I lombrichi di Darwin e il mondo che sprofonda

6 Settembre 2020

Nell’estate del 1837 Charles Darwin accompagna lo zio Jos Wedgwood a passeggio nel giardino di Maer Hall. Il giovane scienziato ha ventisette anni ed è appena tornato dal viaggio intorno al mondo sulla Beagle; ora tra i suoi passatempi c’è il giardinaggio e la lettura di romanzi. Lo zio gli mostra un terreno incolto in cui anni prima erano state sparse calce e cenere, e che adesso non si vedono più. Si scorge solo uno strato argilloso. Jos spiega al nipote che probabilmente erano stati i lombrichi a compiere questa trasformazione. Come raccontano nella loro monumentale biografia di Darwin Adrian Desmond e James Moore (Darwin, Bollati Boringhieri), lo zio pensa che questi dettagli di giardinaggio non interessino molto a Charles, il quale sta lavorando alle proprie ricerche su scala continentale. Invece non è così. Il futuro padre della teoria evoluzionista dimostra una viva curiosità per le osservazioni sui lombrichi e continuerà a pensare a quella osservazione dello zio per tutta la vita, sino a che, nel 1881, poco tempo prima della morte, pubblicherà un ultimo libro dedicato proprio a questo tema: L’azione dei vermi nella formazione del terriccio vegetale.

 

Dopo aver sconvolto la scienza inglese, e non solo, eliminando la mente divina dalla natura, e dopo un ultimo viaggio a Londra, dove ha incontrato un suo critico, il duca di Argyll, con cui ha parlato di religione, Darwin torna nella sua casa a Down e si mette al lavoro per spiegare come il paesaggio agrario inglese sia stato modellato non dalla mente divina, bensì da milioni di menti individuali. Per la precisione, scrivono i due biografi, da 53.767 esseri viventi per acro. I vermi o lombrichi sono infatti esseri intelligenti, come dimostrerà nel volume Darwin. Per scrivere il libro egli comincia a fare esperimenti nel proprio studio; la stanza viene riempita di lombrichi conservati dentro vasetti; per vedere come si comportano con la terra, scende anche di notte munito di candele. Osserva da vicino l’assiduo lavoro dei lombrichi; poi sperimentava vetri di colore rosso e blu per capire le loro reazioni sensibili; usa anche il calore e un fischietto per verificare le risposte dei vermi. Si dedica persino alle ricerche sul loro senso dell’olfatto. Il libro è l’ultima pubblicazione che Darwin consegna alle stampe. Il 19 aprile del 1882 muore a Down House, la sua amata casa da cui si è ben poco spostato dopo il ritorno dal viaggio intorno al mondo. Il libro è stato tradotto in italiano nel 1882 da Michele Lissona e da allora non è più stato ristampato, salvo un’edizione in anastatica a cura della Associazione Italiana Allevatori di Lombrichi, con la prefazione del biologo ed etologo Giorgio Celli nel 1981.

 

Oggi però abbiamo un’edizione completa del libro tradotto da Milli Graffi, che ne aveva già approntato una prima traduzione in rivista nel 1997. La nuova edizione tiene conto delle tre tirature principali inglesi con le correzioni apportate da Darwin e poi dai suoi eredi (L’azione dei vermi, Mimesis, pp. 193, euro 16). Uscita nel 2012 per la cura di Giacomo Scarpelli, che firma una bella prefazione, è probabilmente una delle opere meno note di Darwin, anche se all’epoca fu un vero e proprio successo editoriale: vendette 8500 copie in tre anni e la sua diffusione fu superiore alla stessa Origine della specie, il suo libro capitale, quello per cui è ancora ricordato oggi. Perché L’azione dei vermi è così interessante? Lo ha spiegato Stephen Jay Gould in un suo saggio: Lombrichi per un secolo, e per tutte le stagioni, che si trova riprodotto nel volume intitolato Quando i cavalli avevano le dita (Feltrinelli). Prima di tutto perché è scritto meravigliosamente. Secondo: perché dimostra come a modificare la terra, rimescolandola continuamente, sono creature così poco considerate: i vermi. Terzo: perché fa vedere anche con delle immagini e disegni che il lavoro dei lombrichi è lento e costante, come la stessa evoluzione degli esseri viventi sulla superficie della Terra. Quarto: perché i lombrichi formano lo strato superiore del suolo, il terriccio vegetale, fondamentale per la coltivazione e poi depositano sul suolo una gran quantità di terra fine in forma di rigetti o deiezioni.

 

 

Quinto: è davvero straordinario che l’intera campagna sia passata per molte volte all’interno del canale digerente dei lombrichi e che vi ripasserà ancora molte altre volte. Sesto: qualcosa che ci sembra così stabile – il suolo – in realtà è l’effetto di un rimescolamento quasi invisibile. Tutto sotto i nostri piedi si muove, così come il Pianeta nello spazio infinito. Darwin era attirato da questa regolarità d’azione, che porta a scendere verso il basso nel terreno pietre e rovine del passato. Studiò per questo l’affondamento delle “pietre druidiche” a Stonehenge, dove si recò in visita per rendersi conto di persona dell’interramento dei pietroni. Andò e tornò in giornata, viaggiando in treno e in carrozza nonostante il timore della moglie Emma, che era preoccupata per la sua età: aveva settantadue anni.  Dopo la gita esplorativa era eccitato per le prove raccolte, trasferite poi in disegni nel libro. Se esseri così minimi e minuti affondano le pietre druidiche, e pure le antiche terme romane, cosa potevano fare ben altre trasformazioni avvenute nell’arco di un tempo così lungo, come aveva intuito nel suo viaggio intorno al mondo? Gould spiega che da questo libro così ben scritto – Darwin è un vero scrittore, come Galileo, come Spallanzani, e come tanti altri grandi del passato – si capisce quanto sia importante nella scienza il matrimonio tra aspetti particolari, i dettagli, e quelli generali, le idee che guidano le ricerche. Libro minuzioso, e tuttavia per nulla noioso, dimostra l’amore di Darwin per i particolari. Ci insegna inoltre due cose contemporaneamente: come si fa a studiare un oggetto specifico in modo minuzioso senza trascurare nulla, e insieme come si possa capire il passato studiando il presente.

