Fenomenologia di una politica in frantumi / L’anomalia italiana

27 Settembre 2016

È possibile intravvedere, individuare il momento, o meglio: il contesto, l’atto d’inizio, le condizioni di insorgenza in grado di spiegare e far comprendere le ragioni che hanno determinato quella che, semplificando, potremmo declinare nei termini dell’attuale condizione italiana? Cos’è che fa del “caso italiano” una condizione permanentemente irrisolta, inscritta e ascrivibile nella ‘cifra’ di una strutturale precarietà? Dentro l’orbita insuperabile di un implacabile stato d’emergenza? Non sembra essere questa la cifra specifica – di là dalle differenti manifestazioni che carsicamente costringono a confermare una tale immagine del paese – con cui l’Italia sembra proiettarsi nell’immaginario mondiale? Queste brevi note non sono mosse dall’intenzione di scavare dentro le trame storiche di una controversa (a nostro avviso, già difficile da definire) “identità italiana” (sul tema: Ernesto Galli Della Loggia, L’identità italiana, il Mulino; Aldo Schiavone, Ernesto Galli Della Loggia, Pensare l’Italia, Einaudi) – la qual cosa sarebbe, peraltro, ben al di là delle nostre stesse competenze –, bensì dall’idea di capire più modestamente se, nel corso di un tempo più breve (all’incirca, l’ultimo decennio), il verificarsi di una serie di eventi e vicende (nel loro “sistemico intreccio”), oltre ad offrire lo spartiacque socio-politico che ha inciso radicalmente nelle attuali sembianze e nelle inedite tonalità emotive che connotano il nostro paese, riesca a confermare, ad un tempo, come l’Italia rimanga segnata da ciò che sopra abbiamo definito una condizione di strutturale precarietà. Ed è pertanto a partire dal decennio che ci precede che prenderà le mosse questa nostra nota.

 

Nel maggio del 2007, il pamphlet La casta, dei giornalisti Stella e Rizzo, iniziava a scoperchiare il vaso di Pandora contenente ciò che via via avrebbe assunto il volto di un debordante, intollerabile sistema di privilegi su cui si reggeva da gran tempo la “macchina statale”, nella sua “autarchica” rete politico-burocratico-imprenditoriale-istituzionale. Dall’ampia e articolata casistica di scandali, privilegi, sprechi di risorse, uso disinvolto/spregiudicato di denaro pubblico – così come offerto dall’inchiesta dei due giornalisti –, emergeva ciò che gli italiani intuivano, sospettavano, o avevano avuto già modo di sperimentare episodicamente, senza poterne/saperne delineare la “portata sistemica”, che di lì a poco – “tracimando” –, avrebbe determinato un’irreversibile crisi di “legittimità” dell’intero sistema politico-istituzionale italiano, sino a cambiare radicalmente i connotati e la composizione dei “soggetti politici” in campo, e ad aprire una crisi, per certi versi irrecuperabile, della classiche forme della “rappresentanza” e del “riconoscimento” politico. 

 

Non è un caso che nell’arco di sette mesi, nel dicembre del 2007, La casta abbia raggiunto il numero di un milione e 200 mila copie vendute, a conferma di come l’humus di un molecolare “senso comune” anticasta fosse alla ricerca delle sue ragioni, sino a incidere notevolmente nel mutamento sia del “linguaggio” politico nazionale che nella stessa dialettica antagonistica tra le forze in campo. In altri termini, ciò che sino a quel momento era stato debolmente e superficialmente declinato nei termini di una mera “autoreferenzialità” del ceto politico-istituzionale – in linguaggio “innocuo”: la divaricazione tra “paese legale” e “paese reale” –, in realtà esprimeva (e nascondeva) il volto “strutturale” di una diffusa e organica “crisi di sistema” dello spazio politico-istituzionale, a tutti i livelli (nazionale, regionale e locale). Entrambi i “due corni” dell’agire politico-istituzionale verranno coinvolti dentro un vortice e una spirale imprevista: una verticale e progressiva caduta di “legittimità” dell’intero ceto politico-istituzionale, andrà accompagnandosi all’affiorare di una plurale, complessa e diffusa realtà, fatta di spreco intollerabile del denaro pubblico, privilegi, affari, complicità in interessi di “consorterie politiche”, sino all’esplosione di fenomeni di corruttela burocratico-politico-imprenditoriale-istituzionale, esponendo il terreno della “(il)legalità” alla sua deriva patologica. 

