Matteo Terzaghi / La Terra e il suo satellite

9 Giugno 2019

“In quegli anni io avevo delle difficoltà con i temi in classe, che mi venivano sempre troppo corti. Cioè, in brutta erano lunghi, ma quando poi li ricopiavo in bella rimanevano poche righe, per via che cancellavo troppo”. Il consiglio del professor Rossini allo studente Terzaghi fu: “il segreto del tema in classe, ma questo vale più in generale per la vita, è la divagazione”. Matteo Terzaghi, ticinese, classe 1970, dopo Ufficio proiezioni luminose (Quodlibet, 2013) torna a intrattenerci e a farci riflettere con La Terra e il suo satellite (Quodlibet, 2019). La lezione del professor Rossini è stata appresa, ma il libro, seppur denso, resta magro, poco più di cento pagine, e verte intorno alla forma del tema in classe e alle sue variazioni. Ufficio proiezioni luminose lo aveva fatto conoscere ai lettori di lingua italiana, le sue riflessioni sulle immagini (il libro aveva parecchie fotografie che venivano commentate), in particolare su come si formano le immagini nel nostro pensiero e come si alterano nella realtà.

 

Un’attività proseguita nella pubblicazione di piccoli libri semiclandestini, costruiti con la complicità di Marco Zuercher, che raccolgono e montano fotografie famigliari, cartoline, album trovati nei mercatini. Oggi Terzaghi è il più stanziale di una generazione di scrittori e traduttori (tra gli altri Vanni Bianconi, Matteo Campagnoli, Maurizia Balmelli), forse la coscienza critica, che hanno prodotto il Festival Babel, la rivista online Specimen, l’antologia Gli immediati dintorni (nata in collaborazione con Doppiozero) e che segue una genealogia lombardo-ticinese nata con l’insegnamento di Gianfranco Contini a Friburgo (Romano Broggini, Giovanni Orelli), proseguita con gli allievi pavesi di Maria Corti (ricordo Fabio Pusterla, Paolo Di Stefano, Enrico Lombardi) che si radunarono attorno alla rivista «Idra». La casa editrice Casagrande, di cui Terzaghi è editor da parecchi anni, fornisce un contesto di lavoro a questo gruppo e tiene viva una tradizione che rende, almeno in parte, il Canton Ticino una terra aperta e poco provinciale.

 

 

I temi di La Terra e il suo satellite riguardano argomenti disparati come le piante a rotelle, Antoine Doinel, il protagonista dei 400 colpi, l’eclissi solare o la conquista della luna, il Diario di Anna Frank e altri ancora. Temi che ritornano e si intrecciano. Lo sguardo di Terzaghi sul mondo è sempre disassato, di sbieco. Se non fosse già stato preso il titolo del libro avrebbe potuto essere La terra vista dalla luna, che è la distanza ideale da cui lo scrittore guarda bizzarrie, fenomeni atmosferici (la pioggia, la neve), il trascorrere delle stagioni, osserva luoghi appartati come i boschi o contempla il silenzio delle sale di lettura dove, quando plana sulla terra, si imbatte in libri che nessuno chiede mai in prestito o si diverte a osservare le figure di vecchie antologie. Idealmente poi ne ritaglia le illustrazioni o ne trascrive le frasi che lo colpiscono. Nel libro ricorrono dei nomi che sono, per affinità i maestri elettivi: Giacomo Leopardi, Italo Calvino, Francis Ponge, Danilo Kiš e, naturalmente, il connazionale Robert Walser, il suo santo protettore. Da loro ha imparato a descrivere con grande precisione e, allo stesso tempo, l’arte del racconto: la descrizione diviene impercettibilmente narrazione. Di suo l’autore ci mette un senso dell’umorismo surreale, che sa cogliere l’assurdo negli interstizi della vita quotidiana. Senza averne l’aria ci insegna a fermare il nostro sguardo, spesso troppo frenetico, sulle cose e a non giudicare le persone ma piuttosto a osservarle nei loro comportamenti e a comprenderle.

Che cosa c’è di nuovo rispetto a Ufficio proiezioni luminose, un libro che ha ottenuto ottime recensioni e l’opimo Premio svizzero di letteratura?

 

Terzaghi è uno scrittore che smentisce Gadda quando affermava: “io, l’io... il più lurido di tutti i pronomi” e proseguiva dicendo che i pronomi “sono i pidocchi del pensiero”. Lo scrittore svizzero usa un io non invadente, così come colloquia amabilmente col lettore, dandogli del tu. In questo libro mi pare che rispetto al precedente sia aumentato il tasso di autobiografia, un modo per chi scrive di mettersi maggiormente in gioco, anche se l’atteggiamento prevalente resta l’osservazione esterna. Si parla in un paio di occasioni di una malattia che ha attraversato in questi anni, così come si ritorna all’infanzia, ma è un ritorno singolare: passato remoto e passato prossimo vivono simultaneamente. Una domenica trascorsa da bambino con la famiglia è sullo stesso piano temporale del racconto della figlia Lucia che perde i denti da latte. Il libro si chiude con un tema in classe, naturalmente troppo breve, scritto dall’autore all’età di dieci anni. Grande deve essere stata la fatica di essere passato dai “pensierini” al “tema”, ma ora di quella fatica non c’è più traccia. Inoltre, rispetto al precedente, in questo libro ci sono pochissime immagini: la più emblematica è una fotografia di Eugène Atget di una folla che scruta il cielo osservando un’eclisse solare. E le folle, l’autore li chiama “cori”, ritornano in questo libro come testimoni di fenomeni naturali o dell’agire umano: l’esistenza, lo stare al mondo, sembra dire lo scrittore, vive solo nello sguardo dell’altro, il che è forse un rovesciamento del libro precedente.

 

Ho il timore che, contagiato da Terzaghi, anche la mia recensione risulti troppo breve e dovrei forse divagare raccontando della vita ordinata di Matteo a Bellinzona, del suo lavoro presso l’editore Casagrande, del suo rifiuto, tranne casi eccezionali, di utilizzare il cellulare, della sua bella famiglia e degli spazi di libertà e di contemplazione che riesce a ricavare anche nelle giornate più piene. Ma non è necessario conoscerlo personalmente: basta leggere il libro e avrete davanti ai vostri occhi Matteo Terzaghi. Poi, ne sono quasi certo, vi verrà voglia di approfondire, di verificare se il signor Palomar esiste in carne e ossa, se il figlio di Marcovaldo è sopravvissuto alla scorpacciata di funghi velenosi o se Monsieur Teste per una volta ha voglia di lasciarsi andare. Ma sono accostamenti più morali che letterari. Lo scrittore ticinese ha una voce inconfondibile che speriamo di poter riascoltare al più presto.

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