La vita e l’opera di un filosofo vietnamita / Chi è Tran Duc Thao?

17 Settembre 2017

-Assecondando i miei percorsi formativi mi sono imbattuto più volte, e in relazione a questioni e autori differenti (marxismo, fenomenologia, linguistica; Derrida, Althusser, Fanon), in un filosofo cui si devono due testi importanti, Phénoménologie et matérialisme dialectique e Recherches sur l’origine du langage et de la conscience, e decisamente interessante anche per il particolare percorso di militanza, fallimentare, ma non di meno emblematico, che si è trovato a vivere. Quando ho letto questo testo di Alexandre Féron, ho pensato che tradurlo potesse essere una eccellente introduzione al pensiero e alle vicende personali di Tran Duc Thao, forse la prima presentazione del suo lavoro in Italia.

 

Enrico Valtellina

 

Un ritorno sul progetto intellettuale ambizioso e sul percorso travagliato di questo filosofo marxista vietnamita, troppo militante per i filosofi, troppo filosofo per i militanti, e catturato nelle contraddizioni del secolo.

 

L’autore, Alexander Féron è PhD in filosofia. Studia il rapporto tra il marxismo e la fenomenologia nella filosofia francese, in particolare in Sartre, Merleau-Ponty e Tran Duc Thao.

 

Sono poche le probabilità che abbiate sentito parlare del filosofo vietnamita Tran Duc Thao (1917-1993). Alcuni possono averne vagamente sentito il nome: chi è interessato alla fenomenologia può avere familiarità con la notevole presentazione del lavoro di Husserl che aveva proposto nella prima parte di Phénoménologie et matérialisme dialectique (1951), gli appassionati della guerra di Indocina potrebbero averne incrociato il nome nella lista degli attivisti indipendentisti vietnamiti, per altri ancora, il nome potrebbe evocare l’immagine di un filosofo che rifiutò una promettente carriera accademica in Francia per andare nel Vietnam del Nord nel 1952 e partecipare alla lotta di liberazione nazionale. In breve, Tran Duc Thao rimane per quasi tutti uno sconosciuto.

 

Ciò non senza ragione. Si trova all’incrocio di troppe posizioni differenti e opposte perché lo si possa voler “rivendicare”, e quindi essere motivati a lavorare alla sua “riscoperta” o alla sua “riabilitazione”. Se è troppo marxista per i fenomenologi, è, al contrario, troppo fenomenologo per i marxisti. Inoltre, il suo marxismo non è mai stato abbastanza ortodosso per gli stalinisti, ed è di gran lunga troppo ortodosso e stalinista e per i non-stalinisti. Troppo militante per i filosofi accademici, è troppo filosofo per i militanti.

Ma è esattamente questo ciò che lo rende interessante. È al crocevia di molte delle contraddizioni che hanno percorso il XX secolo, il colonialismo, il ruolo degli intellettuali nei paesi capitalisti, i dibattiti sul marxismo e la sua relazione con le altre scuole di pensiero, le lotte per l’indipendenza e la guerra fredda, il ruolo degli intellettuali in un paese socialista, il divenire del marxismo nei paesi che si rivendicavano “comunisti”, il comunismo asiatico, ecc. La sua vita è stata un tentativo di affrontare e cercare di superare queste contraddizioni, che sono ad un tempo le sue e quelle del secolo. Una vita segnata da una tonalità tragica, perché non smette mai di sbattere contro tali contraddizioni e di cui, infine, non si può che constatarne con tristezza il fallimento: fallimento politico e filosofico.

 

La finalità di questo articolo è di presentare la “vita e l’opera” di Tran Duc Thao. In particolare, si tratta di articolare il suo impegno nel secolo e la sua produzione teorica. Vogliamo mostrare in che modo la sua opera è il prodotto della sua esistenza, in quanto si è impegnato in un mondo particolare, di cui affronta le contraddizioni.

 

Da bambino delle colonie al tentativo di sintesi tra marxismo e la fenomenologia (1917-1947)

 

Il percorso iniziale di Tran Duc Thao si presenta come materiale ideale per giustificare l’“effetto positivo” della colonizzazione francese. Questo figlio di un funzionario di basso livello delle poste, nato il 26 settembre 1917, diviene un brillante studente al liceo francese Albert Sarraut ad Hanoi: giunge secondo al concorso generale in filosofia, accedendo così al baccalaureato francese nel 1935. Ciò gli permette di ottenere una borsa di studio nel 1936 dal governatorato generale per l’indocina che gli consente di andare in Francia per preparare il concorso per accedere all’Ecole Normale Superieure. Dopo aver frequentato i licei Louis-le-Grand e Henri IV, viene ammesso alla Scuola Normale nel 1939. La disfatta del 1940 lo conduce a Clermont-Ferrand, dove incontra Jean Cavaillès, grazie al quale scopre l’opera del fondatore della fenomenologia, Edmund Husserl. Elabora un testo eccezionale sul “metodo fenomenologico in Husserl” e si classifica primo all’agrégation in filosofia nel 1943. Comincia allora una tesi su Husserl, diviene ricercatore presso il CNRS e viaggia a Leuven presso gli Archivi-Husserl. Gli si prospetta dunque una brillante carriera accademica e filosofica.