 

Ma il 2007 è, simul, l’anno che segna l’avvio di due fenomeni epocali – tra loro autonomi e con differenti ragioni d’insorgenza – che incideranno profondamente, pur se per vie diverse, dentro la fenomenologia dello spazio e del sistema politico nazionale: da una parte, è di quell’anno, infatti, il primo “Vaffa day” di Beppe Grillo, in diverse città italiane, che lo porterà successivamente, due anni dopo, a fondare il M5S, incorporando parole d’ordine, linguaggi e strategie di lotta politica, tutte finalizzate a giocare in termini di “anticasta” la sfida contro l’intero sistema politico-istituzionale e l’establishment italiano, destrutturandolo in modo dirompente; dall’altra, l’esplosione della crisi dei mutui subprime con il conseguente crack della “Lehman Brothers”, una della più grandi banche d'investimento americane che, a cascata, irromperà e scuoterà i mercati finanziari di tutto il mondo, aprendo, nel 2008, la più grave crisi sistemica dell’economia globale, dopo quella del ’29, con conseguenze che hanno investito – e continuano a inquietare senza sosta – l’intero sistema economico-finanziario mondiale, con risvolti preoccupanti per un’Europa in cui non è prevalsa la consapevolezza politica di dover corrispondere alla sua inedita “costellazione post-nazionale” (Jürgen Habermas), con contraccolpi ulteriormente devastanti per un paese, come l’Italia, appesantito da un debito pubblico di duemila miliardi di euro e strettamente “vincolato” dalla Governance neomonetarista impressa dall’U.E. 

 

 

Non vi è chi non veda come la crisi economico-finanziaria del 2007-2008 – da cui non solo non siamo affatto venuti fuori, ma ciò che si configurerà dopo di essa porterà con sé tracce consistenti del recente passato – abbia inciso radicalmente e in modo molecolare in Italia sul terreno delle condizioni materiali delle classi medie del paese, incidendo profondamente nel quadro dell’estensione preoccupante delle diseguaglianze sociali, sino a consolidare una visione di pessimismo diffuso tra le nuove generazioni, pur imprimendo certamente, nelle trame del corpo diffuso della società italiana, la necessità e il bisogno di auspicare una “svolta” politico-sociale. Non aver percepito tutto ciò, non aver saputo corrispondere politicamente a questi inediti “vettori” della dinamica emersa in tale contesto da parte di un’invecchiata, inadeguata, confusa e indecisa classe dirigente del principale partito tendenzialmente egemone, in quel momento, nel paese – il PD di Bersani (va detto, oltre ogni retorica, con una “Ditta”, già da tempo, in stato gassoso e fallimentare un po’ ovunque) che, dentro quei sommovimenti (materiali e culturali), avrebbe dovuto percepire/praticare nuove dinamiche d’azione politica, analisi, comportamenti e decisioni –, è alla base sia della repentina scalata di Matteo Renzi alla guida del PD (il quale, all’apertura della seconda “Leopolda”, potrà esordire perentoriamente: “ci siamo subito accorti che questo Paese era facilmente “scalabile””, figurarsi il PD!), sia dell’inevitabile successo del M5S, che riuscirà con facilità, ben presto, a coprire il “vuoto” di una radicale e seria attenzione politico-strategica sulle questioni che il libro La casta profeticamente aveva fatto affiorare. A cascata, il repentino succedersi di vicende di malcostume corruttivo del ceto politico-istituzionale (si pensi ai molteplici episodi di uso “disinvolto” del finanziamento pubblico nelle Regioni) e i tanti scandali dell’intero sistema imprenditoriale-burocratico-politico-istituzionale, nel corso di questi ultimi anni, consentiranno al M5S di strutturare le parole d’ordine di un attacco concentrico al “sistema politico” nel suo insieme, ponendosi come terzo interlocutore nella battaglia politica, consolidando al tempo stesso l’immagine di quella anomalia italiana, nel panorama dei sistemi politici occidentali.

