Bianconi&Baustelle. La resurrezione della carne

13 Gennaio 2016

Si è detto spesso che nel secondo Novecento le canzoni hanno sostituito la poesia, l'alta letteratura, nel sentimento e nella memorabilità individuale e collettiva; così ogni decennio ha avuto i propri interpreti: gli urlatori, i cantautori impegnati e quelli, diversissimi tra loro, del riflusso anni ottanta. Sul discrimine di due secoli – il 1989 – per qualità in Italia cominciano a diventare centrali le band e retrospettivamente è chiaro che sono i CCCP, plasticamente divenuti CSI, a battezzare gli anni affluenti della nascente globalizzazione, con i primi massacri di nuovo conio a partire dall'ex Jugoslavia, con l'opposizione no global stroncata ufficialmente a Genova nel 2001 e la critica avant-pop in letteratura e in televisione (la Rai tre di Guglielmi). Il loro combattentismo apocalittico lascia il posto nel decennio successivo a un'apocalisse già scontata e resa per contrasto in forme morbide e pop da parte del nuovo gruppo di riferimento, i Baustelle. Un'appropriatezza di confezione che Francesco Bianconi, l'autore dei testi, smarrisce però nel suo primo romanzo Il regno animale (Mondadori 2011), in cui i temi dell'insoddisfazione giovanile, della droga e del sesso light, sono raccontati con una prosa senza fascino: “Che cosa stiamo costruendo? Nulla.

 

 

E al nulla non si ribella nessuno. Nessuno che scenda in piazza, nessuno che rompa una vetrina. Nella migliore delle ipotesi, la nostra generazione sorride, chiusa fra quattro mura, scrive sui blog, e fa la coda alla Fnac per toccare l'iPad. Abbiamo costruito una rassegnazione incosciente, grande come l'universo conosciuto, tenuta in vita da elettrostimolazioni commerciali. Cosa verrà dopo di noi? Nessun figlio. Assai probabilmente i licheni, e il deserto” (p. 249). Naturalmente tutto ciò nella metropoli, Milano, – nera, “il colore di questa sporca città” (p. 34) – che ritorna pure ne La resurrezione della carne (Mondadori 2015): “la tua putrefazione è inodore: ti respiro ogni giorno, ti tocco e, fingendo indifferenza, ti amo” (p 15). Qui la prosa più distesa, il gioco metaletterario (il protagonista è l'inventore di una serie televisiva sugli zombie), il finale aperto mitigano il nichilismo esibito e il moralismo pur presenti (“Quelli se lo meritano, di essere attaccati dai morti. Certa gente deve essere sbranata” p. 21). Siamo comunque lontani dal fascino della cantabilità del disastro che si trova nella prima antologia del gruppo, Roma live (2015), in cui il riarrangiamento dei brani storici con archi accentua la melodia della deriva.

 

I Baustelle sono stati cantori, anche con album monografici, dell'adolescenza e del tempo. L'adolescenza è il tempo delle possibilità, della trasformazione e dell'evoluzione, ma il nostro tempo pare aver messo in crisi proprio quelle caratteristiche che da sempre hanno attirato i narratori su tale periodo della vita. Il mondo degli adulti non è uno sbocco credibile, semmai il nemico pronto a crocifiggere e colpire con l'indifferenza, sfigurare con una mazza da golf. Dunque “il futuro è una nave tutta d'oro” (Alfredo), infinitamente inattingibile, il “domani è lontano” (La canzone del parco) e sostanzialmente rifiutato. Charlie, figura e canzone che identifica il gruppo anche nel primo romanzo di Bianconi, proclama: “Vorrei morire a quest'età”; “non voglio crescere / andate a farvi fottere”. Il congelamento dell'età più dinamica permette di intravedere solo lampi: “vagamente psichedelica / la sua t-shirt all'epoca” (La guerra è finita); “le ragazze della pista sono esempi di velocità / che annebbiano la vista” (La moda del lento). Il desiderio non può legarsi quindi alla formazione, ma a un'eternità puramente iconica: “avessi un giorno o due l'eternità della tua immagine” (EN); e ci si riferisce, con il caratteristico tocco retrò della band, a Jackie Kennedy, Marylin, Alain Delon o a un Gesù mandato in onda nel definitivo sacrificio giovanile davanti ai più cariati esponenti pubblici degli anni ottanta-novanta. Sotto l'apparente sfolgorio di freddi colori pop e canto a due voci si nasconde naturalmente tutto il brulicante malessere adolescenziale – furti, sesso indifferenziato e anonimo, tonnellate di video porno scaricati dalla rete, “pastiglie che contengono paroxetina” –, quanto di “emotivamente instabile / viziata e insensibile” (La guerra è finita) sta in una sedicenne secondo lo sbilanciamento sdrucciolo degli accenti. Senza che ciò conduca a un vero dichiarato dramma: “essere depressi oggi provoca troppi dibattiti / essere perduti oggi dura pochi attimi” (La moda del lento). Sotto la patina dell'immagine si nasconde anche l'ossessione per il tempo, che comunque continua a scorrere (“il tempo ci sfugge ma il segno del tempo rimane” Le rane), lasciando indietro solo il vuoto della prima età (“cosa rimane di noi ragazzini e ragazzine” L'aeroplano); a conferma la scelta delle cover che mettono in scena una Signora ricca di una certa età di Hannon e “il tempo” con cui “tutto se ne va” secondo Leo Ferré. Trascorso il tempo, svanita come per incanto l'adolescenza dei fans e fatto il punto con la raccolta, anche per i Baustelle si attendono gli eventi; un cambio d'epoca, però, non balza ancora agli orecchi.

 

 

Il libro: Francesco Bianconi, La resurrezione della carne, Mondadori 2015, pp. 168, € 17,00

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