 

Ma sotto questo cursus honorum si possono solo immaginare le lacerazioni. Innanzitutto, va ricordato che l’accesso dei vietnamiti all’istruzione francese era un’eccezione. E in tutte le tappe del suo percorso non si smette di ricordargli il suo stato di colonizzato. Quando si è classificato secondo al concorso dell’ENS, lo è come “protégé français”, come si usava dire, e con la menzione “numero bis” (il che implicava che c’era anche un “vero” secondo). Quando diventa il primo vietnamita a ricevere l’agrégation in filosofia, gli spetta la menzione “non classificato”, che esclude da qualsiasi candidatura a un posto nella formazione francese. Una serie di esperienze che contribuiscono a generare questi “mostri” (sono sue parole) che formano l’“élite intellettuale” proveniente dalle colonie. In effetti, questi individui sono combattuti tra una doppia fedeltà: per un verso la fedeltà alla Francia a causa della loro educazione e alla cultura francese a cui appartengono, per l’altro una fedeltà al loro popolo di origine.

 

L’indurirsi della situazione coloniale negli anni ’30 a causa di ciò che viene chiamato “l’esplosione del 1930”, chiama a una scelta. O con la Francia, o con la lotta per un Vietnam indipendente. Fu probabilmente durante la guerra che Tran Duc Thao decide di optare per la lotta anti-coloniale. Ma nel 1930, l’opposizione alla Francia assume due forme possibili: nazionalista o comunista. Tran Duc Thao sceglie molto rapidamente “il comunismo, che, dando il suo preciso significato allo sfruttamento coloniale, libera il sentimento nazionale da ogni residuo di xenofobia”.

 

All’inizio della sua militanza, Tran Duc Thao è vicino al gruppo trotskista GBL (Gruppo Bolscevico-leninista dell’Indocina), partecipando alla loro azione nella direzione degli ONS (“operai non specializzati”) vietnamiti sequestrati nel 1939 e inviati alla madrepatria per aiutare nello sforzo bellico, poi abbandonati dopo le sconfitte sul campo. Diviene uno degli attori principali del tentativo di organizzare il movimento vietnamita in Francia: nel dicembre del 1944, in occasione del Congresso degli indocinesi a Avignone, diviene membro della “Delegazione generale degli indocinesi” (40 membri) e del Comitato Centrale (15 membri), dove è anche il segretario generale. Partecipa attivamente alla stesura del programma e delle rivendicazioni. In una conferenza stampa nel settembre del 1945, mentre di Ho Chi Minh ha appena dichiarato l’indipendenza del Vietnam, gli venne chiesto come verrà accolto il corpo di spedizione francese: risponde “a colpi di fucile!”. Già attentamente monitorato dai servizi di intelligence, a seguito di questa dichiarazione, viene arrestato il 21 settembre e imprigionato alla Santé fino a dicembre. Dopo il suo rilascio continua il suo attivismo e, in particolare, viene sospettato di organizzare a Marsiglia il rifiuto da parte dei lavoratori portuali di caricare materiale bellico diretto in Indocina.

 

Che dire le sue posizioni filosofiche in quel momento? Dopo la liberazione, ci sono due grandi opzioni filosofiche per coloro che vogliono articolare l’impegno politico e la riflessione filosofica: da un lato un marxismo “ortodosso” (comunista o trotskista) e dall’altro l’esistenzialismo, che cerca di avvicinarsi al marxismo. Quest’ultima posizione si ritrova in modo emblematico in quello che è stato uno dei primi maestri di Tran Duc Thao: Maurice Merleau-Ponty. Tran Duc Thao racconta che durante la guerra, quando Merleau-Ponty era “caimano” all’ENS, leggeva loro estratti della sua tesi e “spesso diceva che tutto ciò finirà per essere una sintesi di Husserl, Hegel e Marx”.

 

Il primo programma filosofico di Tran Duc Thao può quindi essere definito come un tentativo di sintesi tra marxismo ed esistenzialismo, abbastanza tipico di ciò che è stato chiamato “Marxismo occidentale”. Ciò implica in Tran Duc Thao un doppio gesto. In primo luogo, si tratta di procedere verso una “revisione radicale” del marxismo. Il Marxismo gli appare troppo “meccanico”, non in grado di portare sufficiente attenzione alle sovrastrutture (considerate come mere illusioni) e privo di una solida base epistemologica. Ora, tutti questi difetti sarebbero risolti con l’apporto del metodo fenomenologico, che a sua volta, grazie al marxismo, potrebbe integrare nella sua analisi la prassi, le classi sociali, la storia e la prospettiva rivoluzionaria. Tuttavia, ed è in questo che consiste la seconda mossa, questa revisione è in realtà un “ritorno all’ispirazione originaria” di Marx, programma che certamente deve essere inteso come un “ritorno a Marx” contro la tradizione marxista che a questi si richiama. Ma forse anche come un ritorno all’ispirazione originaria di Marx stesso, al vecchio Marx scientista del Capitale si oppone un Marx giovane hegeliano, le cui analisi non solo sono compatibili con una lettura fenomenologica, ma hanno una dimensione fenomenologica.

 

Questo orientamento filosofico è visibile nei primi articoli pubblicati da Tran Duc Thao nel 1946: “Marxisme et phénoménologie” (nella Revue internationale) e “Sur l’Indochine” (in Les temps modernes). Questi due articoli devono essere letti insieme, perché il primo rende esplicito il quadro concettuale e filosofico che viene mobilitato in modo implicito nel secondo. Vi è sviluppata quella che potremmo chiamare la sua “teoria dell’infrastruttura esistenziale”. L’idea è che manca, nel marxismo, una mediazione tra l’infrastruttura economica e le diverse sovrastrutture. Tran Duc Thao pensa di scoprire questa mediazione in quella che Husserl chiama “esperienza antepredicativa”, vale a dire la nostra esperienza del mondo in quanto non è ancora pienamente cosciente e formulato in un linguaggio. Tutte le significazioni esplicite o “sovrastrutturali” (a livello di coscienza, nel linguaggio, e quindi arte, morale, diritto, religione, etc.) sarebbero derivate e trarrebbero la loro significazione per noi da questa esperienza antepredicativa.