 

Come non cogliere che l’intreccio tra tutti questi fenomeni ed eventi sinteticamente sopra esposti abbia determinato (sul piano materiale e coscienziale) quella “miscela esplosiva” che ha consolidato la “strutturazione” di un’inedita e conflittuale separazione tra “Élite” e “popolo” in Italia? In altri termini, ciò che, fattualmente è accaduto in seguito, dentro la congiunzione di questi eventi – sul terreno politico, negli orientamenti sociali, nelle dinamiche elettorali (“crisi” dell’ultimo Governo Berlusconi, Governo Monti, elezioni del 2013, astensionismo strutturale, inevitabile dialettica politica italiana tra “tre poli”: PD, M5S, centro-destra, ecc..) –, non è altro che il loro effetto di verità politica, che ha configurato un repentino mutamento dell’antropologia politica italiana, assestandola nella fenomenologia in cui essa si presenta nel corso degli ultimi anni e che stiamo provando a delineare. Probabilmente, qualcuno potrebbe contestarci il fatto che gli eventi e le vicende che fanno da sfondo e sostegno alla nostra analisi, attengano più alla individuazione di alcuni significativi epifenomeni, piuttosto che mettere a fuoco i luoghi davvero decisivi e fondamentali che hanno inciso nella “strutturazione” delle attuali trame politico-sociale italiane. 

 

In realtà – per rispondere immediatamente a tali rilievi –, se volessimo ricorrere alla classica “metafora hegeliana”, potremmo dire che il clima e le dinamiche politiche che oggi ci accade di vivere e sperimentare rappresentano davvero l’effetto del “lavoro” di quella talpa che ha scavato sottotraccia in questo decennio. È vero: un tempo apparentemente così breve che sembra ascrivibile più alla cronaca che alla storia. Ma d’altra parte, rispetto al “tempo storico di Hegel”, l’attuale accelerazione ipermoderna (Hartmut Rosa, Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi) non rappresenta, infatti, il canone irrequieto di questa nostra contemporaneità, talmente schiacciata nella piena puntualità della sua immediata spazialità? Non è ascrivibile proprio a questa sorta d’iperbolica consumazione/fine del tempo, quell’inedita inquietudine che – in forme differenti – la gran parte dell’opinione pubblica del nostro paese sta vivendo e che si ripercuote sia nel prevalere di dinamiche linguistiche e comportamentali dell’attuale “vocabolario politico” (populismo, “logiche antisistema”, crisi irreversibile della democrazia, disaffezione politica, ecc.), sia nel prevalere di alcune passioni negative (rancore, risentimento, ostilità, sfiducia generalizzata, rivendicazione delle proprie esclusive “ragioni”, non riconoscimento dell’altro, crollo di ogni prospettiva, percezione di profonde, intollerabili diseguaglianze sociali, ecc.), al punto che non è sbagliato indicare queste ultime passioni come le più tipiche e diffuse Stimmungen (“tonalità emotive”) del nostro tempo? 

 

In realtà, è l’evaporazione di senso della politica e dello stesso agire politico – a tutti i livelli: da Roma alle nostre città (ma non è la mera insignificanza il tratto “politico” che accomuna il Governo nazionale e le città politiche che abitiamo?) –, a costituire l’inedita esperienza che stiamo vivendo e che accomuna tutti noi, mentre l’esasperazione del conflitto che quasi sempre accompagna lo stato della nostra “città divisa” (solo per mera analogia con il grande studio di Nicole Loraux) assume il carattere barocco della mera ridondanza di un “falso movimento”, che allude sempre e ricorsivamente, a un finale di partita beckettianamente senza esito. Non avvertiamo tutti noi l’evanescenza e l’ineffettualità di quell’agire politico che sino a qualche decennio fa colmava l’orizzonte di “senso” di un segmento importante delle nostre forme del fare? D’altra parte, anche la percezione ed esperienza dell’inedita tonalità emotiva “sul politico” – sull’evaporazione dell’intera “sfera politica” –, non è la diretta e progressiva conseguenza dell’evidente prosciugamento del ruolo dello Stato-nazione, conseguente all’affermarsi dell’epoca globale e dei “grandi spazi” geopolitici (Grossraum, Carl Schmitt), che hanno eroso quello “spazio politico interno” che sino a qualche decennio fa ancora declinava la relazione tra particolare (le diverse e differenti istanze delle soggettività) e universale (la proiezione utopica e “finalistica” dello Stato, dentro cui il soggetto trovava protezione e il proprio riconoscimento)? 

 

Inoltre, essendo oramai acquisto – in special modo, nei momenti in cui l’asse della storia è connotato da “svolte epocali”: cos’altro è la “global Age”? – come l’eccezione sia diventata la “regola”; l’estrema emergenza il “caso normale”; il caso d’eccezione la “norma”, è inevitabile che – tra fine dei grandi e solidi “soggetti collettivi” e pervasiva accelerazione di un’ineffabile “liquidità” –, nell’estrema contingenza degli effetti di evaporazione della politica, appare evidente come siano diventati prevalenti i tratti e le dinamiche di quell’occasionalismo politico, che connota la stesso agire (nelle “decisioni” e negli orientamenti) dei Leader contemporanei (da Renzi a Cameron, per restare ai casi più eclatanti), senza poter avere la certezza che il “dispositivo” di Carl Schmitt (“Sovrano è chi decide nello stato d’eccezione”) riesca davvero a funzionare: nel senso di assicurare quel necessario “riconoscimento” di stabilizzazione di sovranità al “decisore” o ai decisori in campo. 

 

A ciò si aggiunga che è proprio il “carattere occidentale” del compimento dello Stato – e qui “compimento” allude non alla sua morte o “fine”, bensì al “compiersi destinale” della sua forma “moderna”: da Hobbes all’ultima sfera della globalizzazione (Peter Sloterdijk) –, conseguente all’affermarsi dell’epoca globale e all’agonistica competizione tra Grossraum (“grandi spazi”) geopolitici, che, avendo determinato il trasferimento della “dimensione decisionale” dallo Stato nazione allo spazio politico europeo, non possono che far emergere oggi, con forza e nettezza, l’estrema riduzione dello spazio di movimento e “decisione” dei Governi nazionali (a maggior ragione per l’Italia, per i “vincoli” strutturali che stringono il nostro paese nella morsa del più alto debito pubblico sovrano). Ne deriva quella dinamica, in special modo per il nostro paese, che restringe in modo consistente l’autonomia politica ed economico-finanziaria dei Governi, al punto che lo stesso “gioco politico” tra i tre soggetti in competizione (PD, M5S, Centrodestra) – sopra delineato nei termini di “falso movimento” politico –, anziché davvero libero di svolgersi su un terreno materiale, “produttivo” di significative riforme strategiche, vede prevalente e esorbitante il “dispositivo” della tecnica comunicativa-persuasiva messa in campo dai tre interlocutori, i quali quasi sempre nel vivo della loro contesa verbale non vanno oltre il timbro ideologico delle loro speculari “telerappresentazioni”. 

