi epigoni della dinastia) fu Marguerite Chapin Caetani, fondatrice di “Commerce” e “Botteghe Oscure”, raffinatissime riviste che trasmettevano un'idea salvifica della letteratura e trovano un esatto corrispettivo nel giardino.

 

 

Qualcuno sussurrava che qui Bassani scrisse parte del Giardino dei Finzi Contini, mentre una signora inglese chiedeva quale fosse l'equivalente italiano di "garden of Eden". Per un momento ho pensato all'elegantone Sir Anthony Eden, modello per generazioni di anglofili italiani. Avevo infatti interpretato il casual dress dell'invito al mio meglio, ma un amico mi fulminò con la battuta che il domestico fa ad Alberto Sordi in Fumo di Londra: "dottore c'è solo lei vestito da inglese!". D'altra parte tra gli invitati si annoveravano: l'Ambasciatore giapponese e Signora, l'Ambasciatore britannico presso la Santa Sede e Signora, una principessa Borghese ("sono venuta in treno da Roma. È comodissimo. D'ora in poi solo così”), una discendente di un’illustre famiglia di nobiltà borbonica. Completava il gruppo un fritto misto di meno immacolata provenienza, con una maggioranza di English Eccentrics degni dei fratelli Sitwell.

 

 

Lo splendore del giardino, le fioriture di così diversi tipi di rose, le acque immacolate che facevano da cornice alla flora subacquea richiederebbero, per una descrizione adeguata, la perizia della mia vicina di blog Angela Borghesi. Quel che mi sembra di aver capito è che il disegno  del giardino, per cosi dire a geometria variabile, con prospettive continuamente cangianti, la studiata disposizione di alberi ad alto fusto, cespugli e le molteplici fioriture, hanno il compito di immergerti in una bellezza davvero spirituale e rinforzano la suggestione, ma forse è verità, delle possibilità consolatorie della natura. Non si vive di solo spirito e giunta l'ora di pranzo il gruppo ormai affiatato si divideva tra chi aveva pagato 30 euro per un buffet offerto in forma di garden party (cioè senza volgari tavolate) dall'aspetto molto semplice ma invitante (pastasciutta, cotolettine, piattoni, fragole e panna) e gli integralisti del picnic.

 

La nostra tour leader, dopo aver dato disposizioni a tutti, si era limitata a portare un paio di bottiglie di vino (buone, per carità), ma in nostro soccorso era giunto Stanley Stewart, noto travel writer britannico, ma per l'occasione soprattutto professionista del picnic (pare siano favolosi quelli che organizza in Dorset). Da un'impeccabile cesta di vimini sono sfilati, oltre a piatti, posate e bicchieri, una gustosa insalata d'orzo e una capponata su cui tutti si sono avventati dimenticando per un momento l'etichetta. La conversazione proseguiva, more britannico, tra argentini gorgoglii e sonore risate. Il gruppo si dava poi appuntamento, da lì a qualche settimana, per un recital di sonetti di Shakespeare davanti al cimitero acattolico di Roma.
Io non sarei potuto andare e così qualche giorno dopo passeggiavo con un'antica fidanzata per il roseto comunale dell'Aventino. Rosae Rosarum Rosis… ma più che Shakespeare riaffiorava Gozzano:"non amo che le rose che non colsi".
 

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