Teatri bene comune / 400 giorni a fari spenti

16 Aprile 2021

Chiusure a oltranza, tra cassa integrazione (per chi ce l'ha, soprattutto quadri amministrativi) e niente contratti (soprattutto attori, tecnici, musicisti). Aperture intermittenti e contingentate, tra attori e maestranze assoldate a progetto. Sono quasi 400 giorni che il teatro vive nell'incertezza totale, senza vedere nessuna luce in fondo al tunnel. A febbraio il ministro della Cultura Franceschini aveva annunciato la riapertura dei luoghi dello spettacolo per il 27 marzo, giornata internazionale del teatro. Il proclama sui social è rimasto tale, e così in tutta Italia da Torino a Napoli le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo sono scesi in piazza per reclamare il proprio diritto al lavoro. A Roma l’occupazione è scattata il 14 aprile, in attesa della sentenza sull'occupazione del Nuovo Cinema Palazzo. Il Globe Theatre, quello che era il palcoscenico di Gigi Proietti, è stato invaso da diversi collettivi romani e nazionali, tra cui Autorganizzat_ Spettacolo Roma, Clap – Camere del lavoro autonomo e precario, il Campo innocente, in quanto “simbolico per la città, per la sua architettura elisabettiana e per il personaggio che rappresenta, che ci ha lasciato poco tempo fa”, per rivendicare la “tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo”, come è stato raccontato durante la conferenza stampa.

 

Occupazione del Globe Theatre a Roma.


Ma nelle settimane precedenti erano scattate altre occupazioni: a Napoli il Coordinamento arte e spettacolo della Campania insieme agli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Napoli hanno occupato esternamente il Mercadante. 

Il regista Marco Cacciola è una delle voci del Coordinamento spettacolo Lombardia, che lo scorso 27 marzo ha occupato il Piccolo Teatro di Milano, il primo teatro pubblico d'Italia fondato da Giorgio Strehler e Paolo Grassi dopo la Seconda guerra mondiale per creare un teatro d'arte per tutti. E il Piccolo – o meglio, il chiostro Nina Vinchi – è ritornato il palcoscenico della ripartenza culturale. “Noi non siamo qui per chiedere di riaprire e di ripartire. Noi vogliamo che ci sia una progettazione di riapertura, che non sia legata a semplici proclami, come dice l'assessore Del Corno, senza che questa riapertura sia ‘progettata, condivisa e non reversibile’, perché i luoghi della cultura non possono più permettersi di aprire e chiudere in base ai cambi di colore delle regioni. Gli altri paesi stanno ragionando su questo: avere una data che va preparata. La politica ha tutti i materiali per fare sintesi delle richieste che sono pervenute da tutte le realtà coinvolte, ora spetta alla politica fare qualcosa”, racconta Cacciola.

I punti centrali della proposta del Coordinamento spettacolo Lombardia, frutto di un confronto settimanale con i coordinamenti regionali e con tutte le maestranze coinvolte a livello nazionale, sono fondamentalmente quattro.

 

Prosegue il regista: “Ruotano attorno all'idea di aiutare i lavoratori dello spettacolo a essere riconosciuti come tali, a essere meno ‘affamati’ aumentando il gettito nelle casse dell'Inps e di conseguenza diminuendo le giornate per accedere ai diversi sussidi. Sono più di quanto si pensi gli artisti che hanno bisogno della legge Bacchelli per arrivare a fine mese...”. Chiedono quindi una riforma fiscale e previdenziale del lavoro dello spettacolo (Fpls), che permetta ai lavoratori di accorpare in un'unica cassa i contributi previdenziali e assicurativi derivanti dalle giornate di lavoro svolte negli svariati contesti in cui si trovano a operare: “Chiamiamo, inoltre, la diminuzione dell'Iva al 4% per le attività̀ di spettacolo e di didattica delle arti dello spettacolo; l’abbassamento da 120 a 60 del numero delle giornate necessarie per cumulare l’annualità contributiva per il gruppo A; abbassare di 5 anni il requisito necessario al raggiungimento dell'età pensionabile; abbassare da 100 a 38 le giornate contributive nell'anno precedente per ottenere l'indennità di malattia; inserire le attività di insegnamento di arti e mestieri fra quelle riconosciute”.

 

Chiedono uno ‘sportello virtuale’ per la semplificazione delle pratiche di assunzione diretta dei lavoratori, permettendo anche ai singoli cittadini o alle imprese che non abbiano come attività primaria lo spettacolo di versare i contributi nel Fpls qualora si avvalgano della prestazione di lavoratori dello spettacolo, “per esempio un clown per una festa per bambini o un tecnico luci per un matrimonio. Il sistema dello sportello virtuale previdenziale si pone l'obiettivo di diventare, come già avviene nei paesi europei in cui è riconosciuto lo ‘statuto dei lavoratori discontinui’, uno strumento utile anche per istituire quello che definiamo ‘reddito di continuità̀’”. 