 

Queste analisi sono collegate a ciò che ha detto Marx sull’arte greca alla fine dell’Introduzione del 1857: “L’arte greca presuppone la mitologia greca, vale a dire, la natura e le forme sociali stesse per quanto sono già sviluppate in modo inconsciamente artistico dall’immaginazione popolare”. L’arte greca (che è una significazione sovrastrutturale) trarrà la sua significazione per i greci dalla loro esperienza antepredicativa della loro esperienza del mondo, vale a dire, da questa “immaginazione popolare” in gran parte implicita o inconscia e che ha trovato la sua prima formulazione nella mitologia.

Ma Tran Duc Thao è attento a chiarire che questa esperienza antepredicativa deve essere intesa come prassi antepredicativa: è la nostra azione nel mondo, che è il fondamento di tutte le nostre rappresentazioni coscienti. È perché la nostra prassi è differente secondo le diverse forme sociali e i modi di produzione in cui opera, che le nostre rappresentazioni possono essere considerate in relazione a queste strutture. Per comprendere come le strutture economiche di una società possano riflettersi in un modo determinato nelle rappresentazioni, si deve introdurre tra questi due elementi una mediazione: la prassi degli individui, “infrastruttura esistenziale”.

 

Questo dimostra come questa “revisione” sia intesa come un ritorno al giovane Marx, in quanto Tran Duc Thao evidenzia da un lato il concetto di prassi e dall’altro la derivazione della coscienza e delle rappresentazioni a partire dall’attività reale degli individui.

Pertanto è questo il quadro teorico “esistenzialista” che mobilita quando, nella sua cella di prigione, scrive il suo primo articolo sulla situazione in Indocina. Questo articolo, che verrà pubblicato in Les temps modernes nel febbraio del 1946, è stato scritto quando la guerra in Indocina non è ancora in effetti iniziata: se si moltiplicano gli scontri tra i francesi nuovamente sbarcati e i vietnamiti, la situazione non è ancora irreversibile, ed è piuttosto in un processo di “negoziazione”. L’analisi di Tran Duc Thao cerca di mostrare il motivo per cui i francesi e i vietnamiti non riescono a comprendersi. Francesi e vietnamiti vivono in “mondi” differenti perché hanno esperienze antepredicative differenti: “C’è una comunità originale, la comunità a cui si appartiene per nascita e per la prima educazione, che non è possibile abbandonare, perché attraverso di questa, ognuno di noi è immerso nelle radici dell’esistenza”. Ne consegue che si danno significati differenti alle stesse situazioni, alle stesse dichiarazioni, alle stesse parole.

 

L’opposizione è radicale, fondata sui modi di esistenza, sui modi di vivere e comprendere il mondo. Non si tratta di discutere di questo o di quell’altro fatto particolare. La discussione stessa sarebbe inutile, dal momento che ogni fatto viene interpretato, è percepito, in modo differente. Le argomentazioni fornite dagli Annamiti a favore dell’indipendenza, nel penetrare nell’orizzonte dei francesi, prendono immediatamente una direzione tale da escludere proprio quella stessa indipendenza. Questo è un equivoco radicale, nessuna spiegazione lo può dissipare perché tutte le frasi sono comprese in un senso opposto a quello in cui sono state pronunciate. [...] Il dialogo è un equivoco perpetuo, un fraintendimento totale e senza rimedio. L’opposizione è precedente al discorso, alle sorgenti stesse dell’esistenza, là dove si determina, già dall’inizio, il possibile significato delle parole.

 

Tuttavia, non dobbiamo fraintendere ciò che Tran Duc Thao vuol dire. Questa incapacità di comunicare non è un’impossibilità di diritto. Piuttosto è legata a una situazione di fatto: la diversa esperienza del mondo del colonizzato e del colonizzatore, vale a dire, la struttura coloniale. Non si tratta in Tran Duc Thao di un rifiuto dell’universalismo. Piuttosto, ciò che propone è che “ci si sollevi oltre gli orizzonti singolari, e ci si ponga da un punto di vista umano”. Questa è la posizione che ritroviamo in un aneddoto riportato da Louis Althusser: “Alla Scuola [normale superiore] ho conosciuto Tran Duc Thao [...]. Thao ci teneva corsi privati, e ci spiegava: “Voi siete tutti degli uguali trascendentali, e siete tutti uguali in quanto ego”.

Così, nel 1946, le contraddizioni Tran Duc Thao come membro della “élite intellettuale” dei colonizzati sembravano aver trovato un equilibrio. La sua lotta contro la colonizzazione francese è vissuta come una fedeltà alla sua origine, ma anche alla sua formazione (l’universalismo francese). Allo stesso modo, la sua posizione filosofica cerca di sintetizzare le concezioni filosofiche della sua formazione (la fenomenologia, l’esistenzialismo) e quella a cui si richiama il movimento rivoluzionario internazionale (il marxismo). Tuttavia, l’evoluzione della situazione politica romperà presto questo delicato equilibrio per esigere da lui una scelta più radicale.

