Un manifesto per il movimento / Il calcio salvato dalle ragazzine

8 Agosto 2019

Dal 7 giugno al 7 luglio 2019 si è svolta in Francia la FIFA Women’s World Cup, il campionato mondiale di calcio femminile. Ne avrete sentito tutti parlare perché, a differenza della nazionale maschile dello sport più popolare in Italia, che non si è qualificata all’ultimo Mondiale, le azzurre invece al Mondiale ci sono andate. Non sboccia un fiore se qualcuno molto tempo prima non sceglie un campo, non comincia ad ararlo, seminarlo, concimarlo, ed effettivamente il successo sportivo e civile di queste atlete è cominciato qualche anno fa, quando la Federazione Italiana Giuoco Calcio ha capito che c’era qualcosa che non andava più nel nostro sistema. Il modo di preparare i giovanissimi calciatori non funzionava più, perché poi i calciatori professionisti di serie A hanno cominciato a non essere i più forti in Europa e nel Mondo, le società più ricche hanno lasciato loro sempre meno spazio nelle prime squadre ai giovani italiani, e in generale i tesseramenti complessivi nelle scuole calcio hanno cominciato a calare, lentamente, ma inesorabilmente. Si è capito che questo mondo maschilista, spesso rozzo, spesso analfabeta, spesso ignorante, spesso violento nelle curve degli stadi stava allontanando una nuova generazione di genitori da questo sport. Poiché invece molte ragazze continuano a praticare pallavolo, basket, atletica, ginnastica, scherma, nuoto, qualcuno si è detto che bisognava cambiare ab ovo il sistema. Il Settore Giovanile e Scolastico della FIGC ha ottenuto un ruolo crescente, e si è formata una nuova generazione di istruttori che ora operano nei Centri Federali Territoriali con selezioni di ragazzini individuati da scout; si sta via via imponendo a tutte le società anche dilettantistiche – su una direttiva europea che dovrebbe diventare cogente nel 2020 – la formazione qualificante per i “mister”, in corsi tenuti dalla FIGC, in cui ormai sono parte fondamentale la psicologia dello sport, le conoscenze di base dell’alimentazione sportiva, l’organizzazione scritta e intensiva degli allenamenti.

 

 

Basta urla al bambino del mister ex calciatore buzzurro: «Cosa fai? Sveglia! Ma ti sembra un passaggio? Guarda che ti sbatto fuori!» eccetera. Dalle facoltà SUISM di Scienze Motorie arrivano per tirocini pratici e teorici obbligatori i nuovi laureandi, formati molto bene al benessere, alla partecipazione sportiva. Dovranno sparire urla, parolacce, mortificazioni, spasimo per la vittoria, esultanze australopiteche, scorrettezze verso l’avversario. Ai cartellini giallo e rosso si è aggiunto nelle categorie dei bambini e dei ragazzini il cartellino verde che premia un gesto di Fair Play: dire che l’ultimo tocco è stato mio e non suo; scusarsi con un avversario sgambettato, recuperare un pallone per il corner degli altri.

In tutto questo lavorìo, che darà i frutti più avanti, abbiamo cominciato a vedere il fenomenale successo nei Paesi europei del Nord e soprattutto negli Stati Uniti del calcio femminile. Il livello di emancipazione femminile di quelle aree del mondo, o almeno il livello di coscienza delle donne (madri e figlie) del proprio diritto alla parità di genere in ogni campo ha così portato in campo le bambine. Il calcio femminile italiano, dagli anni Sessanta schernito dal calcio maschile come campo di concentramento delle “lesbiche camioniste”, si è così liberato da ogni etichetta, e ormai in tutte le regioni italiane si disputano campionati anche under 15, e ora under 12.

 

 

Dal 2016 lavoro come volontario non retribuito nel calcio femminile, come dirigente sportivo e come coach delle under 10, perché il livello iniziale della qualificazione dei “mister”, ovvero il Grassroots E per fare l’istruttore nelle scuole calcio, l’ho voluto prendere per capire come funziona. In 25 ore di lezioni teoriche e pratiche sul campo mi sono convinto che spira aria nuova; ero il più vecchio tra i corsisti, e certo il più intellettuale, ma potevo dialogare con i giovanottoni miei compagni. Come accade a scuola, le bambine e le ragazzine hanno una tenacia, una grinta, una volontà cognitiva di riuscire che i loro coetanei non hanno. Inoltre i bambini non giocano più a pallone per strada, perché verrebbero travolti dalle auto; non giocano più nei prati, perché infestati da cacche di cane o siringhe: stanno tutto il giorno in casa con uno smartphone in mano, sono spesso grassottelli per cattiva alimentazione. Così a 5 o 6 anni un bambino e una bambina che cominciano la scuola calcio non hanno più un divario abissale. Poiché non sono ancora partiti i campionati solo femminili under 10 (mi sto battendo personalmente perché si cominci il prossimo autunno), si fanno campionati misti in cui squadre di Pulcine affrontano squadre di Pulcini con un anno in meno: tre anni fa si perdeva 10 a 0; quest’anno siamo arrivati ai primi pareggi e ai primi tempi parziali vinti, con avvilimento o disperazione dei piccoletti. 

