Il giubileo tra commercio e utopia

22 Dicembre 2015

Pochi giorni fa è iniziato il giubileo straordinario dedicato alla misericordia divina, indetto da Papa Bergoglio e, per l'occasione, sono usciti in libreria diversi titoli su questo tema. Ne vorrei segnalare tre, più una piccola "aggiunta". I primi due, seppure naturalmente con alcune differenze, in realtà si assomigliano, perché ripercorrono entrambi la storia dei giubilei cristiani dalle origini –accennate – ai giorni nostri. Si tratta di Le porte del cielo. I giubilei e la misericordia, (il Mulino 2015), di Lucetta Scaraffia, e di Il giubileo. Una storia (Laterza 2015), di Alberto Melloni. Storica dell'età contemporanea la prima, e storico del cristianesimo il secondo, entrambi gli autori trattano ampiamente i risvolti economici dei giubilei, il ruolo giocato da tutto il sistema cattolico di lucrare – orribile verbo, eppure si diceva così – le indulgenze nella deflagrazione del grande scisma luterano e la progressiva necessità avvertita dalla chiesa, a partire dalla controriforma, di un rigore e una spiritualità maggiori rispetto ai temi del perdono e delle penitenze. Il libro di Scaraffia si sofferma di più sul legame tra i giubilei e l'arte, sui pellegrini e in particolare sulla situazione delle donne; quello di Melloni privilegia aspetti più strettamente ecclesiologici. Entrambi belli, addirittura indispensabili per conoscere la storia di questa antica prassi, ma non sufficienti a comprendere cosa sia veramente il giubileo; né perché non ci sia stato mai, probabilmente, un vero giubileo; e neppure come la chiesa, dai tempi della prima indizione di Bonifacio VIII nel 1300, per secoli ne abbia tradito lo spirito.

    

Per capire tutto questo, ai due libri citati potremmo affiancare un terzo saggio che vorrei segnalare, del biblista, ebraista e teologo Gianfranco Ravasi, Il significato del giubileo. L'anno santo dalla Bibbia ai nostri giorni, (EDB 2015). Se Scaraffia e Melloni ricostruiscono le vicende effettive, nel bene e nel male, dei giubilei nel corso dei secoli – una storia che Ravasi definisce “tormentata e affascinante” –, quest’ultimo saggio, nel cui titolo non a caso appare la parola significato, Ravasi racconta, invece, quello che avrebbe dovuto e dovrebbe essere un giubileo, un anno santo. Questo ci permetterà, dopo la tristezza provocata dalla storia, di trovare almeno una speranza di consolazione nel constatare che, finalmente, il giubileo appena cominciato assomiglia più di tutti gli altri a quello che avrebbe dovuto essere. Ma non del tutto. Vediamo perché.

 

Nell'introduzione al suo saggio, Lucetta Scaraffia afferma che le origini del giubileo risalgono al terzo millennio prima dell'era cristiana, quando i re dell'antica Mesopotamia usavano indire, a loro discrezione, un anno speciale in cui venivano rimessi ai sudditi i debiti contratti con lo Stato, tutti erano esonerati dal pagamento delle tasse e, talvolta, sempre ad arbitrio del re, erano cancellati anche i debiti tra privati che, non di rado, comportavano la schiavitù del debitore fino al pagamento della somma dovuta. Si trattava, quindi, di un provvedimento economico che aveva anche un forte valore politico. Il re, infatti, ridimensionando le disuguaglianze tra ricchi e poveri, allentava le tensioni sociali e riaffermava il proprio potere consolidando, nello stesso tempo, l'attaccamento a sé dei suoi sudditi. Come molti altri elementi delle civiltà precedenti e circonvicine, anche questa prassi fu accolta, in seguito, nella propria legislazione da Israele, che la separò dalla volontà discrezionale del sovrano, le diede una scadenza fissa, ogni cinquant'anni, e un significato religioso.