 

Superare le sue contraddizioni: Viet Minh e il “materialismo dialettico” (1947-1951)

 

L’evento fondamentale per la sua esistenza che si svolge nel 1946-47 è il suo riconoscimento nelle posizioni del Viet Minh. L’incontro con Ho Chi Minh in occasione della conferenza di Fontainebleau (nel luglio 1946) e la strategia per un’unione più ampia con il movimento nazionale sembrano essere state decisive. La presa di distanza dal movimento trotskista si manifesta nel giugno del 1947, quando pubblica una critica a un articolo di Claude Lefort in Les temps modernes: “Sull’interpretazione trotzkista [sic] degli eventi in Indocina”. Ma per Tran Duc Thao, l’evoluzione politica e quella filosofica sono strettamente legate, per cui è anche in questo periodo che prende distanza dall’esistenzialismo e aderisce al programma filosofico comunista sotto la bandiera del “materialismo dialettico”. Pertanto, si potrebbe interpretare questo doppio movimento come un tentativo di allinearsi con se stesso, cercando di eliminare le contraddizioni della sua formazione. Questo tentativo di liquidazione assume due forme successive. La prima è un tentativo di “francese” (1947-1951), che corrisponde all’affiliazione politica e filosofica al comunismo. Poi vi è un tentativo “vietnamita” nel 1951, quando decise di tornare in Vietnam per partecipare alla lotta di liberazione nazionale, ritorno esplicitamente presentato come un modo per risolvere le sue proprie contraddizioni.

 

Un fatto significativo per comprendere il suo nuovo orientamento filosofico è la sostituzione del termine “marxismo” con “materialismo dialettico”. Questa formula, assente nel lavoro di Marx, è emersa nel 1930, nel momento della stalinizzazione della filosofia sovietica. Questa permette di smarcarsi dalle posizioni meccanicistiche e non dialettiche del marxismo proposte dalla Seconda Internazionale. Ma soprattutto costituisce la parola d’ordine del programma di ricerca scientifica lanciato dall’URSS, e che mira a rispondere alla “crisi della ragione” riunificando l’insieme dei saperi sotto la bandiera del “materialismo dialettico”. L’uso di questa formula da parte di Tran Duc Thao rimarca il suo allineamento filosofico a questo programma di ricerca, anche se rifiuta la chiusura che l’ortodossia stalinista vuole imporgli.

Nel 1948, Tran Duc Thao definisce un nuovo progetto filosofico che svilupperà fino alla fine della sua esistenza: raggiungere una comprensione marxista dell’uomo, oppure ancora, fondare una psicologia o un’antropologia marxiste. Questa comprensione dell’uomo deve essere basata su un doppio requisito, apparentemente contraddittorio.

 

 

In primo luogo un requisito “ontologico”: deve aver luogo in una cornice materialista, e quindi rompere con qualsiasi forma di dualismo. Poi, quello che potrebbe essere definito un requisito “fenomenologico”: si deve garantire la specificità della coscienza umana. Si tratta, per un verso, di mostrare come l’uomo sia un prodotto dell’evoluzione naturale, e in questo senso si tratta di procedere a una “naturalizzazione” dell’uomo, per mostrare come sia in continuità con il resto del vivente. Ma ad un tempo non bisogna misconoscere la differenza specifica dell’uomo, ovvero ciò in cui l’evoluzione non è pura continuità, ma la produzione di nuove strutture, secondo ciò che viene talvolta chiamato “logica d’emergenza”. In breve, l’evoluzione non è lineare e meccanica, ma dialettica. Ecco come riassume nel 1986 il “progetto” che aveva “concepito dal 1948”: “Afferrare in profondità la genesi e lo sviluppo della coscienza a partire dalla produzione materiale”. Ed è in questo senso che la formula “materialismo dialettico” corrisponde perfettamente a questo nuovo programma di ricerca intrapreso.

 

La prima formulazione di questo progetto è in un articolo pubblicato nel 1948 in Les temps modernes, “La Fenomenologia dello spirito nel suo contenuto reale”. Si tratta di una recensione del lavoro di Alexandre Kojève Introduzione alla lettura di Hegel, che è la trascrizione dei suoi famosi corsi tenuti tra il 1933 e il 1939. Questi corsi hanno giocato un ruolo fondamentale per la generazione esistenzialista del dopoguerra (Sartre, Merleau-Ponty, Simone de Beauvoir) nella misura in cui Kojève per un verso stabilisce una certa lettura esistenziale e antropologica di Hegel che “marxizza” (mettendo in primo piano il momento della lotta mortale tra padrone e servo), ma inoltre apre a una lettura “hegelianizzante” Marx attraverso i suoi testi giovanili. Tran Duc Thao pensa che sia attraverso questa critica della lettura esistenzialista di Hegel condotta da Kojève che si dia la sua rottura teorica con l’esistenzialismo e l’affermazione del proprio progetto filosofico.

Il punto principale della sua critica è il “dualismo” di Kojève, che distingue tra il regno dell’uomo e il regno della natura, per affermare che non c’è dialettica se non umana, ovvero come rapporto dell’uomo con il mondo e con gli altri uomini. Kojève respinge così qualsiasi possibilità di una “dialettica della natura”. Per Tran Duc Thao, al contrario, si deve certamente riconoscere che c’è una differenza tra la coscienza e la materia, ma non bisogna erigerla come differenza ontologica tra due tipi di esseri. Bisogna vedere la coscienza come una nuova struttura prodotta da una dialettica naturale, e così superare il dualismo non dialettico con un “monismo materialista”.