 

Appaiono pertanto chiare le ragioni del perché la particolare antropologia politica che connota gli attuali “umori” dell’opinione pubblica italiana porti il segno di una profonda disaffezione politica, di un radicale malessere sociale, mentre cresce la percentuale di quanti non solo non vanno più a votare, ma assegnano alla sfera politica, nel suo insieme, una bassissima capacità di resa e di presa consensuale, facendo declinare l’anomalia italiana nel quadro di uno “stato” di permanente emergenza infinita

Poco sopra abbiamo fatto riferimento alla talpa hegeliana, quale figura metaforica che, a nostro avviso, consente di cogliere, per effetti intrecciati, il modo e le ragioni per cui la dialettica tra “Élite” e “popolo”, in Italia (ah, i Leader del M5S la smettano con la loro – finta? – “ingenua” ragionevole ideologia, secondo cui “uno vale uno e siamo tutti cittadini!”: è destino di tutti soggetti politici declinarsi in forme gerarchico-oligarchiche) è venuta condensandosi nei termini che abbiamo provato qui a offrire. E a noi pare davvero che, pur nel variare, nel mutare e nell’insorgenza dei soggetti, delle vicende, degli eventi sin qui esposti, ciò che si condensa nella “strutturazione” di questo inedito campo politico italiano sia davvero l’effetto del lavoro di scavo della talpa. E come è ben noto, questa talpa, altro non è che il volto speculare di un’altra figura metaforica che a essa, dialetticamente, si intreccia, differenziandosi solo in ragione del tempo – l’ora, il momento, l’occasione – in cui può consentire che si proferisca parola

 

Tale figura “in opposizione” alla talpa, come ben noto, è la Civetta (Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, il Mulino), e non è per mera smania di citazioni se affermiamo che entrambe debbano essere qui richiamate, dal momento che se qualcuno dovesse/volesse chiederci – dopo l’esplicitazione di queste succinte note filosofico-politiche su quella che abbiamo chiamato “l’anomalia italiana” – “cosa potrà accadere, da adesso?”; “dopo il quadro sin qui esposto, quali eventi potranno succedersi?”, noi non potremmo (anzi: dovremmo!) che arrestarci, fermarci, sospendere e trattenere la parola. Potremmo solamente dire: “decideranno gli accadimenti!”. 

Infatti, da una parte, solo grazie a quello che è stato il lavoro sottoterra della talpa – se è condivisa l’interpretazione qui esposta –, noi abbiamo provato a esplicitare, a cose fatte, da un punto di vista “filosofico-politico”, il “senso” di quanto accaduto, abbiamo provato a portare a “concetto”, in pensiero (“filosofico-politico”) il recente passato, dal momento che è vero e indubitabile – per dirla con Hegel – che “la filosofia è il proprio tempo appreso nel pensiero”, o in altri termini, che “La Nottola di Minerva s’alza in volo solo sul far del tramonto” (Hegel). Nel senso che, non essendo la filosofia – né la “filosofia politica”, pur nella tendenza ossimorica che questa espressione/categoria si porta dietro (sul tema, fondamentali, Categorie dell’impolitico, Roberto Esposito, il Mulino; Id., Dieci pensieri sulla politica, il Mulino) – profezia, bensì capacità di sistemazione concettuale del proprio tempo, non è dato a noi proferir parola sull’orizzonte, sulle prospettive che è possibile possano aprirsi nei prossimi mesi nello stato dell’arte della politica italiana, nelle forme di relazione tra le forze politiche in campo, nella sfida che potrebbe aprirsi a partire dai mesi a venire. 

 

Non siamo, né restiamo, certamente indifferenti a quanto potrà accadere. Certo, l’immagine plastica di una politica in frantumi – per effetto di quella talpa, il cui scavo abbiamo provato a delineare/interpretare – è quella che a noi pare emergere, ora, adesso, nell’attuale, irrisolta, stanca, afasica, scena politica, sociale e culturale del paese, e che più di altre immagini riesce a darne rappresentazione compiuta. Per rimarcare, ulteriormente, sempre sul punto: un conto è pensare la politica, altro è agire politicamente. Fermo restando che lo guardo sul mondo attuale ci spinge a dire che siamo integralmente e “epimeteicamente” consegnati a un destinale interdetto (su tutti: Massimo Cacciari, Il potere che frena. Saggio di teologia politica, Adelphi). Forse, ci sarà data l’opportunità, la possibilità ancora di corrispondere al volo della prossima Nottola di Minerva, solo dopo che la solita talpa avrà consumato un altro suo lavoro di scavo sottoterra. Ma questa è un’altra storia.   

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