Il dio che è negli alberi

25 Dicembre 2015

Abita la terra da duemila anni, forse da prima della nascita di Gesù Cristo, ma all’altro capo del mondo, presso civiltà antiche e sepolte quanto quelle mesopotamiche. È il cipresso di Montezuma che sovrasta la semplice chiesa di Santa Maria del Tule, in Messico. A pochi chilometri, le imponenti rovine zapoteche del sito archeologico di Monte Albán. Piramidi, palazzi, piazze, strappati alla natura, solitari e vuoti lassù, nel silenzio verde dell’altipiano, dominano la valle e la città: Oaxaca musicale e multicolore, sempre in festa, esorcizza così la morte incombente e l’inesorabile sentimento del tempo.

 

 

El árbol del Tule non ha bisogno di esorcismi. È lui l’esorcismo vivente: un Taxodium mucronatum, famiglia delle Taxodiaceae (la stessa delle sequoie), alto circa quaranta metri, più o meno quanto misura la circonferenza del tronco, possente e colonnare. La chioma espansa e frondosa ricade a terra in una cascata di aghi piatti e sottili, d’un verde tenero dentro cui si può scomparire. Originario dell’America settentrionale e centrale, il Taxodium è presente anche in Europa (per lo più nella varietà distichum), apprezzato per i suoi pregi ornamentali come le radici aeree – pneumatofori – che gli consentono di vegetare sugli orli di laghi o fiumi, e la scenografica, rugginosa livrea autunnale.

 

 

 

 

A metà anni Settanta anche Italo Calvino visitò quei luoghi esotici, le vestigia storiche e quelle naturali. Davanti a un fenomeno che scombinava non solo la sua idea di albero, ma metteva seriamente a rischio alcune sue certezze, affidò alla penna impressioni e riflessioni (La forma dell’albero, in Collezioni di sabbia). È un Calvino preoccupato, preso da una «sensazione minacciosa», quello che girando attorno al gigante millenario cerca di capire il «segreto di una forma vivente che resiste al tempo»:

 

la mia prima sensazione è quella di un’assenza di forma: è un mostro che cresce – si direbbe – senza alcun piano, il tronco è uno e molteplice, come fasciato da colonne d’altri tronchi minori che sporgono addossati al mastodontico fusto centrale o se ne distaccano quasi volessero farsi credere radici aeree calate giù dai rami come ancore per ritrovare la terra, mentre invece sono proliferazioni delle radici terrestri cresciute verso l’alto. […] Da gomiti e ginocchi di rami sopravvissuti al crollo in epoche remote, continuano a staccarsi rami secondari anchilosati in una scomoda gesticolazione. Nodi e ferite hanno continuato a dilatarsi proliferando gli uni in bitorzoli e concrezioni, imponendo la loro singolarità come il sole attorno al quale s’irradiano le generazioni delle cellule. E sopra tutto questo, inspessita, incallita, cresciuta su se stessa, la continuità della scorza che rivela tutta la sua stanchezza di pelle decrepita e insieme l’eternità di ciò che ha raggiunto una condizione così poco vivente da non poter più morire.

Vuol dire che il segreto del durare è la ridondanza? […] È attraverso un caotico spreco di materia e di forme che l’albero riesce a darsi una forma e a mantenerla? Vuol dire che la trasmissione d’un senso s’assicura nella smoderatezza del manifestarsi, nella profusione dell’esprimere se stessi, nel buttar fuori, vada come vada? Per temperamento ed educazione sono sempre stato convinto che solo conta e resiste ciò che è concentrato verso un fine. Ora l’albero del Tule mi smentisce, vuol convincermi del contrario.

 

Strana descrizione, strano sguardo, distorto (almeno così a me pare). Dubito che l’albero straordinario abbia convinto il razionalista Calvino a smussare il suo temperamento bien cultivé.

 

 

Io, là sotto quella chioma, camminando intorno a quel «mostro», mi sentivo invece sicura, protetta, accolta. Guardavo in su confortata, ammirata e continuavo a dirmi non altro che: è vivo, è qui, ancora vivo, da duemila anni; non decrepito né stanco. E lassù, sull’altipiano, quei resti di civiltà passate, morte. E pensavo (penso) che a Tule il 25 dicembre, per cercare, per trovare dio non è necessario entrare in quella chiesa bianca «con fregi geometrici rossi e blu, come in un disegno infantile». Dio, o come lo si voglia chiamare, è in quell’albero che la sovrasta, e in ogni albero – grande o piccolo – che ci sovrasta. Buon Natale.

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO