Happiness Now?

28 Maggio 2013

Senza cappotto, colpita dalla luce incerta che filtra tra i rami appena appesantiti dalle foglie nuove. Forse è più semplice parlare di felicità in primavera, in fondo il dato climatico è uno dei fattori che più facilmente si associa a una sensazione generale di benessere, o malessere. Oggi le persone si affollano lungo il canale, formano file ordinate per accaparrarsi il primo gelato di stagione, corrono in bicicletta, sorridono. Mi chiedo se gioire per un po’ di sole sia poi così naturale, veramente istintivo, oppure si tratti di una di quelle consuetudini sociali che plasmano la nostra vita in tutte le sue dimensioni. La felicità si manifesta molto spesso come costrizione/costruzione comunitaria, a tal punto che viene da chiedersi se questa corsa alla sua ricerca si darebbe lo stesso qualora si vivesse in piena solitudine.

 

Certo la felicità non è il gioire momentaneo, non un sorriso suscitato da un po’ di sole. C’è sempre pudore nell’usare questo termine, spesso si è contenti, molto raramente ci si professa felici (almeno in età adulta). E poi, cos’è la felicità? Qualcosa di talmente intimo e particolare da apparire incomunicabile, o, al contrario, tanto vasto, onnicomprensivo, sociale, da sfuggire alla personale comprensione del singolo individuo?

 

Happiness Now?, mostra allestita negli spazi della galleria londinese Guest Projects, prende in analisi questa tematica complicata, trattandola con gli strumenti propri delle pratiche artistiche contemporanee. La collettiva, ideata dal gruppo curatoriale londinese CUNTemporary, parte da alcune premesse intellettuali precise, per dare forma a un complesso espositivo dai risultati eterogenei, quanto vari e dissimili sono i profili della felicità proposti dagli artisti partecipanti.

 

 

Le curatrici di CUNTemporary, Giulia Casalini e Diana Georgiou, riservano un particolare interesse alle teorie (post)femministe, gli studi di genere, il queer, come il provocatorio nome lascia intuire, e la scelta d’affrontare il tema della felicità partendo da questa specifica prospettiva culturale non è di certo casuale. La felicità è un processo, una lotta, diritto e dovere al tempo stesso, e l’ambito in cui CUNTemporary si colloca agisce come una cassa di risonanza per il carattere intimamente paradossale della felicità, il più complicato e controverso degli stati d’animo. Chi si muove ai bordi della norma, al di là delle convenzioni identitarie, e delle categorie in generale, riesce forse a cogliere queste contraddizioni in modo ancor più drammatico.

 

Il testo critico che accompagna l’esibizione e ne chiarifica gli intenti, sottolinea il fatto che l’essere felici, ai giorni d’oggi, sia spesso considerato un comportamento sociale necessario, doveroso, piuttosto che una condizione auspicata solo da chi la ricerca. Questo tipo di felicità, riproducendo i meccanismi di potere che strutturano la società contemporanea, smette di essere una questione privata, per divenire fatto politico. In questa luce la pratica che conduce alla conquista di una felicità differente, ossia autonoma, personale e inedita, non preconfezionata né acquistabile, diventa la condizione d’accesso a una concreta libertà.

 

I sei artisti presenti in mostra, Laura Cooper, Oliver Cronk, Petra Kubisova, Anna Lopez, Amanda Millis e Linda Stupart, elaborano sei diverse interpretazioni dell’essere felici, del non esserlo o del cercare di diventarlo. Operazioni dissimili, ma tutte ugualmente context specific, ossia pensate e agite appositamente per il contesto teorico messo in scena dalle curatrici, nel tentativo di rispondere al quesito circa cosa sia la felicità emancipata dalle aspettative altrui, liberata dai meccanismi di mercato che ordinano i comportamenti umani in una società occidentale capitalista.

 

L’americana Amanda Millis s’ispira alle sedute di autocoscienza femministe degli anni settanta, raccoglie quattro storie di donne, le fa proprie, le confonde, le manipola e le trascrive in un oggetto fisico, un vaso, una sorta di falso reperto archeologico. L’oggetto, creato artigianalmente, diventa un contenitore di storie su cui la Storia ha preso il sopravvento; la vicenda biografica dell’artista, la sua visione unica, sovrasta e amalgama quelle degli altri narratori. Una violenza concettuale è alla base di un racconto tenero, commovente, intimo ma inevitabilmente ambiguo. La ricerca della felicità in Millis passa attraverso un processo di narrazione e manipolazione, tanto verbale (nel testo del racconto), quanto fisico (nella materia del vaso), un perfezionamento della realtà che comporta un felice dominio su di essa.

