Nella voce a passo di fiato / Romanzo, teatro, storia: sotto sotto è tutto un cantare?

5 Dicembre 2016

Cara Laura,

 

eccomi dunque convalescente per ferita di lancia violenta, impossibilitato a essere fra voi, ma felice di affidare alla tua voce l’intervento che si intitolava Salita alla montagna Etna con visione del fuoco: verso l’azione perfetta, e ora si chiama, per forza di cose abbastanza diverso, Nella voce a passo di fiato. 

 

Se fossi venuto a Pavia avrei proiettato il film poema – dura 16 minuti  – in cui si vede il tuo amico cavaliere che sale dal mare fino al fuoco indossando il cavallo Benenghéli mentre si sente la sua voce che dice il poema del titolo. Poi, nei minuti restanti (quattordici)  avrei mostrato l’omologia fra la montagna del fuoco (il teatro più alto da cui abbia recitato in vita mia) e quel monte, il Monte Ricco sui colli Euganei, sulla cui cima sta il bagolaro gigantesco che è l’asse del mondo di tutta la saga dell’eterno andare (lo vedi simbolicamente disegnato sulla copertina del libro), piantato dal protagonista Lorenzo adolescente all’inizio della sua avventura di andare a suonare il violoncello in capo al mondo. Avrei fatto notare come le immagini dell’inizio del cammino verso l’Etna sono girate fra le nebbie dei Colli Euganei nei pressi del Monte Ricco – dentro il paesaggio/culla dove avviene il racconto.

 

Oggi invece invito la tua voce a seguire un altro percorso, verso il cuore de L’azione perfetta – là dove si trova, come in un chiostro di meditazione, il cardine di tutta la saga e forse di tutto il mio lavoro di scrittore fin dai tempi del Diario italiano, di Zip, del Drago, di Marco Cavallo, del Gorilla, di Nane Oca, di Opera della notte, delle Lettere al lupo eccetera alla ricerca del rapporto fra invenzione fantastica e verità di cronaca dentro l’emergere dell’epica (il dare voce: dove c’è voce c’è vita, no?) secondo quanto imparavo nello sperimentare il teatro. Mi emergeva la necessità che quanto scrivevo stesse nella voce, che fosse sempre epico, usignolo, cardellino, lupo e lucherino, bambino che sempre chiacchiera e canta.

 

Prova ad andare a pagina 207, e leggi:

 

“SULLO SFONDO

 

Sullo sfondo di molti romanzi, poemi e drammi c’è il tempo – in forma di cronaca, mito, leggenda e storia. Chi sia il tempo stiamo cercando di capirlo, interrogando soprattutto i numeri e la foresta dell’universo sbalordito e misterioso.

Chi sia il tempo della poesia è ancora più misterioso.

Nel Ciclo dell’eterno andare ci sono almeno due forme di tempo: quello dell’ambientazione, che va dai primi del Novecento a dopo il 2000, e quello della scrittura, che va dal 1980 al 2014. In che tempo sta dunque la saga di Lorenzo?

Sullo sfondo, ma a volte emergente in primo piano, c’è appunto la storia (o cronaca?). L’autore è andato a curiosare nei giornali, nei libri, nei film, nei racconti, nelle testimonianze, nelle immagini e nelle persone vive di tutti quegli anni, ma soprattutto ha osservato le proprie esperienze, ciò che ha vissuto e vive. A un certo punto si è chiesto: non starò mica scrivendo un romanzo storico? Coltivando però sul romanzo storico e sulla storia romanzata moltissimi dubbi ha svoltato – e ha messo dietro le quinte (sul fondo) le ricerche e le scritture durate molti anni. Anche perché si è accorto che tanti storici si sono dati al romanzare, e tanti romanzieri alla storia in modo tale che spesso non si capisce più cosa sia storia e cosa sia finzione non solo negli Hollywood e Bollywood del mondo, ma anche nelle Accademie, a partire da quelle di Francia, e nelle televisioni, nelle reti, nei documentari così spesso ingannini. Quante volte si legge o si dice nei trailer: ispirato a una storia vera: oppure, per rendere appetitoso un libro: il romanzo della vita di… della storia di… Come fidarsi, se qualcuno di recente ha perfino insinuato che anche la guerra di Troia non è mai esistita? D’altra parte intorno a certi fatti che hanno influito sulla vita e sui pensieri di Sofia, di Rosetta, di Stefano, di Francesco e degli altri personaggi (crolli delle utopie, stragi, gambizzazioni, omicidi, testimonianze, processi tirati così per le lunghe da far dimenticare i delitti) permane molta nebbia, a volte molto insabbiamento e imbroglio o nascondimento delle carte. E allora ha pensato, l’autore, di stare sempre di più accanto a Sofia, alla sua vita e avventura: perché di lei, avendola inventata, può forse fare la vera storia, confidando, per quanto riguarda la verità dei fatti del mondo, in certi giovani e meno giovani storici che considera maestri, coi quali da qualche tempo ha intavolato un dialogo intorno alle narrazioni a cui gli uomini si affidano per cercar di capire ciò che è accaduto e accade.”