 

La sua è un’archeologia, metodo di cui un altro studioso terrà conto, Sigmund Freud, allievo ideale del fondatore dell’evoluzionismo e appassionato di archeologia, di cui era collezionista: l’inconscio come archeologia dell’individuo. Le vestigia delle antiche civiltà del passato, ci ricorda Scarpelli, sono finite sotto terra non solo, e non tanto, per eventi catastrofici, ma per il lavoro costante e inarrestabile dei vermi-lombrichi. Nella pagina iniziale del libro Darwin scrive una frase emblematica: “la massima de minimis lex non curat non si applica alla scienza”. Sono infatti gli effetti piccoli e cumulativi a essere interessanti, ricorda Gould. Pensare che esseri così poco considerati – “verme “è senza dubbio una parola offensiva in quasi tutte le lingue – triturano i sassolini nel terreno, smuovono le rocce e le macinano pian piano, colpisce e mostra ancora una volta la genialità di Darwin. Ma c’è ancora una questione interessante che Milli Graffi, poetessa e traduttrice, mette in luce grazie a un’altra opera famosa di cui si è occupata. Nel 1989 Graffi ha tradotto per Garzanti Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, mettendo in luce come vi sia una connessione tra il personaggio di Lewis Carroll e i vermi di Darwin. Anche lei, la bambina, va sotto terra, e per questo cade all’indietro. Scrive Graffi che, in modo simile, Darwin andava ad indagare a ritroso nel tempo le diverse tracce di forme di vita.

 

Il libro del Reverendo Dodgson – questo il vero cognome di Carroll – è posteriore a l’Origine della specie e la traduttrice nella sua nota di edizione lo interpreta come un viaggio “a ritroso all’origine della propria psiche e dei sedimenti che la costituiscono”; in ogni incontro che Alice fa nella sua avventura sotterranea non fa altro che ritrovare qualcosa di se stessa, che lei stessa interroga: cerca di ritrovare la sua identità perduta. Nella lettura di Graffi Alice cade all’indietro e tutto si svolge a ritroso. Per un caso curioso nel 1999 Adam Philips, uno psicoanalista inglese, curatore delle opere complete di Freud in inglese, ha scritto un libro intitolato Darwin’s worms (tradotto in italiano con il titolo I lombrichi di Darwin e la morte di Freud, tr. it. di Daniela Gamba, Ponte alle Grazie), in cui esamina il libro del naturalista inglese. Si tratta di un libro bifronte, dato che mette a confronto le due visioni di Darwin e di Freud (il tema della morte nel fondatore della psicoanalisi), dando però la prevalenza al libro dedicato ai lombrichi, alla relazione che, in modo più o meno diretto Darwin ha stabilito tra i vermi e l’uomo. Quello che lo avvicina a Freud è l’idea che tutto ciò che appare visibile è sempre il risultato di un processo nascosto. Se Darwin ha sostituito al mito della creazione il mito laico della conservazione, scrive Philips, i lombrichi svolgono il ruolo fondamentale, ma nella loro “conservazione” è compresa la “demolizione”, come quando, verifica Darwin, le antiche rovine romane, oltre alle pietre druidiche, sono affondate nel terreno grazie al continuo lavorio dei vermi invisibili.

 

Come a Freud, al padre dell’evoluzionismo “interessa capire in che modo la distruzione conservi la vita, e quale tipo di vita la distruzione renda possibile”. Il primo libro che Darwin ha scritto nel 1842 è dedicato ai banchi corallini (Sulla struttura e distribuzione dei banchi di corallo e delle isole madreporiche) e contiene una teoria dello sprofondamento: i coralli sprofondano e insieme emergono, costituendo le barriere. L’ultimo libro, quello sui Worms, contiene a sua volta una teoria dello sprofondamento: una teoria che spiega come la Terra resta se stessa proprio grazie al continuo sprofondamento delle cose, dalle pietre di campagna ai manufatti dell’età romana. Gli esseri che nella nostra scala di “valori” si trovano al livello più basso sono quelli che fanno affondare tutto, che distruggono e insieme conservano il passato per i futuri archeologi. Un’ultima osservazione su questi esseri “minimi” suggerita da Scarpelli nella sua prefazione: il DNA umano è per 99% simile a quello degli scimpanzé, e questo oramai è accettato dai più. Ma pochi sanno che anche il DNA dei lombrichi è simile al nostro, e per una percentuale del 61,9%. Non è poco, se ci pensiamo bene: più di metà. Incredibile, no? 

 

Una versione differente di questo articolo è comparsa su “La Repubblica” che ringraziamo per aver consentito a ripubblicarla ampliata.

 

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