Rumore visivo / Splendori e miserie dell’infografica

10 Marzo 2022

Curve epidemiche e previsioni elettorali. Bilancio dei nuovi contagi, innalzamento delle temperature su scala globale, statistiche dei cittadini ai seggi per le elezioni. Ma anche ore di sonno dormite, di musica ascoltata settimanalmente o tempo d’utilizzo dei nostri dispositivi come smartphone, tablet e pc.  Big data. Grandi raccolte di dati, masse impersonali di informazioni quantitative in cui siamo quotidianamente immersi e di cui, senza rendercene pienamente conto, siamo anche produttori. Sebbene siano strumenti in grado di raccontarci qualcosa di nuovo e di interessante, nella vertigine della lista, nell’astrazione di tabelle di numeri, possono incutere timore e risultare di difficile comprensione. Per questo, al fine della loro comunicazione viene spesso fatto ricorso a forme di visualizzazione (data visualization) capaci di condensare in poco spazio le informazioni di cui sono portatori. Compito dell’information design è proprio questo: elaborare strategie per la trasmissione di un messaggio – attraverso infografiche, illustrazioni e grafici – che sia di facile lettura per il pubblico. Ma è davvero tutto così semplice e immediato? 

 

Il saggio di Valeria Burgio, Rumore visivo: semiotica e critica dell’infografica (Mimesis, pp. 174, € 17), sembra venire in nostro aiuto nel tentativo di rispondere a questa domanda tutt’altro che scontata. “L’informazione ha sempre una dimensione pragmatica e patemica: muove e commuove”.  Un’indicazione che è anche un invito da parte dell’autrice a riflettere su come i grafici – dotati di una specifica efficacia comunicativa e di una forza retorica – piuttosto che semplici traduzioni visive di dati, siano da considerarsi come “forme di relazioni tra contenuti, trasposte in un artefatto visivo”. In grado, inoltre, di fornirci informazioni sulle loro condizioni di produzione determinate da un punto di vista situato, e dall’insieme di valori che circolano all’interno di una società e di una cultura.

 

Considerato il pioniere dell’infografica, Edward Tufte – teorico e statista statunitense – sostiene che una buona trasmissione visiva dell’informazione dovrebbe fondarsi su criteri di chiarezza, efficienza e accuratezza del segnale, per come proposto dal modello matematico-informazionale degli studiosi Shannon e Weaver. Un approccio funzionalista che richiama alla mente la metafora tipografica del calice di cristallo di Beatrice Warde, vero e proprio elogio della trasparenza. Un approccio che per certi versi viene superato già a partire dalla metà degli anni ’60, grazie ad Abraham Moles, quando si iniziò a riflettere sull’intensione comunicativa dell’emittente e sul portato di significanza del rumore come elemento possibile di una strategia comunicativa. È questo che interessa all’autrice: “quello che per l’ottica funzionalista è un errore che mina l’efficienza della comunicazione, può essere letto come un segnale che invita ad allargare la visuale, indice di una narrazione più ampia che incornicia il testo visivo da analizzare”. 

 

Articolato in tre capitoli e un’introduzione, il testo esprime due tesi. La prima è che la visualizzazione dei dati, ovvero la loro messa in discorso attraverso forme visuali, sia un lavoro di costruzione semiotica. La seconda, riguarda il valore euristico dell’incertezza: la sua forza performativa nella critica stessa del processo di costruzione visiva dell’informazione.

 

Così, nel primo capitolo Burgio ripercorre alcuni passaggi fondamentali delle teorie della significazione attraverso le immagini. Un percorso che dal manuale Sémiologie Graphique (1967) di Jacques Bertin (fondatore del laboratorio di cartografia dell’École Pratique des Hautes Études) ripercorre, tra gli altri, il lavoro sui diagrammi di Peirce, Eco e Fabbri. Intrecciando queste riflessioni teoriche con la storia della rappresentazione grafica dell’informazione quantitativa si viene così introdotti in un percorso tra le mappe narrative di Charles J. Minard, i grafici prodotti da ISOTYPE e le litografie di William Playfair.

 

Nel primo caso preso in analisi dalla semiologa (fig.1), l’utilizzo di un determinato lessico e del colore sono scelte retoriche e argomentative per parlare dei flussi di merci tra Inghilterra e Stati Uniti. Così, quanto le esportazioni superano le importazioni si fa ricorso alla formula a favore di (“in favour of England”) e al colore azzurro; viceversa, per riportare una situazione di perdita viene utilizzato il rosso – scelta cromatica convenzionalmente attribuita al pericolo e al senso d’allarme – e alla locuzione contro l’Inghilterra (“against England”). Un secondo esempio, preso sempre dall’Atlante di Flayfair (fig.2) ci mostra come a essere determinante sia la scelta da parte dello statista inglese di giocare con una distorsione dell’asse temporale – che quindi perde la sua regolarità e uniformità – al fine di veicolare le proprie convinzioni personali e politiche sull’andamento del debito nazionale in Inghilterra. Entrambi questi casi, qui brevemente descritti, sono paradigmatici circa l’efficacia retorica dell’immagine. Il libro di Burgio però si spinge ancora più in là.  Infatti, oltre a una ricca serie di esempi, l’autrice riprende il pensiero e le intuizioni di molti storici della grafica come Michel Friendly, Robin Kinross e Otto Neurath per mostrare come la presunta neutralità dei dati e le loro rappresentazioni grafiche non sia altro che un effetto di senso.