 

E ora prova a leggere (o vuoi cantarle?) le due quartine con cui si apre L’azione:

 

Giovani donne ferite da Amore

che della mente cercate la cura

per lenire qualche interno dolore

ascoltate di Sofia l’avventura.

 

In forma di romanzo e di ballata 

Sofia si prova a vincere la morte.

Chi è l’amore? Che cos’è la morte?

D’amore e vita inizia la cantata.

 

Compaiono tre termini, romanzo, ballata e cantata. Sempre nei versi introduttivi più avanti trovi altri nomi: canzoniere, cantastorie, canzone, foglio volante, romanza, epico racconto. Tu, esperta di Maggi e poemi cavallereschi, ti sarai subito accorta  che l’inquadramento del romanzo, che vuole misurarsi con la cronaca e la storia, è tutto epico alla maniera dei cantari, delle chansons, delle ottave di apertura dei canti dell’Orlando furioso: e da rigorosa storica d’ogni passo e sentiero di Lucia Sarzi forse mi dirai: ma cos’hai combinato, sventato cavaliere delle fole? Perché tanta preoccupazione di “canto” e di ballata? Che teatro stai facendo? Chi è il mito epico (sempre falso di fronte alla storia) di cui parli? 

 

Per cercare di rispondere ti chiedo di leggere una parte del capitolo intitolato I maestri cantori, a pagina 153: vi appare Sofia, la protagonista, che come sai è psichiatra, e fin da bambina si è data tre compiti della vita, e uno è vincere la morte:

 

“ XVI. I maestri cantori

 

Re, regine, santi, cattedrali,

scritture, visioni, memoriali

nel tempo narrano la gloria

di chi ha provato a vincere la morte

benché nulla sia di lei più forte.

 

1

 

Un mese dopo quel colloquio, trovandosi a Parigi per un incontro di psichiatri Sofia decise di tornare (dopo tanti anni) a Saint-Denis - la basilica dei Reali di Francia.

Quelle statue bianche dei re le erano a volte riemerse come figure di un mistero. Due giorni prima aveva acquistato le opere dell’abate Suger - colui che aveva portato la basilica al suo massimo splendore - e aveva letto l’Ecrit sur la consécration de Saint-Denis e l’Oeuvre administrative - rimanendo ammirata dalla grandiosità e precisione del racconto.

Prese il metrò e proseguì in autobus - l’ultimo chilometro volle farlo a piedi per godersi l’apparizione della basilica - l’aria era fresca - si udiva il rombo di Parigi lontana - il sole era un poco velato - le piante colme di foglie.

Sulla porta della chiesa lesse un annuncio: 

 

 

 

Università di Parigi Sorbona

LA COSTRUZIONE SECOLARE

DEL GRANDE RACCONTO DI SAINT-DENIS

lezione magistrale di Madame Geneviève Rolland

presso la tomba di Dagoberto

alle ore 10, 30

 

Erano già le 10, 25. Sofia entrò nella basilica - era emozionata. Ricordava tutto della prima visita - ma soprattutto il dolore per la morte di Silvio. Pensava, sfiorando le statue, al fatto del morire - che lei ancora la sfida non l’aveva vinta.

Davanti alla tomba di Dagoberto, mausoleo scolpito, seduti c’erano una ventina di studenti a cui si aggiunsero alcuni visitatori - fra i quali parve a Sofia riconoscere, travestiti da turisti, i due arcangeli. Solo lei, naturalmente, li vedeva: così buffamente acconciati per ironia di adeguamento alla circostanza - o, forse, per teatreggiare.

