Colori e simboli

4 Maggio 2024

Nel Genesi Dio dice a Noè: «l’arcobaleno sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra». Nel mito Iride riveste la terra dei colori della sua cintura. Nella religione e nel mito i nostri colori, quelli che, a metà Ottocento, Pierre Paul Frédéric, barone di Portal collocava nella “lingua profana”, degenerazione materiale della lingua divina e di quella sacra, rappresentano una sorta di geroglifico che cela significati nascosti e misteriosi che alludono a un mondo altro e superiore. Lo psicoterapeuta Claudio Widmann nel suo libro Il simbolismo dei colori, edito quest’anno da Moretti &Vitali, parte da questo stesso presupposto che egli svolge del senso di Carl Gustav Jung individuando nei caratteri simbolici dei colori il rimando a un contenuto inconscio archetipico. Questa lettura ha come fondamento la convinzione che il colore possieda carattere fisiognomici intrinseci, universali e atemporali che si possono cogliere solo emotivamente, come – scrive Widmann – ci hanno insegnato Goethe, Portal, Steiner, Kandinsky e Max Lüscher, l’inventore del test dei colori.

La funzione simbolica viene analizzata in nove capitoli dedicati a nove colori: nero, rosso, blu, giallo, verde, viola, marrone, grigio e bianco. Ne prenderò in considerazione soltanto alcuni in relazione all’ambito della cultura storica che viene richiamato dall’autore, tenendo conto che le citazioni sono moltissime e si susseguono secondo nessi analogici ed emozionali.

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Il nero viene dapprima connesso da Widmannn alle tenebre, al vuoto, al nulla. Il principale riferimento va quindi all’alchimia e all’Opera al nero, la prima fase della trasformazione alchemica della materia, alla quale viene associato, dalla parte del soggetto, appunto l’umor nero. Il nero si presta così a diventare il colore del male, dell’Uomo nero, dell’assolutismo, dell’ombra, del lutto, della morte, in breve: del male. Widmann si rende conto però che il nero può diventare anche un colore elegante, per esempio nella moda e introduce questa doppia valenza del colore nero che riproporrà per ciascun colore analizzato.

Per il rosso, associato al fuoco, all’energia, all’azione, all’«aspetto maschile dello spirito» (sic), al sangue, all’eros e alla vita, l’autore riprende la classificazione tipologica di Ippocrate che definisce i quattro temperamenti corrispondenti ai quattro umori del corpo (sangue, flegma, bile gialla e bile nera, che a loro volta richiamano i quattro elementi degli antichi scienziati): il sanguigno, il flemmatico, il collerico e il melanconico. Pur dichiarando che queste associazioni presentano nella storia connessioni diverse e discordanti, Widmann cita a questo proposito la teoria dei tipi di Max Lüscher che descrive i quattro tipi psicologici: tipo blu, tipo verde, tipo rosso e tipo giallo. Naturalmente il tipo rosso è forte, aggressivo, intraprendente e così via, ma questo passaggio lascia il lettore davvero perplesso e ricorda simili classificazioni di Linneo e di Oken (che ho descritto in Il colore della pelle delle razze umane / Perché non esistono uomini verdi o blu?).

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Serpens mercurialis (Stolcius de Stolcenberg, Viridarium chymicum,1624).

Tra gli altri colori analizzati dall’autore una funzione particolare viene assunta dal marrone, un colore che generalmente non compare tra i colori, per così dire, primari. Marrone e non bruno, scrive Widmann, perché «bruno, equivalente del tedesco braun e dell’inglese brown, è termine non molto usato nel lessico cromatico» (p. 221). In effetti nel linguaggio quotidiano parliamo più spesso di marrone e non di bruno, ma si tratta di un uso della parola che ha assunto nella storia della lingua una connotazione negativa (Il colore più brutto del mondo / Marrone) e Widmann ne illustra appunto le associazioni peggiorative con le forme egoistiche della passione erotica, con il tradimento, l’estinzione della vita, la sporcizia e il deterioramento. Preferisce però esaltarne il riferimento a un tipo di castagna e si spinge più in là parlando di una catena di connessioni seguendo la quale marrone e terra apparterebbero all’archetipo della Madre. Con un ulteriore collegamento uomo diventa parola simile a humus, e il marrone diventa corporeità.

Il procedimento analogico con il quale Widmann esamina questi e gli altri colori si oppone così in modo netto all’impostazione, forse troppo radicale, della ricerca storica di Pastoureau che assegna i significati dei colori all’esclusivo ambito della cultura. Egli ribadisce a ogni passo il carattere universale dei colori collocandoli in un ambito prelinguistico, inconscio, fisiognomico; nello stesso tempo però riprende i materiali della sua analisi dalle religioni e dai miti antichi, dalla tradizione ermetica e alchemica, dai tarocchi e dalla psicanalisi, tutti ambiti questi che fanno certamente parte della storia della cultura e che richiederebbero una maggiore distanza critica.

In copertina, Cauda pavonis (Salomon Trismosin, Splendor solis, 1518).

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