Le atlete sono molto allegre, si divertono, sono quasi tutte simpatiche, chi è competitiva o maldicente viene isolata, il senso della squadra e dell’abbraccio è dominante; le “avversarie” non sono nemiche, prima e dopo scherzano fra loro, socializzano. Sono raramente egocentriche, mai violente. Quando fanno un gol sono contente ma non fanno piroette grottesche o gestacci personalizzati. Il movimento del calcio femminile sta ripristinando nello sport del calcio i valori dello sport. 

 

 

L’Italia di Bonansea, Giacinti, Girelli e compagne si è rafforzata perché la FIGC ha costretto dal 2015 tutte le squadre professionistiche di calcio maschile di serie A e B ad aprire un settore femminile giovanile. Hanno cominciato Fiorentina, Sassuolo, Empoli, Chievo, poi nel 2017 è arrivata la Juventus FC, che ha vinto subito il campionato contro il glorioso Brescia. Poi Milan, Inter, quest’anno il Napoli. Ecco perché al Mondiale le nostre azzurre, quattordicesime nel ranking mondiale, sono arrivate – allenate dalla intelligente e colta coach Milena Bertolini – ai quarti di finale, tra le prime otto del mondo, eliminate dalle olandesi, che sono poi arrivate alla finale perdendo contro le star planetarie, le americane guidate da Alex Morgan e Megan Rapinoe.

Quando vincevano, le nostre azzurre ballavano in cerchio la Macarena guidate dalla scatenata Girelli. Quando parlavano in tv, sapevano l’italiano e molti scoprivano che non erano camioniste e che la loro identità sessuale era una loro questione di privacy. Sorridevano, parlavano con umiltà ed entusiasmo; nessuna oscurava le altre. Erano un gruppo fantastico. Una foto mostra, a fine partita, l’olandese Lineti Beerensteyn che consola e abbraccia una Valentina Giacinti in lacrime: lo avete mai visto alla fine di una partita di maschi?

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=Md_zC5EgLW4

 

Al ritorno a New York le atlete Usa sono state accolte da una folla di 300.000 persone, maschi e femmine. Non sono state invitate alla Casa Bianca da Donald Trump perché la terribile e intelligentissima Megan Rapinoe, orgogliosamente e pubblicamente lesbica e fortissima in campo, quando veniva intonato l’inno americano si inginocchiava in segno di protesta contro le discriminazioni etniche e gender, e perché ora la rivendicazione delle professioniste di american soccer è l’«equal pay», la stessa paga dei colleghi maschi, visto che il giro di affari del femminile negli States ha sfondato i 50 milioni di dollari, bypassando l’income maschile. Ai talk show Megan Rapinoe sbanca: «Perché se portiamo più sponsor e più pubblico dei maschi dobbiamo avere stipendi più bassi di loro e meno sostegno dalla Federazione? Qual è il motivo?».

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=IEfeFJlwUyQ

 

Ora, a Mondiale finito, anche le calciatrici italiane sperano che finiscano le ipocrisie delle società maschili, costrette a ingoiarsi il calcio femminile e avarissime nei premi di ingaggio, abissalmente inferiori a quelli stratosferici degli analfabeti maschi. Ora che tutte le società dilettantistiche di calcio, anche le più scalcagnate, fanno un “OPEN DAY PER LE BAMBINE” per avere qualche decina di iscritti in più, non pagando i coach e i dirigenti, si deve andare avanti.

Penso alla tenacia delle suffragiste che hanno lottato per un calcio femminile dal 1881 in Inghilterra, o a personaggi dalla volontà d’acciaio come la milanese Losanna Strigaro, “signorina” che per tutto il 1933 bersagliò di lettere il “Littoriale”, giornale ufficiale dello sport fascista, chiedendo perché la sua squadra femminile non avesse il diritto di avere una Federazione nel CONI e un campionato, ricevendo imperterrita le risposte sprezzanti, volgari e intimidatorie del direttore (considerazioni non molto diverse da quelle che ancora si sentono sghignazzare a bassa voce nei bar delle società dilettantistiche a proposito del calcio femminile, da parte di presidenti e “mister” che devono sopportare le femmine tra i piedi): di queste albe del calcio femminile racconta il giornalista palermitano Giovanni Di Salvo nel suo Le pioniere del calcio, pubblicato dall’editore torinese Bradipo Libri con la prefazione di Milena Bertolini.