Madame Rolland - elegante, di circa quarant’anni, vestita di viola, coi capelli fluenti color oro - apparve da dietro il mausoleo e subito cominciò la lezione.

Il racconto di Saint-Denis, - disse - l’abbazia in cui si è legato il potere celeste con quello terrestre dei Reali di Francia è stato costruito nel tempo, per secoli, con invenzioni e falsificazioni clamorose, da monaci e abati geniali. Oggi la lezione, aperta ai visitatori occasionali, verterà sul racconto - non sul monumento. Un racconto che è anche - come ogni racconto mitico - un mistero e un enigma. Qual è stato il germe che ha scatenato il mito di Saint-Denis? Noi sappiamo - ed è confermato dalla campagna di scavi conclusa dieci anni fa - che questo racconto è falso anche nella sua parte apparentemente storica.

 

Ma ecco che qui Sofia fu costretta a distrarsi perché avvenne un fatto strabiliante - anzi, pazzesco: uno dei due finti turisti - quello con gli occhi rossi - fece un balzo nell’aria e dopo un salto mortale all’indietro ricadde al suo posto facendo manichetto al compare, che ne rideva. Nessun ascoltatore fece segno d’essersi accorto.

 

Gli archeologi, - continuava la signora - avevano posto all’ingresso del cantiere un bassorilievo datato 1125 in cui si vede Saint-Denis accompagnato dai suoi diaconi Rustico ed Eleuterio, condotto da un soldato romano davanti al prefetto Sissinio che lo condanna alla decapitazione. La testa viene tagliata ma Denis si china, la raccoglie e cammina fin qui - dove cade - con questo atto segnando il luogo della propria sepoltura - il luogo dove in futuro vuole essere venerato. 

È favola, leggenda, agiografia.

Denis, oscuro vescovo di Parigi nel III secolo, non ha avuto probabilmente per compagni Rustico ed Eleuterio, il prefetto Sissinio non è mai esistito, il trasporto della testa - la cefaloforia - è una storia fiorita nel basso Medio Evo intorno ad alcuni santi e il martirio non è avvenuto in cima al colle né, probabilmente, qui a Saint-Denis.

 

Ma ecco che di nuovo Sofia fu distratta - il finto turista con gli occhi rossi disse sussurrando:

Però miti e fandonie hanno mosso, e muovono, il mondo.

Ma prima o poi finiscono in catastrofe, purcinello, - sussurrò il turista dagli occhi celesti.

A questa sapientona, - sussurrò il turista con gli occhi rossi - voglio proporle il patto.

O petacùlo, - sussurrò il turista con gli occhi celesti. - Cosa vuoi proporle se lei neanche ti vede, anzi neppure crede che tu esista. 

O senzaculo, - sussurrò il turista con gli occhi rossi. - Al patto ci cascano quasi tutti, o per togliersi una ruga, o per alzarsi una tetta, o per sembrare quello che non sono.

Ha fatto proprio bene l’Onnicreante a buttarti di sotto, - sussurrò il turista con gli occhi celesti.

Onnicreante da sbocchi, - sussurrò il turista con gli occhi rossi. - Guarda come sono poi andati a finire i suoi finti martiri e re.

Ti dai contro, - sussurrò il turista con gli occhi celesti. - Male sono andati a finire quelli fondati sui falsi.

Voglio vedere cosa faranno i caghette umani quando non crederanno più alle fandonie - sussurrò il turista con gli occhi rossi. - Vedovi restano, come i camunisti.

 

Com’era divertita Sofia ascoltando quel sussurrare! La chiesa adesso, per via del sole già alto, era colma di luce.

 

Studiando Saint-Denis, i documenti e la leggenda, - continuava intanto Madame Rolland - mi sono imbattuta in uno dei grandi misteri dell’animo umano: quello della verità e falsità di tutti i racconti. All’inizio si comincia a far germogliare la leggenda…

 

La voce risonava per lo spazio della basilica ma Sofia perdeva il filo seguendo le pulcinellate dei due arcangeli - che si beffavano della conferenziera, si vedeva - e forse di tutte la storie umane, forse.

I preti, - sussurrò in quella il finto turista dagli occhi rossi andando poi a mettersi con un balzo poco sopra la testa della signora dai capelli d’oro, come un ballerino classico - hanno sempre raccontato le palle, come me.

Ma loro a fin di bene, brighella, - sussurrò il finto turista dagli occhi celesti raggiungendolo lassù.

Spiritato indiavolato anche Dio è macolato! - disse quello con gli occhi rossi.

Storia sacra, pimpinone, storia sacra è verità, - disse quello con gli occhi celesti.

Falsa storia, verginello, benché santa è falsità, - cantò quello con gli occhi rossi.

Sofia, sempre più divertita, era tuttavia un po’ contrariata perché distraendosi perdeva i passaggi dell’incredibile vicenda di falsificazione dei documenti - ma troppo bello era il ludibrio dei due, che si scatenarono addirittura cantando in contrappunto:

  

Tre in uno, uno in tre.

  Un per tre, tu per me.

  Me per te, un due tre.

  Te e me, manca il tre.

  Solo Dio fa un per tre.

 

Ed ecco che adesso, mirabilmente, si fondevano in uno: intrecciavano le ali, le braccia, le gambe, le tuniche, gli sguardi: e cominciavano a roteare, prima lenti e poi più veloci sembrando alla fine uno di quei rosoni a vetri colorati aperti sulla facciata della basilica: Sofia guardandoli ne provava estasi.

 

Tornò in sé quando la signora stava finendo e diceva:

Non vi nascondo che, stando con voi in questo teatro di luce mi sento uno di quelli che tengono vivo e tramandano il grande racconto di Saint-Denis, nello stesso tempo archeologia e seme di immaginazioni come i resti di Micene, di Troia, di Eleusi, di Babilonia - tappe della grande narrazione fatta di verità e falsificazioni con cui ci nutriamo - e ci consoliamo.”

 

Cara Laura, quante volte sono venuto, in tanti anni, a recitare qualcosa, ad ascoltare storie e canti su per i monti reggiani, a casa Notari, da Lino Casanova, a Fornolo da Masini, a Succiso, a Ligonchio  – con gli studenti, da solo, con amici, col mio cavallo o senza, in una strana, feconda e misteriosa avventura di racconto (epico?) e d’amicizia, partita un lontano giugno del 1974 nientepopodimeno che dall’Alma Mater bolognese: cosa andavo cercando, cosa andiamo cercando, coi vivi e i morti e le loro fantastiche storie di cavalieri, partigiani, operai, minatori, serve, muratori, maestri di scuola, casalinghe, boscaioli e maestri cantori?

Cosa andiamo cercando ascoltando le voci?

 

Un paio d’anni fa ci siamo trovati al monastero del Monte Gemola sui Colli Euganei, per parlare di briganti veneti dell’ottocento – studiati da Francesco Selmin e Tiziano Merlin e da me “fantasticamente” inseriti, in base anche a quegli studi, ne Le foreste sorelle come “i briganti della Pavante Foresta”. C’erano Francesco, Tiziano e gli altri della rivista “Terra e Storia” (su cui hai pubblicato un saggio del tuo libro sui Sarzi) e Mario Isnenghi, Alessandro Casellato e diversi giovani storici del Dipartimento di Storia Contemporanea di Venezia. È stato un incontro furente, furioso, entusiasmante, fecondo. Senti cosa ho detto a un certo punto:

 

Racconto. Vera storia. Verità e finzione.

Avrei dodici domande da porre agli storici qui raccolti. Mi piacerebbe che mi rispondessero: ma siccome sono domandone non occorre che rispondano oggi. Col tempo. Magari ci troviamo qui un’altra volta – santi briganti storici e brigantesse.

 

  Ecco le 12 domande:

