Un fumetto a colori

5 Marzo 2016

La settimana scorsa, chiacchierando di scuola e di colori con un amico, ho saputo che il n. 100 di Martin Mistère è dedicato al colore: il titolo è Di tutti i colori. L'amico è Andrea Sani che insegna storia e filosofia al Liceo "Galilei" di Firenze e si occupa di logica – sì, proprio di logica, quella più astratta possibile – e al contempo di cinema e di fumetti. La connessione non è poi così strana come sembra, ma certo mi ha sorpreso trovare un intero fumetto dedicato al colore, anzi alla teoria dei colori. La ricerca non è stata difficile, non occorre cercare nelle bancarelle, esistono gli e-book anche di fumetti.

 

Il prato blu; Forse i cani vedono così.

 

L'autore di Martin Mystère è Alfredo Castelli; il fumetto è disegnato da Giancarlo Alessandrini ed è colorato (tutti i numeri multipli di 100 sono a colori) da Laura Battaglia per l'editore Sergio Bonelli. L'edizione cartacea risale al 1990, quella digitale al 2012.

La storia inizia a Eden, un paesino sperduto del Vermont: l'amico Jerry ha trascinato Martin in un circo dove un mago, apparentemente di secondo ordine, gioca con facili trucchi di fazzoletti colorati; Martin è perplesso del livello dello spettacolo, ma il mago filosofeggia: «Colori... noi li consideriamo un elemento integrante e immutabile della nostra esistenza, tanto che non vi facciamo neppure più caso... non ci rendiamo neppure conto che i colori non sono inerti attributi della materia. Vivono con noi, respirano con noi, ci condizionano...». Ma ci stupiamo ancora di più: il mago indica con un dito un signore del pubblico, gli dice che ha in tasca un biglietto con un indirizzo importante che costituisce la sua ultima speranza. E l'indirizzo è quello di Martin Mistère.

 

Gli alieni; La tribù dei senzacolore. 

 

Più avanti scopriamo dal racconto di questo signore, Richard Fielding, – che si è recato dal nostro protagonista per chiedergli aiuto – l'ossessione della sua vita. Si tratta dell'argomento che i filosofi americani chiamano "lo spettro invertito": come posso essere certo di chiamare con lo stesso nome – per esempio "verde" – la stessa sensazione di un altro, di vedere lo stesso verde che vede un altro? La domanda lo perseguita fin dall'infanzia, lo ha indotto a studiare scientificamente il tema del colore, a collaborare alle ricerche di colorimetria, e infine a inventare una macchina che gli permette di collegare le retine di due persone diverse e di vedere con gli occhi di un altro. Lascio in sospeso la fine della vicenda per non togliere al lettore la sorpresa.

L'episodio che segue si svolge al Guggenheim dove è esposto il quadro Monochrome di Yves Klein che Martin descrive come blu di Prussia, ma il fotolitista Petrus Zell (il nome è ispirato a Franco Petruzelli, fornitore della casa editrice) spiega che si tratta del famoso blu Klein, una sfumatura del blu oltremare, che sta tra il 288 e il 289 della scala Pantone, colore brevettato dal pittore e impossibile da riprodurre. Dopo una breve lezioncina sulla stampa a quadricromia, lo stampatore riconosce di essere appunto in difficoltà nel riprodurre per il catalogo della mostra il punto di blu del quadro; dice addirittura di essere disposto a uccidere per riuscirvi. Il catalogo però risulta perfetto, ma il quadro è stato ridipinto con un altro blu. Chi leggerà la storia capirà cosa è successo.

Petrus Zell era poi presente allo spettacolo del prestigiatore del circo: era stato scoperto dal mago perché aveva le mani sporche di blu ed era diventato rosso dalla rabbia, verde dalla bile, giallo dall'invidia e persino bianco dalla paura. Una bella serie di metafore che ricordano il vecchio Bilbolbul del "Corriere dei piccoli" e proseguono: essere al verde ed essere in rosso in banca, un nero che può essere blu, come in una canzone di Armstrong.

 

La regione delle nebbie.

 

La ricerca sul colore induce il nostro eroe e il suo fedele assistente Java a un viaggio avventuroso nelle Ande per scoprire la natura di un oggetto apparentemente di pietra, ma dal suono metallico e costituito da una lega sconosciuta, regalato da un indio al famoso archeologo Vincent von Hansen (anche questa figura è ispirata a un archeologo vero, Victor Wolfgang von Hagen): sarà forse il famoso oricalco dell'Atlantide platonica? Nel paese delle nebbie i due scoprono un'acromatica città perduta, nella quale gli uomini sono coperti di una  polvere grigia, come nel cartone animato di Heinz Edelmann per i Beatles, Yellow Submarine, nel quale i biechi blu avevano sottratto al mondo i colori. L'origine della cromofobia degli indios risale invece a un lontano evento che precede la conquista spagnola: la tribù in questione, fuggita dalle violenze degli Incas, aveva abolito il colore per evitare le differenze e i contrasti, ma con questo aveva anche smorzato la competizione e gli stimoli alla ricerca; nel grigiore erano scomparsi anche i sogni colorati. Ma i cantanti Carlos Gardel e poi Elvis Presley... A questo punto però devo interrompere il racconto per non svelare l'esito dell'avventura.

Un numero fantastico e un concentrato di enigmi sul colore.

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