 

Amanda Millis. Photo: Charlie Fjätstöm

 

Linda Stupart prende in analisi il mondo dell’arte, elaborando una personale critica istituzionale. L’intervento di Stupart per Happiness Now? trae ispirazione da un divieto posto dalla galleria ai curatori dell’esposizione, ossia quello di fare nuovi buchi nelle pareti. L’artista decide di innescare un cortocircuito di senso, tappando ognuno dei più di cinquecento fori che già segnano le mura dello spazio espositivo. Qui la felicità, o il tentativo di raggiungerla, giace nell’atto di emancipazione dalla regola imposta, o meglio nel suo annichilimento tramite un’azione che la contraddice ma non la infrange.

 

Linda Stupart. Photo: Charlie Fjätstöm

 

Oliver Cronk utilizza come materiale per la sua azione dei diari personali, rilegati a mano, nei quali l’artista ha riportato le descrizioni dei suoi stati umorali, giorno dopo giorno negli ultimi tre anni. Le informazioni racolte nei diari sono state successivamente sintetizzate in un lungo grafico a curva, i cui parametri principali sono la soddisfazione, la felicità potenziale e la produttività giornaliera. Il grafico viene affidato a tre musicisti, Nik Rawlings, Carrie Topley e Nena Zinovieff, i quali partendo dai dati in esso indicati compongono tre diverse musiche, eseguite durante la serata inaugurale dell’esibizione. I tre componimenti spaziano dalla più euforica allegria alla profonda gravità, dando forma a un’interessante operazione di trasferimento della condizione emotiva, d’interpretazione estetica della felicità, o infelicità, altrui.

 

Oliver Cronk. Photo: Charlie Fjätstöm

 

Un’operazione sociale quella messa in atto da Anna Lopez, che esce nelle strade di Londra per chiedere ai passanti cosa sia la felicità. Armata di una lavagna, Lopez domanda a ognuno di scrivere la sua personale risposta, e allora la felicità può essere ogni cosa: il denaro, la mamma, l’amore, l’essere soddisfatti con ciò che si ha, o anche il pollo fritto di KFC. I risultati cambiano a seconda del luogo in cui la lavagna viene posizionata, lì dove il benessere borghese è più forte la felicità si fa più impalpabile e concettuale, mentre avvicinandosi alle zone popolari anche il cibo spazzatura può venire indicato quale equivalente del più alto livello di benessere emotivo.

 

Anna Lopez. Photo: Charlie Fjätstöm

 

Seguendo un percorso differente, Petra Kubisova esplora la felicità da un punto di vista pienamente privato, familiare. Quello proposto è un lavoro fotografico, quattro veli semitrasparenti mostrano le immagini di una madre e una figlia. La figura della madre al contempo emerge e sembra allontanarsi, indicando simultaneamente una perdita luttuosa e la volontà di far riemergere la memoria, in particolare il ricordo della voce materna sempre più debole nella mente. In questo caso l’artista cerca d’accaparrarsi il suo pezzo di felicità tramite un recupero doloroso, una cerimonia di cordoglio perfettamente intima, e tanto ben espressa dalla forma della composizione.

 

Petra Kubisova. Photo: Charlie Fjätstöm

 

Ritorna alla felicità come fatto sociale Laura Cooper, recuperando una tradizione antica, riadattandola e rimettendola in scena nella cornice urbana di Elephant and Castle, nella Londra di oggi. Si tratta del male pole dancing, il ballo intorno al palo, un vetusto rituale di fertilità in un’Inghilterra antica; nell’Inghilterra odierna i performer sono legati alla pertica da cravatte, e la tengono in equilibrio grazie al giusto bilanciamento del loro peso. La felicità è qui rituale collettivo, un sistema d’interdipendenze in cui l’individuo è ridotto a componente minima di un ingranaggio complesso. Ancora una volta la felicità è descritta quale costruzione comunitaria, un cammino faticoso, da percorrere insieme.
Le opere che compongono questa Happiness Now? sono i risultati di ricerche particolari sul tema della felicità, alla conquista di una visione specifica e speciale che sfugga le convenzioni e si avvicini maggiormente alla verità. Quel che rimane più che il risultato è il percorso, quel che la mostra comunica è che la vera felicità, nelle sue innumerevoli forme, ha una sola costante, l’incertezza, l’essere e rimanere un processo in costante divenire, una performance votata all’infinitudine. E soprattutto la giusta felicità è risultato di una scelta, che prevede al suo interno la possibilità della decisione contraria, quella di non essere felici. Da qui il significato di quel punto di domanda, inserito nel titolo della mostra, a esprime visivamente una volontaria ambiguità di fondo, tipica della felicità, che, per sua vera natura, tipica non può essere.

 

Laura Cooper Upstanding 2012

 

Comincia a fare freddo, mi muovo verso casa. Guardo le persone intorno e penso che, in fondo, quella strana cosa chiamata felicità sia solo una domanda silenziosa che ognuno di noi pone a sé stesso, un quesito che induce all’azione, alla ricerca, al movimento. E allora felicità potrebbe anche essere un po’ di luce tiepida in una tardiva primavera nord-europea, e il camminare lungo il canale per andarle incontro.

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