  1. Cos’è vero? Cos’è falso? Ulisse, Antenore, personaggi mai esistiti. Eppure su di loro si sono fatti poemi e storia. Il falso è oggetto di storia?
  2. Livio (storia), Virgilio (poema epico): entrambi fondano il racconto su un falso inizio (l’arrivo di Antenore, l’arrivo di Enea). Comincia qui la crisi del poema epico? E del fare storia?
  3. Cosa fa lo storico? Lucano (Farsaglia) nel poema vuol mettere solo fatti storici. Ma sono presunti fatti storici. Come nel romanzo storico. E l’epica a questo punto cosa diventa?
  4. Aristotele/Plinio. Vero, falso. Negli scritti empirici Aristotele non inventa mai animali fantastici. È sempre veritiero, come uno scienziato d’oggi. Plinio inserisce animali fantastici. Come mai? Una diversa mentalità fra greci e romani?
  5. Cervantes: si accorge: con lui va in crisi il poema cavalleresco o tutta la letteratura di finzione, fino a Dostoevskij e oltre, fino a noi?
  6. Manzoni, 1830, nega verità al romanzo storico. E va in crisi intorno al suo romanzo. Cosa ne pensate?
  7. Stevenson: nell’articolo ritrovato e uscito in Italia da qualche settimana, nega qualunque verità e verosimiglianza alle romanzerie di pirati e di briganti: ma per farsi leggere, dice, bisogna abbellire, romanzare, romanticheggiare. Falsare.
  8. Vero falso: L’incrociatore Potemkin: una palla, e tutti ci credevano. La morte in diretta di Bin Laden: film vero a cui assistono Obama, Hillary Clinton e altri dalla Casa Bianca: più vero di così.  
  9. Pare che per una traduzione sbagliata sia stata distrutta l’Abbazia di Montecassino. Vero/falso. Cosa vuol dire controllare le parole?
  10. Mainardi e i documentari sugli animali: da qualche parte ha scritto che tutti i documentari sugli animali sono dei falsi: che veri sono soltanto quelli in cui le camere filmano stando fisse, senza controllo e poi senza montaggio, in tempo reale.
  11. Cosa ha voluto dirci Warhol filmando a camera fissa per 24 ore un grattacielo di New York?
  12. Vera storia: è una categoria valida? Cosa vuol dire?

 

Il dialogo è proseguito, diversi mesi dopo, con un altrettanto felice incontro al Dipartimento di Venezia. Molto ho imparato sul narrare, sul fare storia oggi, su vero e falso. E mi sono arricchito di nuovi dubbi. L’azione perfetta è anche una risposta a quei dialoghi. Il cantare epico del romanzo e del teatro da una parte, la vera storia degli storici dall’altra. Come sentivo risonare in me il continuo interrogare la storia del giovane Nievo (che usignolo cantore!) mentre componeva  Il conte pecoraio, Angelo di bontà e Le confessioni!

E mi è sorto un nuovo dubbio: non è che gli storici fanno anche loro cantari, solo in apparenza diversi dal teatro e dal romanzo?

 

Cara Laura, lascio a te “storica e microstorica camminante”, e ai convenuti, di cercare qualche risposta alle 12 domande e all’ultimo dubbio. Ora, per chiudere, ti pongo un’altra questione:

qual è, secondo te, secondo voi, il passo dell’epica (cioè della poesia nella voce vivente) oggi?

Passo nel senso di muovere i passi, i piedi.

Si può andare in jet, alla velocità della luce, in supertreno, in astronave, in automobile, in Guerre stellari, la grande fiaba epica degli effetti speciali dove però i protagonisti cardinali, i cavalieri Jedi, vanno soprattutto a piedi.

A me sembra che il passo dell’epica – del narrare a bocca – sia sempre quello del corpo che cammina. Che solo quella sia la metrica. Uno due, uno due. A passo di fiato, da bocca a orecchio, piano piano, fermando il tempo per ascoltare la voce.

E senti che paradosso mi sono inventato: che farò a piedi tutta l’Italia, e in dieci anni arriverò da tutti, per dare agli italiani il santino taumaturgico con l’immagine dell’Azione perfetta , e leggergli all’orecchio l’inizio, “Giovani donne ferite da Amore”.

Perché la poesia è come l’amore, da bacio a bacio, da sguardo a sguardo.

E poi le ragazze Muse, si sa, ballano a piedi nudi e sono profumate di vento, metricamente perfette nel loro cantare, in voce e canto vive

 

E voi storici?

Il passo/voce e fiato del cercare e raccontare storia, qual è?

 

Questo testo è stato letto da Laura Artioli, in sostituzione dell’autore indisposto, alla Graduate Conference “Lingua orale e parola scenica. Risorsa e testimonianza”, che si è tenuta presso il Collegio Ghislieri all’Università di Pavia, il 10 e l’11 novembre 2016. Il testo è stato scritto per l’occasione e sarà pubblicato negli atti, curati da Angela Albanese, Maria Arpaia, Vera Cantoni.

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