Star Wars. Fare, o non fare. Non c’è provare

14 Dicembre 2015

La cosa più difficile è stata resistere, rimanere all’oscuro. “Pulisci la mente da domande”, questo mi dicevo. Nessuna informazione uguale nessuna delusione. Non vedrò un trailer, non cliccherò un “like”, non mi avrete con quelle assurde discussioni “Luke c’è o ci fa”. Ma se socchiudevo gli occhi il Millennium Falcon sfrecciava nello spazio interstellare, Chewbecca ululava a quella piccola luna in ciel. E così eccomi qua a strafarmi di anteprime e a organizzare maratone di guerre stellari con gli amici. Perché quest’inquietudine, sebbene mascherata da euforia, perché tutto questo turbamento? Perché se c’è qualcosa che Star wars ci ha insegnato, questo qualcosa è che se la storia tende a ripresentarsi in forma di farsa, il grande cinema non scherza. La seconda-ma-prima trilogia di Guerre stellari è quella uscita tra il 1999 e il 2005, e si dovrebbe vedere prima della prima-ma-seconda trilogia, che è uscita tra il 1977 e il 1983. Già questo sovvertimento delle leggi naturali avrebbe dovuto scongiurare la catastrofe e suggerire a chi di dovere che era troppo tardi per tornare indietro. “Fare, o non fare. Non c’è provare”, diceva Yoda. Ma ci hanno provato lo stesso. La seconda-prima trilogia fu un vero trionfo per il lato oscuro; e l’attaccamento a quell’antica religione chiamata “cinema” non fu d’aiuto, purtroppo, per farci digerire l’infernale guazzabuglio né ci diede la pazienza per sopportarne la visione senza sbiellare. Il sense of wonder, pfui!, annichilito da Jar Jar Binks, un alieno molleggiato che si annacava come Adriano Celentano. Il giovane Darth Vader, santo cielo, interpretato da un tizio nervoso che somigliava a Valentino Rossi. Se in molti storciamo il naso non di fronte a certe opere d’arte troppo concettuali, ma soprattutto di fronte all’uomo della strada che esclama “questo posso farlo anch’io”, ho il sospetto che in pochi avrebbero censurato l’uomo della strada se questi avesse suggerito qualche modifica alla sceneggiatura o al cast.

 

Con il primo film, La minaccia fantasma, l’aspettativa che aveva avvolto il pianeta Terra era stata soddisfatta con una gara di... di sgusci! In molti sognammo Jar Jar che sibilava “Ooh, mooey mooey I love you”. E qualcuno sentì una perturbazione nella Forza, come se milioni di fan gridassero terrorizzati per poi zittirsi a un tratto. “Non essere troppo fiero di quest’orrore tecnologico che hai costruito, l’abilità di taroccare la pellicola della prima vera trilogia è niente di fronte al potere del fandom”, sibilava una voce nel buio della camera da letto. E a questo punto della tremenda nottata l’uomo della strada cercava di gettare le tartarughine dei figli nel gabinetto, in pasto al sarlacc. O di arrostire il gatto con il filo dell’abat-jour. “Trovo insopportabile la vostra mancanza di fede nel franchise”, aveva chiosato un paramedico mentre sbatteva il portellone dell’ambulanza in faccia al nostro. Il poverino non sarebbe più tornato quello di una volta, un po’ come la memoria di un certo droide. Per la seconda puntata, L’attacco dei cloni, il tentativo di porre rimedio alla deriva macchiettistica del primo si era risolto in un’interminabile moina con effetti soporiferi quasi letali. Sognai Yoda in tuba, fuseaux e paletto di frassino che eseguiva i passi immortali di Flashdance davanti a una giuria perplessa, presieduta da Cristopher Lee. Arrivati alla terza puntata, La vendetta dei Sith, non era più in dubbio che qualcuno avesse preso alla lettera il consiglio del maestro, “devi disimparare ciò che hai imparato”.

 

Eravamo giunti alla conclusione della saga con profondissimo impegno e serissima mente, ma non era valso a nulla. Durante tutti quegli anni avevamo guardato al futuro. All’orizzonte. Mai la nostra mente era stata dove noi eravamo, sopra ciò che vedevamo mentre altri si impossessavano del mondo e del nostro immaginario. Avventure. Emozioni. Pfui! Un fan a queste cose non ambisce. Eravamo stati avventati. Il mondo sarebbe cambiato per sempre e non ci sarebbe stato scampo nemmeno nel regno della fantasia. Per i millenni a venire i nostri discendenti avrebbero confuso Darth Vader con Valentino Rossi e associato Chi non lavora non fa l’amore, che so, ad Alec Guinness. Ma ora, con questa nuova trilogia firmata J. J. Abrams, abbiamo un’altra chance per rimettere in sesto l’immaginario. Quando, poco tempo fa, ho visto Han Solo/Harrison Ford esclamare “Chewie, we’re home” mi sono ricordato una cosa. Star wars è stato il primo film che ho visto in un cinema. Era il 1977 e come ogni bambino dell’epoca, penso, avrei giurato che nel 2000 avremmo conquistato lo spazio, assicurato la pace universale e sconfitto le malattie e la fame nel mondo. Insomma, come ogni piccolo Luke Skywalker di questo mondo, ero un giovane avventato. E pensavo al futuro. Se vi avessero predetto che dalle mie parti, in Sicilia, non ci sarebbero stati i treni, che le strade sarebbero venute giù, che nelle grandi città sarebbe mancata l’acqua e che sempre più persone avrebbero ricominciato a parlare solo in dialetto e dimenticato progressivamente l’italiano, non vi sareste forse messi a ridere? Non tutti voi, intendo, ma qualcuno lo avrebbe fatto. E poi sarebbe andato a votare per Jabba The Hutt come se niente fosse. Nel 1984, qualche anno dopo quel capolavoro che è Star wars, a new hope, sarebbe uscito un altro capolavoro della fantascienza, Terminator. Il vero primo film di Guerre stellari finiva con una premiazione, una gran festa, tutti giovani e belli e tirati a lucido. Il futuro, certo, appariva complicato, forse si doveva fare qualcosa. E lo avremmo fatto. Terminator finiva con un cielo minaccioso e la certezza che a prescindere da ogni tentativo contrario ci sarebbe stata una guerra e il futuro sarebbe stato uno schifo. Giudicatelo voi, però, se ci ha preso Terminator o Star Wars. A me, in questo momento, interessa soltanto andare a vedere Episodio VII. E spero che questa volta nessun maledetto film ridicolizzi i sogni di quei bambini che credono davvero nella Forza.

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