Una tribù in viaggio

24 Dicembre 2013

Mentre salgo sul "bussino" cerco di scacciare dalla mente il ricordo del funerale delle vittime dell'autobus precipitato in Irpinia l'estate scorsa, con l'immagine indelebile dei ragazzi sdraiati accanto alle bare nel Palazzetto dello sport, anche perché l'occasione è festosa: una riunione di cugini a Castel San Pietro Terme, dove vive uno di noi con la sua famiglia.

 

Riprendiamo una vecchia abitudine di mio padre e dei suoi sei fratelli di visitare, con le loro famiglie, l'Europa e l'Italia su autobus presi a nolo. Provenza, Spagna, Castelli della Loira, Foresta Nera, viaggi poi mitizzati nel ricordo e che hanno fornito nuova linfa a una aneddotica già sterminata. I viaggi venivano preceduti da sopralluoghi in alberghi e ristoranti dagli zii prestati all'organizzazione.

 

Questa volta tocca alla nostra generazione e le occasioni culturali sono confinate alla visita di Dozza, prima cittadina di Romagna arrivando dall'Emilia, nota per la Biennale del muro dipinto e per l'Enoteca regionale emiliana, posta nella Rocca e dove trascorriamo la maggior parte del tempo. Spendereste venti euro per un pur ottimo Lambrusco? Noi no, così ci limitiamo all'acquisto di un Pignoletto frizzante che ha un suo perché.

 

 

Liberati dalla pedagogia oppressiva che ci imponeva la visita di musei, chiese, abbazie, dimore storiche ecc. ecc. ci facciamo condurre all'agriturismo dove alloggiamo posto sul cocuzzolo della montagna. Per fortuna non c'è una neve alta così e puntiamo diritti all'unico vero scopo della gita: la cena. Siamo una famiglia che ha alcuni valori condivisi: il principale, forse, è che siamo dei gran golosi (esiste perfino un ricettario domestico) e se il cugino 'locale' Andrea avesse sbagliato la scelta del ristorante sarebbe stato un passo falso imperdonabile.
Naturalmente non ha sbagliato.

 

Silvano accoglie senza scomporsi i 44 cugini, una zia e Gite, simpatica ed esotica new entry che arriva da Londra e si dichiara vegana. Non è esattamente il posto giusto per lei: antipasto di salumi misti e formaggio tenero con ficattole e piadine. Spazzato in un amen, si passa al classico tris di primi: tortellini in brodo, tagliatelle ai porcini, ravioli di patate al ragù. Il primato va a quest'ultimi.

 

 

Molti si dichiarano già sazi, gli uomini parlano di calcio, politica o di tecnologia domestica, le donne dei compagni, i bambini si rotolano per terra o rubano caramelle al paziente Silvano. I più coraggiosi (quorum ego) proseguono con salsicce e castrato ai ferri con patate al forno. Quest'ultimo davvero buono. Il Sangiovese della casa scorre a fiumi, qualche malcapitato avventore ha abbandonato da tempo la sala. Si fa baracca, qualche accenno di discorso viene interrotto da lazzi, si intonano i "44 gatti che si unirono compatti".

 

 

Compatti? A tavola compattissimi. Al massimo divisi sul dolce: io finisco con un budino alle mandorle che mi sembra squisito, prima di risalire sul "bussino" e rientrare all'agriturismo dove, svegliandoci, ci aspetta "un'abbondante prima colazione" e una vista meravigliosa sulla wilderness dell'Appennino tosco-romagnolo. Ma è già tempo di tornare in città (non prima di un ultimo snack dal cugino locale). Prossimo appuntamento: la cena (o pranzo?) di Natale.

 

Osteria La Civichella, via Viara, Castel San Pietro Terme. In realtà è fuori dal paese sulla SP 21, sulla strada che sale per la verde valle del Sillaro. Si spendono per un pasto completo sui 30 euro. Riposa il mercoledì. Molto consigliato in caso di ingorghi sulla A14.

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TAGGED: Cucina , Costume