 

Sin dall'inizio, quindi, il giubileo ha un duplice valore, sociale e religioso. Come dice bene Ravasi, rimettere i debiti, tutti i debiti, come ordina il Levitico – il libro biblico in cui sono raccolti tutti i dettagli relativi a questa pratica –, per ribadire sia la sovranità di Dio sulla terra e su ogni cosa, perché il creditore ultimo è Dio e non un uomo, sia la dignità dell'essere umano – che non può restare schiavo per tutta la vita – sia la giustizia divina, che si esprime in Dio come misericordia, significa “un rinnovamento radicale della comunità umana nelle sue stesse strutture socio economiche”. Dal punto di vista sociale, per quanto ne sappiamo, nessun giubileo è stato veramente realizzato. Non si hanno notizie, infatti, né si riesce a immaginare che mai, in Israele nei tempi biblici né altrove in seguito, la remissione dei debiti sia avvenuta. Con una richiesta forse un po' provocatoria, ma in realtà soprattutto profetica – profezia è richiamo a ciò che deve essere fatto oggi per ristabilire la giustizia e ricominciare daccapo –, Giovanni Paolo II, in occasione del giubileo del 2000, aveva domandato che fossero azzerati i debiti dei paesi poveri, o almeno che fossero notevolmente ridotti. Non è accaduto, ovviamente. Per noi, per tutti noi, è più facile chiedere a Dio di rimettere i peccati. Eppure, anche i cristiani, ripetutamente recitando il Padre Nostro, chiedono “rimetti i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Però preferiamo l'interpretazione metaforica: i debiti sono i peccati, non denaro né beni materiali. Che dire? Il giubileo indubbiamente esprime un'utopia, qualcosa a cui tendere benché non si riesca mai, e lo si sa, a realizzarla pienamente. Ed è giusto che sia così, dice Ravasi, perché “la legge di Dio continua a proporre qualcosa che è sopra l'ordinaria amministrazione, sopra la gestione politica, la logica, le mere leggi dell'economia e lo stesso buon senso”. Questo, prosegue, è il compito più grande delle religioni: “far tendere a una perfezione suprema e seminare nel cuore l'inquietudine per raggiungere i grandi orizzonti”.

 

Il giubileo, nelle parole del profeta Isaia, che Gesù riprenderà nel primo discorso pubblico in sinagoga riferendole a se stesso e alla sua presenza, è un anno di grazia, un anno di liberazione e perciò un anno di gioia. Perché? Perché Dio si rivolge al mondo con le sue “viscere di misericordia” cioè con il suo amore materno, che libera gli schiavi da ogni oppressione, che si prende cura dei miseri, cioè di tutti coloro che sanno di essere insignificanti e bisognosi. È un anno in cui si ripristina la giustizia, che nella Bibbia, come abbiamo già avuto occasione di dire, significa avere un rapporto giusto con le cose, con la realtà; e il rapporto giusto tra Dio e il mondo è, dal punto di vista divino, la misericordia, l'essere vicino agli esseri viventi con affetto viscerale, materno. Quando il cardinale Kasper ha presentato al Papa il suo primo saggio su questo tema, Francesco ha commentato che misericordia è il nome del nostro Dio; e grande e misericordioso lo proclamano anche i musulmani – non tutti, evidentemente, ben consapevoli di quello che dicono. La grandezza di Dio, la sua sovranità e la sua infinita libertà si manifestano proprio nella misericordia, come dice bene, pur se in grande sintesi, ancora il cardinale Walter Kasper nel suo La sfida della misericordia (Qqajon, 2015), l'ultimo libro che vorrei suggerire a chi sia interessato a sapere qualcosa di più del nesso tra misericordia e giubileo.

 

Per avere scelto di non porre al centro del giubileo la figura papale e la città di Roma, per avere sorvolato sulle pie pratiche, per non avere mai parlato di indulgenze lucrate e per avere richiamato tutta l'attenzione sull'amore viscerale di Dio per ogni creatura, quello proclamato da Papa Francesco è il giubileo più vicino allo spirito biblico e gesuano che sia mai stato indetto, anche se neppure questa volta a nessuno verranno condonati i suoi debiti.

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