 

Si tratta di un cambiamento significativo nella sua problematica filosofica. Quando tentava di sintetizzare la fenomenologia e il marxismo, si trattava principalmente di ciò che si potrebbe chiamare una problematica di fondazione. Bisognava cercare il fondamento del rapporto tra base e sovrastrutture. Ora, ciò che si tratta di cercare, è una genesi. Dobbiamo ricostruire la genesi reale che conduce dalla materialità non cosciente a una materialità cosciente.

Questa è la genesi che espone nella seconda parte del suo libro Phénoménologie et matérialisme dialectique (1951). In questa sezione dal titolo “La dialettica del movimento reale” in un centinaio di pagine, copre tutta l’evoluzione, dagli organismi unicellulari all’edificazione del comunismo. Si potrebbe dire che una delle sfide di questi sviluppi è la delucidazione delle due affermazioni del Marx che si trovano nell’Ideologia tedesca. In primo luogo, si tratta di capire la genesi reale del “primo presupposto di tutta la storia umana” o della “base naturale” di tutta la storia umana, vale a dire “l’esistenza di esseri umani viventi [...] la natura del corpo di questi individui e le relazioni che creano con il resto della natura [...], la costituzione fisica dell’uomo stesso”.

 

Così, Tran Duc Thao mostra come nell’evoluzione, il rapporto all’esteriorità che caratterizza il vivente continui a superare i propri limiti fino a raggiungere, nel caso dell’uomo, la “coscienza di oggetto” e la capacità di produrre i propri mezzi di produzione. C’è una dialettica dell’evoluzione nel fatto che gli organismi superiori integrino le strutture che caratterizzano gli organismi più semplici, ma dando loro un nuovo significato (si tratta dunque di un superamento dialettico delle strutture inferiori).

Poi si tratta di capire il rapporto tra la coscienza e l’esistenza. Vale a dire, di stabilire materialmente, biologicamente, ciò che Marx non smette di affermare nell’Ideologia tedesca: “Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza”. Tran Duc Thao cerca quindi di mostrare come, dal livello del vivente, o di ciò che egli chiama “psichismo sensorio-motorio”, la struttura dei singoli organismi (“infrastruttura” biologica) determini il loro comportamento (la loro “prassi”, ciò che sono in grado di fare), e, pertanto il modo in cui il “mondo” appare loro (“sovrastruttura”): la “coscienza” animale non è che una trasposizione ideale di un tipo di comportamento reale.

 

Ciò che mostra Tran Duc Thao è che questa idealizzazione è il prodotto di una certa inibizione o repressione del comportamento: ogni tipo di organismo non è “cosciente” che dei tipi di comportamento che è in grado di reprimere. Tuttavia, questo significa che c’è un divario tra ciò che un corpo può fare e ciò di cui è “consapevole”, tra l’“atto reale” e il “senso vissuto”: l’azione eccede sempre la sua rappresentazione. Tran Duc Thao afferma quindi, al livello del vivente, sia la secondarietà della coscienza in relazione all’esistenza (la vita), sia lo scarto tra la coscienza e l’azione, due principi alla base del metodo materialista di Marx nell’Ideologia tedesca.

Infine, quando si passa al livello della coscienza umana, Tran Duc Thao può stabilire due fenomeni. In primo luogo, riguardo al divario tra struttura del comportamento e rappresentazione, mostra che, da un punto di vista oggettivo, lo specifico delle attività umane è quello di essere produttive, lavoro produttore di valore d’uso. Tuttavia, il valore d’uso è in sé valore d’uso per tutti, l’attività produttiva è pertanto un’attività immediatamente sociale. Ma l’uomo non ha ancora preso coscienza di questa dimensione sociale del suo lavoro e si rappresenta il lavoro come legato a una forma di proprietà. La proprietà è la (de-)negazione della dimensione sociale di qualunque lavoro, nella forma dell’esclusione e dell’accaparramento. Comunismo significa quindi, per Tran Duc Thao, il momento in cui l’uomo prende coscienza della sua attività come attività universale.

 

La seconda cosa che Tran Duc Thao stabilisce a livello della coscienza umana è il modo in cui l’idealizzazione propria di qualsiasi forma di “coscienza” diventa idealismo, vale a dire rappresentazione di una differenza e di una autonomia tra la coscienza e la materia. La coscienza umana è caratterizzata da un “oblio delle sue origini” materiali nella prassi: l’inibizione propria di ogni “coscienza” diventa “de-negazione”. L’uomo ha una rappresentazione distorta di se stesso come di una pura coscienza distinta della materia.

Così, tra il 1947 e il 1951, le posizioni politiche e filosofiche di Tran Duc Thao mutano radicalmente. Abbiamo cercato di vedere in ciò un tentativo per superare le contraddizioni delle sue posizioni precedenti. Ma ben presto, Tran Duc Thao si trova di fronte a una contraddizione ancora più importante: quella tra la sua situazione di intellettuale in Francia e il suo sostegno al movimento di liberazione nazionale del Vietnam. Si tratta di ciò che evoca parlando di Phénoménologie et matérialisme dialectique: “Le posizioni di principio, affermate nettamente, bastavano per determinarmi a tornare in Vietnam. Mancava mettere la vita in accordo con la filosofia, compiere un atto reale, che corrispondesse alle conclusioni teoriche del mio libro”. Prende quindi la decisione nel 1951 di lasciare l’ambiente intellettuale francese in cui aveva vissuto per quindici anni, per tornare in Vietnam.

 

Il ritorno in Vietnam: la sintesi impossibile (1952-1985)

 

La rivoluzione vietnamita come “via della soluzione” (1952-1958)

 

Si può immaginare l’entusiasmo per questo ritorno in Vietnam. Più difficile è sapere come Tran Duc Thao abbia vissuto i primi anni del suo ritorno, che si pongono immediatamente sotto il segno dell’incomprensione. Si possono distinguere tre grandi momenti prima del 1958.