E mentre in Olanda le ragazzine si comprano i fumetti della serie Vivianne gioca al calcio, ispirati dalla star olandese Vivianne Miedema, in Italia il portiere della Fiorentina, Stéphanie Öhrström, svedese migrata nel calcio italiano, manda in libreria in questi giorni con il fiorentino Corrado Tedeschi Editore Elisa e Bella Francavilla, un grazioso racconto per ragazze e ragazzi in cui racconta di Elisa, una ragazzina di oggi che ancora deve vincere scherno dei compagni e resistenze dei genitori per godersi la sua purissima passione per questo sport. Poco prima dei Mondiali era uscito La prima punta, in cui la campionessa e coach racconta i suoi esordi (editore People).

 

 

Condivisione, rispetto, identità, impegno, coraggio, partecipazione, orgoglio, fantasia, lealtà, umiltà, divertimento, le parole d’ordine che il Settore Giovanile e Scolastico della FIGC sta cercando di seminare in tutto il calcio, sono da sempre nel calcio femminile. Ora occorre cambiare il DNA del calcio maschile. Penso che non sia possibile farlo con le regole dei maschi e con le scelte dei dirigenti maschi della FIGC. Dalla prossima stagione non ci saranno più alcune gloriose squadre femminili di serie A, schiacciate dal rialzo dei costi della sfida professionistica: Valpolicella e Mozzanica (scaricate da Chievo e Atalanta) chiudono bottega, con conseguenze gravi sui loro vivai: dove andranno  under 15, under 12 e under 10? In un’altra città costringendo i genitori a lunghi spostamenti e a fatiche pesanti? Nessun dirigente della nuova Divisione Calcio Femminile della FIGC ha aperto bocca, pensato a un sostegno di emergenza: nulla. Selezione “naturale”?

 

Vedremo se anche i giornali e le televisioni sportive, che hanno spalancato i menabò al calcio femminile nel mese dei Mondiali delle azzurre, terranno gli occhi aperti sul movimento che può cambiare il calcio italiano. Intanto, le giornaliste milanesi del coordinamento GiULiA non hanno perso tempo con l’UISP: a Roma nella sede romana della Federazione Nazionale della Stampa Italiana il 29 maggio 2019 e al Comune di Milano il 16 luglio hanno presentato il manifesto “Media, Donne, Sport: idee guida per una diversa informazione”: Mara Cinquepalmi e Manuela Claysset hanno coinvolto tra le altre Katia Serra (responsabile calcio femminile della Associazione Italiana Calciatori e opinionista Sky Sport) e Raffaella Masciadri (presidente della Commissione atlete del CONI e rappresentante delle atlete nel consiglio dell’associazione Giocatori Italiani Basket Associati); nel documento richiamano l’applicazione della Carta dei Diritti delle Donne nello Sport (1985) e il Progetto Europeo Olympia (1987) e chiedono che diventi prassi e non eccezione «informare sulle discipline sportive con competenze di merito; evitare di soffermarsi sull’aspetto fisico delle atlete in modo ammiccante; dare alle discipline sportive femminili pari visibilità; declinare al femminile i ruoli; evidenziare le discriminazioni di genere nello sport».

Dopo l’uscita dai Mondiali la star del calcio brasiliano, Marta Vieira da Silva, ormai ultra trentenne, alla rituale intervista televisiva post-sconfitta è esplosa in un messaggio appassionato e meraviglioso destinato alle ragazze del futebol feminino: «Volevo sorridere e piangere di allegria, ma invece voglio dire che bisogna piangere e faticare all'inizio per poi poter sorridere alla fine! Queste nuove ragazze devono credere in loro stesse. Il calcio femminile ha bisogno di voi per sopravvivere e sorridere alla fine!".

 

https://sport.sky.it/calcio/femminile/2019/06/24/mondiali-femminili-brasile-marta-sfogo.html

 

Dall’8 luglio, il giorno dopo i Mondiali, sto osservando se qualcosa è cambiato. E sto maturando una convinzione definitiva: il calcio femminile non è una costola del calcio maschile, con Eva che deve imparare da Adamo il vero calcio, per crescere; Eva è già nata, è in piedi, corre, fa soldi negli Usa, fa simpatia ed è una costola del calcio in quanto sport, non è una costola del calcio maschile. Solo un calcio femminile indipendente dal punto di vista sportivo, gestionale, tecnico, etico anche in Italia potrà raggiungere i risultati raggiunti nei Paesi anglosassoni e scandinavi. Non è tirando il collo al movimento femminile dalle prospettive del business maschile, distruggendo vivai e esperienze decennali e ventennali, che il movimento continuerà a crescere, ma continuando ad alimentare con pazienza una nuova generazione di bambine, e poi ragazze, e poi giovani atlete in un ambiente specifico, con più dirigenti donne possibile, più coach donne possibile , più arbitre possibile, più giornaliste e commentatrici sportive possibile. A quel punto noi maschi potremo andare in tribuna e goderci l’energia delle ragazze che sul campo faranno tornare il calcio lo sport bellissimo che un tempo era stato.

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