E conclude: “Chiediamo la ‘responsabilità̀ occupazionale’, ovvero crediti di imposta destinati esclusivamente alle imprese che investono in sviluppo e promozione del lavoro, attraverso l’assunzione diretta di personale qualificato. L'obiettivo è quello di diminuire la flessibilità lavorativa che porta a un continuo precariato. Tema che purtroppo riguarda molte altre categorie, non solo lo spettacolo... Chiediamo un ‘reddito di continuità̀’, a cui poter accedere con 43 giornate di contribuzione nell’arco dei 12 mesi precedenti la richiesta, come avviene già in altri paesi europei”.

Insomma, si vuole una riforma strutturale della previdenza per i lavoratori dello spettacolo, partendo dal ripensare la condizione del lavoro degli artisti come un mestiere intermittente in cui i momenti di non lavoro sono legati a momenti di studio, formazione, confronto, fondamentali per la qualità dei contenuti culturali. 

È un tema caldo quello dei lavoratori dello spettacolo che, secondo i dati Inps 2019, sono in Italia 327.812, con una retribuzione media annua di 10.664 euro e un numero medio annuo di 100 giornate retribuite. Ma chiosa ancora il regista “questa più che una proposta vuole essere un documento di indirizzo verso una proposta, ricordando che noi facciamo altri mestieri e ci piacerebbe che la politica si assumesse un impegno concreto”.

 

Il chiostro Nina Vinchi del Piccolo Teatro occupato.


L'impegno concreto se lo erano già preso le deputate Chiara Gribaudo (PD) e Alessandra Carbonaro (M5S), che lo scorso 11 novembre hanno presentato una proposta di legge sui diritti e sulle tutele dei lavoratori dello spettacolo: 11 punti che spaziano dall'accesso alle pensioni all’indennità di malattia e maternità, alla tutela per i professionisti discontinui e per chi pratica formazione nell'ambito dello spettacolo, riconoscendo un’indennità specifica per contrastare i cali del reddito, fino all’istituzione di un credito d'imposta per il Gruppo A, alla riduzione dell'Irap e alla tassazione agevolata. Ma la storia è purtroppo vecchia. Il magazine “Ateatro” è testimone delle continue disquisizioni attorno alla questione, colmate nel 2018 con il volume Attore... ma di lavoro cosa fai? Occupazione, diritti, welfare nello spettacolo dal vivo a firma di Mimma Gallina, Luca Monti e Oliviero Ponte di Pino (edizioni FrancoAngeli). Uno tra i problemi che emergono con più frequenza è l'autoreferenzialità delle azioni, anche in ambito politico e sociale. L'emergenza sanitaria – diventata presto emergenza sociale ed economica – con il relativo isolamento, ha solo aggravato una situazione già difficile. Un altro problema è la frammentazione del settore: nei primi quattro mesi della pandemia “Ateatro” aveva censito più di 80 petizioni diverse per la cultura e i suoi lavoratori.

 

Chi non è del settore si trova spiazzato di fronte a tante opinioni e fazioni, che inevitabilmente perdono di efficacia e di risonanza. Tra le molte proposte ricordiamo l'appello della star internazionale Laura Pausini con l'hashtag #seiconnoi a favore di tutti “i professionisti di ogni settore dello spettacolo, i lavoratori senza cassa integrazione, i lavoratori occasionali, tutte le maestranze che lavorano nel mondo della musica e dell’intrattenimento”; in Puglia 300 lavoratori dello spettacolo chiedevano di sbloccare i fondi al settore che la Regione aveva stanziato e che dal 2017 non erano ancora stati erogati; la lettera aperta di Shownet, (la rete di cooperative del settore spettacolo che comprende Ams, Crea Stage, Crew Room, Doc Servizi, Doc Creativity, fasolumusic.coop, Nrg, Techne, Tempi Tecnici) a Governo e Inps per richiedere l'accesso agli ammortizzatori sociali per i lavori della cultura, in "attesa di una riforma organica dopo l’emergenza assicuri ai lavoratori dello spettacolo un degno sistema di diritti e protezione nel rispetto dell’art. 38 della nostra Costituzione". Sono solo alcuni sintomi di un disagio che non è stato placato dai pochi ristori e dalla garanzia della continuità del sostegno del Fus al settore.

 

 

Ma non si sono segnalate solo iniziative partite dal basso o dagli stessi lavoratori della cultura. Anche le amministrazioni e i sindacati hanno fatto sentire i loro punti di vista.