Quando Tran Duc Thao giunge al Viet Bac nel 1952, è in piena guerra d’Indocina. Venne subito assegnato a diversi lavori al servizio della lotta. Viene innanzitutto incaricato di redigere due rapporti (sulle imprese e il sistema di istruzione), prima di essere inviato al seguito del Segretario Generale del Partito Truong Chinh per occuparsi della traduzione delle opere del dirigente. Viene descritto da alcuni testimoni come “ingenuo ed entusiasta” (To Hoai): abbandona il vestiario occidentale e spinge il suo zelo fino a rifiutare di dormire con la zanzariera (cosa che gli costò la malaria). Tutto questo testimonia di una volontà di trasformare il suo rapporto con il mondo, negare la sua educazione occidentale, per “(ri)diventare” chi sarebbe stato se non fosse stato educato dal sistema coloniale.

 

Ma è nel 1953 che giunge il “trauma iniziale”: la sua destinazione a una brigata di rieducazione ideologica della riforma agraria. In effetti, arriva in Vietnam in un momento in cui il maoismo, dopo la vittoria della rivoluzione cinese nell’ottobre del 1949, assume una notevole importanza. La parola d’ordine di creare una vasta unità nazionale contro la Francia aveva fatto il suo tempo. L’obiettivo dichiarato da Truong Chinh (che sostiene la svolta maoista) era di “creare scissione e causare uno shock emotivo collettivo”. Non abbiamo alcuna evidenza di quello che abbia fatto, visto o sperimentato durante questo periodo, se non che si è trovato, secondo Philippe Papin, “nel posto peggiore, nel momento peggiore.”

Infine, con la fine della guerra in Indocina nel 1954, sembra aprirsi un periodo più calmo. Ritrova funzioni accademiche. Inizialmente come insegnante di Storia antica presso l’Università di Hanoi (1954-1955), divenne quindi professore di storia della filosofia nel 1955. Nel 1956 viene nominato Preside della Facoltà di Storia. Le sue lezioni, tenute in divisa militare, si occupano della “storia del pensiero prima di Marx”. Sono interessanti tanto per la sua lettura della storia della filosofia, quanto per lo sforzo di tradurre in modo adeguato i concetti della filosofia occidentale in vietnamita.

Il grande cambiamento in atto nella sua produzione intellettuale è che abbandona l’uso del francese, ripetendo, in un certo senso, nella teoria, quello che la campagna di rieducazione doveva intraprendere dal punto di vista pratico. Tutti gli articoli che ha scritto in quegli anni sono in vietnamita. Questi possono essere classificati in due grandi categorie: cinque articoli sulla storia e la letteratura vietnamita, e due articoli che estendono il suo lavoro materialista sulla coscienza su “l’origine della coscienza nell’evoluzione del sistema nervoso” (1955).

 

Nel 1956, la situazione degli intellettuali in Vietnam verrà sconvolta. L’intero mondo “socialista” conosce un movimento di apertura: “disgelo” o “destalinizzazione” in URSS e “Cento fiori” in Cina. In Vietnam l’entusiasmo tra gli intellettuali è ancora maggiore in quanto, dalla fine della guerra, non si sentono più in dovere di sottomettersi alla linea politica. Nascono allora due riviste, “Humanités” e “Belles Lettres”, che saranno in prima linea nel movimento critico. Tran Duc Thao è coinvolto in questo movimento. Fu lui a trovare un traduttore per il testo sui “cento fiori”, rendendolo disponibile in vietnamita. Pubblica anche due articoli nel 1956. Il primo intitolato “Contenuto sociale e forme di libertà” (ottobre 1956) si concentra sul rapporto tra le libertà individuali e collettive nel socialismo: il comunismo non dovrebbe essere la negazione, ma piuttosto la realizzazione della libertà. Il secondo articolo, “Sforziamoci di sviluppare la libertà e la democrazia” (Dicembre 1956), è più audace, perché denuncia la burocratizzazione del regime e gli “errori” commessi durante la riforma agraria.

 

Questi due testi decideranno il suo destino per il resto della vita. Tran Duc Thao, nonostante le responsabilità limitate avute nel movimento di protesta, diventa una sorta di capro espiatorio per la campagna generale che viene poi lanciata dal partito contro il “revisionismo”. Rimosso dal suo incarico presso l’Università di Hanoi nel dicembre 1956, è sotto processo nei locali dell’Università nel marzo e aprile del 1957. In parallelo viene condotta una campagna diffamatoria contro di lui sulla stampa. In particolare, è accusato di “trotskismo” a causa del suo passato militante. Nel giugno del 1957 viene dichiarato “nemico della patria e del socialismo” dalla commissione per ideologia e la cultura del Comitato Centrale del Partito. Lo si accusa di essere un “senza radici”, di aver perso il contatto con il “popolo” vietnamita. Nel maggio 1958 si sottomette a un’autocritica pubblica, ma non è soddisfacente. Questo è l’inizio di un lungo esilio interno.

