Per chi suona la campanella

22 Ottobre 2013

Seimila ore di lezione frontale, un migliaio di studenti, cinquanta collegi docenti, duecentocinquanta riunioni di vario tipo, due istituti, due classi di concorso, quattro presidi, duecento colleghi, una decina di viaggi di istruzione e altrettante uscite didattiche, dieci maturità, sei paia di occhiali, due manuali di storia e tre di filosofia (in più edizioni però), oltre duemilacinquecento compiti in classe corretti e altrettante interrogazioni orali, venti roller nere 0,3 e una decina di matite 0,5 o variamente colorate, quattro computer portatili e due fissi.

 

Poco più di un mese complessivo di mutua, una decina di scioperi e altrettante riunioni sindacali, tre periodi invernali di crisi profonda, qualche centinaio di sedute psicanalitiche, la perdita complessiva della chioma, l'uscita dal tabagismo e l'ingresso nel podismo dilettante e nell'attività fisica regolare. Nel frattempo una convivenza divenuta matrimonio, una figlia, due gatti, un dottorato (con congedo), una manciata di libretti tra cui due serie monografie, decine di articoli e tra l'altro due dischi di alt/post-rock... Approssimativamente, duemila giorni di scuola, dieci anni di insegnamento, iniziati  il 12 settembre 2001 (lascio immaginare di cosa si sia parlato durante la prima lezione) e coincidenti con la terza decade della mia esistenza.

 

Il 1° settembre non ho ripreso servizio nel mio istituto, un liceo scientifico di Torino. Inizio a lavorare all'Istituto storico della Resistenza della stessa città in qualità di docente 'comandato' e prestato dal Miur all'Insmli (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione In Italia) secondo una convenzione che prevede l'utilizzo di personale docente, periodicamente rinnovata dalla fine degli anni Settanta, e a cui si accede tramite selezione tra gli aventi requisiti.

 

Mi occupo di didattica della storia, in particolare di innovazione tecnologica relativa alla multimedialità, di aggiornamento docenti e di progetti in rete con istituzioni pubbliche e scuole di diverso grado; della Resistenza, di storia del fascismo e del nazismo, del sistema concentrazionario, del colonialismo, delle pratiche genocidarie comparate, dei partiti politici e della nascita della Repubblica italiana. Dunque di cittadinanza e costituzione e di storia del presente e di memoria pubblica, in un momento difficile e critico. Da questo punto di vista la cronaca si intreccia con il calendario civile di ogni anno: Giorno della memoria, del ricordo, Venticinque aprile, Due giugno; settant'anni dal 1943-45, cento anni dal 1914 giusto per indicare i fuochi più vistosi.

 

Tra le mie priorità culturali, accanto alle linee guida dell'Istituto e di chi mi ha preceduto, ci sono un canone ancora più fortemente incentrato sul Novecento e sulle sollecitazioni della storia del presente; una riflessione sulla memoria insieme alla pratica scolastica del fare memoria; sulle cornici narrative della storia e sulla 'voce' della manualistica e della saggistica; un diffuso utilizzo delle fonti letterarie; un ampliamento dello sguardo alla storia coloniale come chiave di lettura della seconda guerra mondiale per un insegnamento della storia in anni di globalizzazione.

 

La storia della Resistenza, e tutto quello che gli ruota intorno, è qualcosa di cui mi sono già occupato, credo seriamente, durante gli anni di formazione e poi nell'attività di docenza, in piccolo; ma che prima ancora, in modo non scientifico, appartiene alla storia di famiglia e che per me  significa una nuova pagina di un generale interesse per la (filosofia della) memoria. Qualcosa che a quanto mi ricordo è iniziato oltre trent'anni fa durante le visite a un vecchio cimitero di campagna, tra racconti smozzicati, foto sbiadite dal tempo, medaglie da decifrare e pezzi di armi obsolete segretamente custoditi. Qualcosa che costituisce oscuramente la fonte dei rivoli che si snodano fin dentro il mio curriculum.

 

Lascio un istituto – colleghi, studenti, dirigenza, segreterie, collaboratori – a cui sono legato, a cui spero di aver dato molto e da cui ho ricevuto molto, e che per certi aspetti è stato una casa.

 

Trovo accoglienza in una istituzione nobile e prestigiosa, ricca di professionalità, attiva, impegnata, costruita nei decenni da uomini e donne con un surplus di motivazione e competenza. Ma non mi sembra di cambiare completamente ambiente, semmai, posto che la metafora abbia senso, di occuparmi di intelligence nelle retrovie di un fronte di battaglia.

 

Ai ministeri di cui sono stato (e rimango) dipendente faccio notare con una punta di acredine che se sento il bisogno di occuparmi di didattica e ricerca è perché essi hanno non hanno mai agevolato tale riflessione nella vita dei docenti, paralizzando al contrario l'insegnamento con pratiche burocratiche schizoidi sempre più formalizzate e svuotate di contenuti, impoverendo e precarizzando le condizioni materiali di chi lavora all'educazione per motivi ingiustificabili di bassa contabilità. Se i docenti italiani sono sempre meno intellettuali è perché è stato fatto di tutto perché non lo fossero, fino al discredito della professione nel senso comune. Altro che formazione continua: la motivazione è stata frustrata con ogni mezzo.

 

Voglio inoltre studiare di più di quello che la docenza permetta, confrontarmi con un mondo cognitivo di pari e imparare da altri 'maestri', allontanarmi da un rapporto totalizzante e asimmetrico e dai costi psichici elevati come quello docente-discente, che richiede attenzioni e tutele specifiche e che invece viene generalisticamente abbandonato all'iniziativa personale.
Credo che la mia scelta attuale vada nell'ottica di ampliare il paesaggio in cui ho scelto di lavorare (avendo la fortuna di riuscirci); certo, qui sta la differenza, aumentando la distanza dai ragazzi e la vicinanza con i testi e le istituzioni di ricerca e di educazione in genere. Con una nuova progettualità e un maggiore numero di destinatari si tratta di concentrare e ad amplificare, ancora una volta insieme ad altri, quello che ho sempre fatto: studiare e condividere saperi ad alto tasso di significatività. Umana, etica, politica.

 

Lavagna, dopo quasi due anni di attività non smetterà di occuparsi di scuola ed educazione ma necessariamente diventa qualcosa di diverso, dal momento che quello che mancherà (e mi mancherà benché lo abbia sempre trovato faticoso) sarà la vita quotidiana della scuola vissuta nelle classi. Un forte ringraziamento va a studenti/esse e ai colleghi/e con cui ho condiviso molte cose – crescita, impegno, scoramento, conflitti, ironie, rabbia, felicità in questi oltre dieci anni.
Per il resto, non è che l'inizio di una nuova fase. Senza stagioni il mondo sarebbe meno interessante.

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