Il doppio corpo della regina

4 Giugno 2012

In occasione del giubileo di diamante di Elisabetta II, la National Portrait Gallery di Londra esporrà fino a ottobre sessanta immagini della sovrana in una mostra intitolata The Queen. Art and Image. L’immagine simbolo dell’evento è la foto di Chris Levine Lightness of Being: un primo piano fotografico della sovrana con gli occhi chiusi.

Le immagini che ci ritraggono con gli occhi chiusi sono quelle da cancellare e dimenticare. In esse non abbiamo saputo mantenere il controllo su noi stessi, contravvenendo a quella convenzione sociale – la posa – che nella tradizione della ritrattistica ci vuole con gli occhi ben aperti, sguardo diretto all’osservatore e preferibilmente sorridenti. Il soggetto fotografato con gli occhi chiusi è socialmente incompetente e assente da se stesso: guardato senza la possibilità di guardare, oggetto dello sguardo altrui senza la possibilità di ricambiare.

Così, nell’epoca del digitale, le “foto con gli occhi chiusi” vengono scartate, cancellate e immediatamente “rifatte”: per ogni foto con gli occhi chiusi ce n’è almeno un’altra – quella che sopravvive – in cui abbiamo gli occhi bene aperti.

Non è il caso di questa foto di Elisabetta II, scelta per diventare il simbolo di una delle mostre celebrative più importanti del giubileo.

 

Per capire il motivo di questa scelta dobbiamo tornare a una vecchia storia inventata dai giuristi all’epoca dei Tudor che, per giustificare il potere dei sovrani inglesi lungo i secoli, sostennero che il re d’Inghilterra possedeva due corpi: uno naturale e uno politico. Il corpo naturale è quello soggetto alla normale fisiologia del corpo umano: alle passioni, alle infermità, all’invecchiamento e alla morte. Quello politico è invece un corpo invisibile, infallibile e intangibile che non muore mai e che assoggetta a sé l’intera nazione. Nel corso dei secoli il corpo politico del Re ha assunto le fattezze fisiche di diversi sovrani. E i giuristi dell’epoca Tudor oggi direbbero che da sessant’anni il corpo naturale e il corpo politico del sovrano è unito nella persona di Elisabetta II, succeduta al padre Giorgio VI il 6 febbraio 1952 e incoronata il 2 giugno del 1953.

 

Le immagini della mostra sembrano oscillare così proprio tra questi due soggetti: tra l’imperturbabilità del sovrano – nella rappresentazione di un corpo chiuso e provvisto di tutti i simboli del potere in accordo a una iconografia classica e ormai secolare – e le “passioni naturali” di una donna comune che, grazie anche agli accidenti della Storia (a cominciare dall’abdicazione dello zio Edoardo VIII), si è ritrovata su un trono.

 

Le immagini, raggruppate per decadi, raccontano la storia della società britannica e del suo sistema politico attraverso le trasformazioni nella rappresentazione della sua sovrana.

L’imperturbabilità monumentale del corpo politico della regina emerge nella rappresentazione pittorica classica fatta proprio nei primi anni di regno da Pietro Annigoni.

 

Pietro Annigoni, Queen Elizabeth II

 

E i segni del potere sovrano vengono rappresentati in tutta la loro magnificenza nelle immagini di Cecil Beaton, che vincerà anni dopo tre premi Oscar per la scenografia e i costumi di My Fair Lady e Gigi: il vecchio mito della monarchia comincia dunque a chiedere aiuto ai nuovi linguaggi visivi per rinnovarsi e perpetuarsi attraverso la nuova sovrana.

 

Cecil Beaton, Queen Elizabeth II, 2 June 1953

 

Tuttavia alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta l’iconografia del corpo politico del sovrano fa fatica a tenere il passo di fronte ai sommovimenti sociali che attraversano l’Europa e alle nuove richieste dei media di massa. Il documentario Royal Family del 1969 fa vedere la famiglia reale nella sua “normalità” e nel corso degli anni Settanta le immagini informali della regina si moltiplicano. Ed è contro l’icona del corpo politico del sovrano che si scagliano i Sex Pistols nel 1977, nel venticinquesimo anniversario dell’incoronazione, con la canzone God Save the Queen e la copertina irriverente del singolo ideata da Jamie Reid a partire da una fotografia di Beaton.

 

Jamie Reid, God Save the Queen

 

Gli anni Ottanta segnano l’apice di notorietà e popolarità per la monarchia inglese con l’ingresso di Diana Spencer nella famiglia reale: il matrimonio del principe Carlo viene visto da centinaia di milioni di spettatori in tutto il mondo. Seguiranno anni bui in cui gli occhi intrusivi di telecamere e teleobiettivi riusciranno a ritrarre la regina in momenti di preoccupazione o di disperazione. Come nel caso della fotografia della sovrana di fronte al castello di Windsor devastato da un incendio nel 1992: il corpo politico della sovrana sembra scomparso, schiacciato dalle “passioni naturali” di tudoriana memoria. Nel settembre del 1997, dopo la morte di Diana, la monarchia sembra essere destinata a scomparire.

 

Chris Levine, Lightness of Being

 

L’immagine di Chris Levine, Lightness of Being, riesce a riassumere perfettamente questo percorso iconografico e i suoi due estremi insinuandosi proprio nell’interstizio (o nell’inter-ruzione) tra il corpo naturale e il corpo politico del sovrano. In essa vediamo il corpo di una ultraottantenne, disciplinato a trasformarsi da sessant’anni nel corpo di una regina, in un momento di assenza dal suo ruolo sociale.

Ed è forse a questo che allude il titolo, giocando anche sulle parole lightness e highness (altezza): la leggerezza o luminosità dell’essere (being) contro il dovere gravoso dell’apparire che il corpo politico continuamente impone. In quell’istante, con gli occhi chiusi, la gravosità di essere all’altezza – e Altezza – viene sostituita dalla leggerezza di essere, per un attimo, “se stesse”.

 

Una doppia dimensione – quella del corpo naturale e del corpo politico e del lavoro fisico e semiotico richiesto per passare dall’uno all’altro – che sembra curiosamente documentata in una foto di David Dawson di qualche anno fa: Lucian Freud di spalle mentre ritrae, in un contesto poco regale, una signora con una corona in capo che, entrando nell’atelier del famoso pittore, si è preoccupata di tenere vicino a sé  la borsetta.

 

  

David Dawson, Lucian Freud and Her Majesty Queen Elizabeth II  

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