 

L’esilio interno (1958-1985)

 

Abbiamo relativamente poche informazioni su questo periodo della sua vita. Tra il 1958 e il 1961, Tran Duc Thao è stato inviato a una fattoria per la rieducazione. Al suo ritorno ad Hanoi nel 1961, gli viene negata la cattedra universitaria e viene privato del suo alloggio. Si sostenta con l’occupazione precaria di “collaboratore esterno” per la casa editrice “Su That”, per cui fa traduzioni. Le sue condizioni di vita peggiorano allo scoppio della guerra con gli Stati Uniti (1964-1975), che degrada ulteriormente la situazione materiale in Vietnam del Nord. Lui che sperava di mettere il suo sapere intellettuale al servizio della rivoluzione e della costruzione socialista del Vietnam, si trova ora emarginato e inutile. Tuttavia, in nessun momento cerca di calarsi nella figura del dissidente. Al contrario, sembra piuttosto attendere la sua “riabilitazione”.

 

Anche le sue condizioni di lavoro sono difficili. È molto isolato. Gli si permette tuttavia di ricevere alcune pubblicazioni estere, ma non abbastanza per essere in grado di seguire lo sviluppo dell’ambiente intellettuale europeo. Olivier Todd, un viaggio in Vietnam, sarebbe stato incaricato da Sartre di cercare di entrare in contatto con Tran Duc Thao, ci provò, invano. Traspare la sua ricerca di interlocutori, come testimonia la lettera che accompagna un articolo inviato a La Pensée: “Sapete che qui non giunge praticamente nulla di ciò che appare in Francia. Potreste eventualmente comunicarmi le critiche che potrebbero riguardare il mio scritto? Mi sarebbe di grande aiuto per la continuazione della mia ricerca”. Anche se non pubblica alcun testo in Vietnam durante questo periodo, gli è permesso di inviare un certo numero di articoli in Francia per le riviste comuniste, La Pensée e Nouvelle critique.

 

Nonostante queste difficoltà materiali, gli anni Sessanta costituiscono per Tran Duc Thao un periodo di rinascita creativa della sua attività filosofica. Il progetto filosofico resta quello del 1948: cogliere la genesi reale della coscienza a partire dalla materialità. Tuttavia, egli ritiene che Phénoménologie et matérialisme dialectique non realizzi il progetto in modo soddisfacente. Spiega infatti, in un articolo del 1974, che le analisi del suo lavoro non hanno dato “dei risultati efficaci che per la comprensione del comportamento animale”. Invece, tutto ciò che riguarda “l’analisi delle realtà umane” doveva essere ripreso. Sarebbe rimasto troppo prigioniero dell’idealismo di Hegel e di Husserl. In breve: “Non rimane altro da fare che riscrivere il lavoro a partire dall’inizio”.

 

I lavori di Tran Duc Thao durante gli anni Ottanta si ripartiscono su due linee di ricerca. La prima è l’analisi della dialettica e in particolare il rapporto tra Hegel e Marx. Si tratta di riprendere i testi di Marx e Hegel per cercare di capire l’esatta natura del rovesciamento che Marx infligge alla dialettica hegeliana. L’idea era che questo lo avrebbe aiutato a capire meglio il modo per liberarsi dalle influenze fenomenologiche. Questa ricerca ha trovato espressione in un articolo sul “Nucleo razionale della dialettica di Hegel” (1965) e il problema viene risolto dall’articolo del 1974 “Dalla fenomenologia alla dialettica materialistica della coscienza (I)”.

 

Ma la linea principale della sua ricerca è una rielaborazione della sua analisi materialista della coscienza. Il cambiamento più importante che si verifica è una rivalutazione del ruolo del linguaggio in rapporto alla coscienza. Mentre in Phénoménologie et matérialisme dialectique la lingua assolve un ruolo secondario nella formazione della coscienza umana, il linguaggio viene visto ora come la “realtà immediata” della coscienza. Per comprendere il passaggio dallo “psichismo sensomotorio” dell’animale alla coscienza umana, bisogna dunque analizzare l’acquisizione del linguaggio. Da qui il titolo che darà alla sua seconda opera: Recherches sur l’origine du langage et de a conscience. Riporta bene la sua problematica della genesi, ma ora, per capire la genesi della coscienza, dobbiamo capire la genesi del linguaggio.

Questo libro è prima di tutto un importante contributo a una concezione “materialista” o “marxista” del linguaggio. Criticando le concezioni strutturaliste (Saussure, Jakobson) per cui il linguaggio non si riferisce che a se stesso, Tran Duc Thao afferma la necessità di comprendere la lingua dalla sua funzione di referenza.

 

Così l’elemento originario della lingua è l’acquisizione di ciò che egli chiama il “gesto dell’indicazione”, vale a dire, la capacità dell’uomo di relazionarsi con un oggetto preso come esterno. L’acquisizione di questa “forma originaria della coscienza” inaugura l’uscita dall’animalità con la comparsa dei “pre-umani” (Australopitechi). Poi, lo sviluppo degli strumenti e del linguaggio segnano i differenti stadi dell’evoluzione fino alla comparsa dell’uomo moderno. Per cercare di capire le diverse tappe di questa genesi, Tran Duc Thao sviluppa un linguaggio formale a partire da tre elementi fondamentali: il “questo” (il gesto di puntamento, “C”), la “forma” (“F”) e il “movimento” (“M”). È attraverso le differenti combinatorie di questi tre elementi, che si costituisce poco a poco il linguaggio dell’uomo moderno. Così questi lavori di Tran Duc Thao sono dei contributi tanto a una teoria materialistica della lingua quanto a una concezione materialistica dell’antropogenesi o della “ominizzazione”.

Un concetto marxista importante che ha introdotto in questo lavoro è quello di “linguaggio della vita reale”. Si tratta di un insieme di significazioni oggettive, che si costituiscono indipendente dalla coscienza, nell’attività materiale degli uomini. Questo concetto sostituisce quello di “esperienza antepredicativa”: mentre quella esperienza era individuale e “muta” (precedente a qualsiasi espressione), il concetto di “linguaggio della vita reale” viene utilizzato per indicare la dimensione sociale immediata dell’esistenza umana, che già sempre immersa in un insieme di significati già definiti dalla società.