 

Grafico delle importazioni ed esportazioni dell’Inghilterra dal 1700 al 1782, William Playfair, The Commercial and Political Atlas, 1786. Public domain.


Grafico del debito nazionale dell’Inghilterra: William Playfair, The commercial and Political Atlas, 1786. Public domain.


Al cuore del libro, l’incertezza. La sua capacità di creare nuova conoscenza, il suo potenziale euristico. È questo il fil rouge che guida le riflessioni di Burgio nel secondo capitolo del volume. L’informazione secondo l’autrice vive un paradosso: “maggiore è l’incertezza, maggiore è l’informazione – ma il suo scopo è proprio ridurre l’incertezza”. Per questo, come chiarisce la studiosa, i flussi di dati risulterebbero illeggibili senza l’introduzione di pertinenze e di filtri interpretativi in grado di conferire loro una rilevanza specifica. Classificazioni e gabbie categoriali che però non sono innocenti, quanto piuttosto “artefatti storici e politici attraverso cui si dà ordine al mondo”. Non solo. L’incertezza riguarderebbe anche coloro a cui il messaggio è rivolto – l’osservatore, influenzando la volontà di processare tali informazioni e di rifiutare la ridondanza del dato.

 

Da qui il ruolo del critical design e delle visualizzazioni che mostrano la natura costruita e non trasparente delle informazioni. Svelare le condizioni di produzione, ricorrere a strategie visive come lo sfumato, evidenziare la permeabilità dei confini categoriali, o porre al centro di tali visualizzazioni la categoria dell’“altro”, sono tutti metodi atti all’incremento di conoscenza su un fenomeno specifico. 

Un esempio di questo, il progetto di mappatura delle morti violente realizzata da Marìa Salguero. Un’operazione che ha fatto emergere un pattern specifico, permettendo di dar voce al silenzio sui femminicidi in Messico, annoverati dal governo come casi isolati di omicidio.  Circa le modalità di rappresentazione dell’incertezza, invece, si può far riferimento invece alla comunicazione di Amnesty International (fig. 3) nel report del 2017 sul numero delle esecuzioni capitali in Cina: dove il ricorso allo sfocato è lo strumento metaforico per visualizzare l’incertezza di dati incompleti sul fenomeno. 

 

China's deadly secrets, report 2017 di Amnesty International.


Dal valore dell’incertezza alla performatività dell’infografica. L’ultimo capitolo del libro, concentrandosi su grafici climatici e curve epidemiche, affronta il tema delle visualizzazioni nel discorso scientifico. 

Ne è un esempio la curva di Keeling (fig. 4), tipo di immagine che opera all’interno di comunità di scienziati come prova visiva di accordi e aggiustamenti progressivi circa le relazioni casuali tra fenomeni. Quanto emerge da questo tipo di grafico è un duplice fenomeno: il primo riguarda l’andamento costante e oscillatorio della concentrazione di anidride carbonica durante l’anno (picchi di crescita in primavera, di decrescita in estate); il secondo – prorompente – è l’inesorabile e progressivo aumento della di CO2, testimonianza visiva dell’inquinamento dell’aria.

 

 


Altro caso, invece, è quello che riguarda la moltitudine di visualizzazioni che hanno caratterizzato la comunicazione scientifica del Covid-19. Ad essere fondamentale in questo caso è lo strumento dello scenario, in grado di mostrare predizioni multidirezionali del fenomeno in analisi. Condivisa su Twitter dall’esperto in salute pubblica Drew Harris, la doppia curva della visualizzazione realizzata dall’Economist (fig. 5), fa vedere due traiettorie molto differenti tra loro a partire da un punto comune. La prima mostra l’espandersi della pandemia senza restrizioni – e si veda di nuovo l’ausilio del rosso; l’altra, invece, è una previsione di quanto potrebbe succedere se vi fosse invece un intervento politico per il contenimento del virus. Una verità discorsiva che poggia sull’affidabilità e la coerenza dell’istituzione giornalistica e in cui la visualizzazione, come dispositivo narrativo, assume piuttosto il ruolo di strumento di persuasione.

 

Dispositivi retorici e politici. Le visualizzazioni grafiche sono forme di produzione e circolazione del sapere tutt’altro che innocenti. E Rumore visivo – la cui lettura non può non avvincere – oltre ad essere un interessante saggio su un fenomeno indubbiamente attuale, è un utile strumento per non rimanere ingenuamente intrappolati nel loro inganno persuasivo. Tutt’altro che trasposizione neutrale dei dati, le data visualization sono strumenti caratterizzati da una propria efficacia, prescrittiva e normativa.

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