Il 12 marzo 2020 dodici assessori alla Cultura delle grandi città avevano chiesto al governo Conte di poter intervenire autonomamente a sostegno del settore: “Ripartire dalle città significa permettere alle amministrazioni locali di poter sostenere davvero la cultura, superando la dimensione della contribuzione a singoli progetti per arrivare a un autentico conferimento di risorse ai soggetti attivi nella produzione e offerta culturale. Per salvaguardare il ruolo economico e sociale che la cultura svolge nelle città, soprattutto nei suoi territori più disagiati, occorre un forte intervento dello Stato, sia economico, sia normativo, a favore degli Enti locali”. Il 19 febbraio hanno dovuto ribadire il concetto anche con il nuovo governo Draghi.

 

In Campania la Cgil ha chiesto al governatore De Luca misure straordinarie per tutelare i 13mila lavoratori dello spettacolo della regione: “Apprezziamo gli sforzi già messi in campo dalla sua amministrazione, ma contestualmente registriamo che imprese e lavoratori dello spettacolo sono in affanno, faticano a reggere i colpi di questo pesante stallo che presumibilmente li vede rilegati, nella cosiddetta fase 2, alla fine dell’elenco delle attività che riapriranno”.

Già nell'aprile 2020 Confcultura chiedeva di “tutelare il lavoro e ripartire dalla cultura”, mentre Cresco – che raccoglie molte voci del teatro indipendente, audita poi in Senato – aveva scritto una lettera al presidente Conte e al ministro Franceschini in cui chiedeva che “all’interno della Commissione di esperti in materia economica e sociale sia nominata una figura del settore dello spettacolo dal vivo, affinché le specificità del comparto possano essere di aiuto alla comunità tutta” e ancora chiedeva tutele per i lavoratori dello spettacolo che “sono in grande difficoltà esattamente come la maggior parte dei lavoratori di ogni settore produttivo italiano, con due aggravanti non trascurabili. La prima è che i loro luoghi di lavoro sono stati tra i primi a chiudere e saranno gli ultimi a riaprire; la seconda è che non basterà riaprire i teatri ma bisognerà ricostruire il pubblico, cioè le comunità che di arte – e quindi di vicinanza, di scambio, di ricerca costante di bellezza e armonia – si nutrono”. 

 

Il Comune di Bologna si sta muovendo in maniera autonoma rispetto al ministero. Il 23 marzo 2021 è stato siglato con le associazioni sindacali dello spettacolo un Protocollo di buone Pratiche che “si pone in continuità con gli obiettivi di contrasto al lavoro irregolare e della applicazione della clausola sociale nei cambi di appalti per favorire la stabilità occupazionale […] nello specifico contesto del lavoro dello Spettacolo e della Produzione Culturale per il territorio del Comune di Bologna” in cui il Comune individua sette buone pratiche che si impegna a “inserire nei bandi di gara e negli affidamenti di servizi e nei bandi per la stipula di convenzioni, nonché a promuovere nei bandi per la concessione dei contributi” e “individuare eventuali segnali di irregolarità rispetto alle buone pratiche”. Tra queste buone pratiche, alcune che dovrebbero costituire modalità di rapporto acquisite, e che evidentemente non lo sono: rispetto dei contratti nazionali, retribuzioni mai al di sotto dei minimi contrattuali, pagamento delle prove e non solo delle recite… 

 

Occupazione allo Stabile di Torino.


Mentre le voci si moltiplicavano, per chiedere sostanzialmente la stessa cosa, sono nati altri gruppi: nella primavera 2020 Attrici attori uniti, "una comunità di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo che hanno sentito la necessità di unirsi e creare un terreno di confronto su tematiche legate al loro mestiere". Lo scorso agosto è stata fondata Unita, Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo, "un’associazione di categoria creata per sostenere e promuovere la centralità del mestiere dell’attore all’interno del panorama artistico e culturale e nella formazione sociale di ogni individuo", "non solo per rappresentare unitariamente gli interessi della nostra categoria ma per contribuire a definire, all’interno della professione, un sistema di regole, fatto di doveri oltre che di diritti". 

Diventata nota a livello nazionale per la manifestazione nelle piazze il 10 ottobre 2020, Bauli In piazza – We Make Events Italia è l'associazione che unisce i lavoratori della cultura e che chiede: sostegno ai lavoratori e alle imprese; una riforma del settore; regole per la ripartenza; un'agenda del tavolo interministeriale.

 

Anche il Coordinamento spettacolo Lombardia è nato in piena pandemia, lo scorso 30 maggio, proprio con la lucidità di comprendere che la voce è più forte se a gridare è un coro: “Semplicemente ci si è uniti per condividere competenze e intenti, per far sì che la nostra voce fosse ancora più grossa”. E sono riusciti a farsi sentire, tanto che sono stati invitati in Senato a portare le istanze, comuni a tutto il comparto della cultura. Oltre l'emergenza, si tratta di garantire dignità ai lavoratori dello spettacolo, tenendo conto delle peculiarità di un settore caratterizzato dalla precarietà, dall'intermittenza, di redditi costruiti assommando vari lavori e lavoretti, e spesso sostenuto da diverse e originali forme di autoimprenditorialità, che spesso nascondono mero sfruttamento.

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