 

Le ultime battaglie di Tran Duc Thao (1985-1993)

 

Durante gli anni Ottanta la situazione di Tran Duc Thao migliora. Di nuovo, si tratta di una conseguenza dell’evoluzione della situazione internazionale con l’inizio della perestrojka in URSS. Egli ritorna verso la fine del decennio ad essere una figura di una certa importanza dal punto di vista politico. Ciò gli permette anche di rilanciare la sua attività filosofica.

Una parte dei suoi lavori consiste quindi nel provare a sviluppare una valutazione critica dello stalinismo e del maoismo. Nel suo testo La philosophie de Staline, scritta nel 1986, Tran Duc Thao analizza Materialismo dialettico e materialismo storico di Stalin per mostrare la concezione non-dialettica che sottende la sua concezione del mondo. Lo stalinismo nel suo complesso sarebbe caduto nel dualismo e non avrebbe capito la dialettica: avrebbe trascurato che qualsiasi soppressione dialettica è anche conservazione, elemento importante nella transizione al socialismo, dal momento che non si può semplicemente negare tutto nella società capitalistica, ma si tratta di “superarla” dialetticamente. Contro lo stalinismo e il maoismo, in particolare ne La Question de l’homme et l’antihumanisme (1988), Tran Duc Thao difende così un “umanesimo marxista”.

 

Parallelamente a ciò, riprende per la terza volta il suo progetto del 1948 con la redazione nel 1986 di La Formation de l’homme e in due articoli pubblicati in La Pensée: uno su “La naissance du premier homme” e un altro su “La dialectique logique dans la genese du ‘Capital’”. Si tratta sempre di comprendere dialetticamente il passaggio da uno stato all’altro (dall’animale all’uomo, dal feudalesimo al capitalismo, dal capitalismo al comunismo).

Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, la situazione in Vietnam torna ad essere dura. I sostenitori della perestrojka, di cui fa parte Tran Duc Thao, si trovano in una situazione difficile. È in questo contesto che ha luogo la sua partenza dal Vietnam per la Francia, paese che non vede da quarant’anni. Ci sono versioni differenti sulle ragioni di questo viaggio: Tran Duc Thao afferma che fu inviato in Francia per sottoporsi a un processo politico istruito dal Partito Comunista Francese, ma dobbiamo tener conto che il suo complesso di persecuzione si è trasformato, alla fine della sua vita, in paranoia reale. In effetti, Philippe Papin ha trovato una lettera ufficiale direttamente dal Comitato Centrale che nomina Tran Duc Thao per una “missione politica ufficiale” da compiersi “spesato dal partito”. Alloggia a Parigi in locali di proprietà dell’Ambasciata del Vietnam. In realtà, avrebbe avuto, a quanto pare, il compito di venire a Parigi per difendere la versione ufficiale del regime sul caso “Humanités et Belles Œuvres”.

 

A Parigi, cerca di ristabilire il contatto con le sue vecchie conoscenze filosofiche (Jean-Toussaint Desanti, Paul Ricoeur, Maurice de Gandillac), tenendosi a buona distanza dagli “althusseriani”. Ha tenuto una serie di conferenze (Paris VII sulla filosofia di Stalin, all’ENS su Husserl, un’altra sulla sua ricerca sull’origine del linguaggio e della coscienza), e comincia a scrivere una terza opera filosofica. Ha ripreso Husserl e Hegel ed è tornato su quello che aveva scritto in Phénoménologie et matérialisme dialectique sulla temporalità e ciò che egli chiama il “vivente presente”. Ha voluto aggiornarsi anche sulle ultime scoperte nel campo della biologia e dell’antropologia, probabilmente ancora con l’idea di continuare il progetto del 1948. Ma, in una condizione fisica e psicologica molto degradata, a seguito di una caduta, muore all’ospedale Broussais il 24 aprile 1993.

 

Il destino di Tran Duc Thao presenta innegabilmente una dimensione tragica. Si tratta in primo luogo di un fallimento politico: come tanti altri nel XX secolo, si è impegnato corpo e anima nella costruzione del comunismo e si è scontrato con la rigidità dello stalinismo e dei regimi burocratici. Il sacrificio della sua esistenza non sarebbe stato, alla fine, di alcuna utilità politica. Per quanto riguarda la sua opera filosofica, le cose sono più difficili da valutare. Se una parte è stata scritta sotto censura o autocensura politica, Tran Duc Thao ha cercato di condurre una ricerca originale in zone inesplorate dal marxismo (lo studio della lingua, l’antropogenesi, l’evoluzione, ecc). Il fallimento filosofico è stato soprattutto l’assenza di interlocutori durante la sua esistenza (da cui la dimensione iterativa della sua ricerca) e il fatto che è stato praticamente non studiata o anche letto.

Tuttavia il suo destino postumo non è ancora deciso. In Vietnam sembra conoscere una qualche forma di riabilitazione, nel 2001 ha ricevuto postumo il “premio Ho Chi Minh”. Inoltre, la maggior parte della sua produzione teorica dal 1960 non è mai stata pubblicata. Si stima che, in archivi e documenti in Vietnam, ci sarebbero più di 8.000 pagine di manoscritti inediti, bozze, note, ecc. Forse una parte importante del pensiero di Tran Duc Thao è ancora da scoprire?

 

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