Il senso del ridicolo / Levi umorista. Un dialogo

26 Settembre 2019

A – Lo sai che Primo Levi è un umorista?

 

B – Strano con quello che racconta dei Lager… a me sembra più un autore tragico invece che comico.

 

A – Quando è morto, nell’aprile del 1987, il giorno dopo la sua scomparsa, Massimo Mila, un musicologo suo amico, ha scritto un ritratto di Levi su “La Stampa” e ha scritto: “Parrà una enormità, ma se mi chiedessero di definire con una parola lo scrittore, direi che era un umorista”.

 

B – Davvero curioso, non l’avrei mai detto.

 

A – Forse non hai mai letto i suoi racconti. Lo sai che ci sono alcuni decisamente comici come Il Versificatore, dove c’è un poeta che compone versi a richiesta, cioè a pagamento, e usa una macchina, ma poi quella si inceppa… E non c’è solo questo esempio. Storie naturali, il suo terzo libro, contiene diverse storie umoristiche, quelle legate a una società americana che fa strani esperimenti, la Nacta. Quel libro ha dovuto pubblicarlo con uno pseudonimo dopo Se questo è un uomo e La tregua, e con il nome di Damiano Malabaila, che poi contiene anche uno scherzo: mala-baila, cioè cattiva balia. Lui ha detto che era il nome di un meccanico o elettrauto che leggeva sulla strada per il lavoro tutti i giorni. Ma chissà… Dopo due libri così in Einaudi gli avevano consigliato di non firmare col suo nome un libro di racconti di fantascienza. E c’erano pure dentro almeno tre racconti comici e umoristici.

 

B – Ecco! Io pensavo proprio a quei due libri per dire che è uno scrittore tragico.

 

A – Però già nel secondo, La tregua, dentro la cornice tragica, la liberazione da Auschwitz e poi il sogno finale che riporta là, in Lager, c’erano pagine umoristiche. Pensa alle truffe combinate da Cesare, a tutti quei personaggi picareschi del viaggio di ritorno. L’umorismo c’è anche lì.

 

B – Sarà, ma a me continua ad apparire un tragico.

 

A – Su questo non sono d’accordo. Per me Se questo è un uomo è più vicino alla commedia che alla tragedia, non a caso il suo maestro, sua fonte di ispirazione, abbondantemente citato, è Dante, e quella del fiorentino era una Comedia, non una tragedia, che nella cultura cristiana cui lui appartiene, non si dà. Vero che è una discesa all’inferno, ma ci sono spunti umoristici qui e là nel suo libro. Lo sai che quando lo ha ripubblicato nel 1958 ha aggiunto un personaggio appena abbozzato nella edizione del 1947? Si tratta di Alberto, che reca alcuni aspetti comici. E poi c’è persino un punto in cui si dice che i prigionieri sul camion che li porta al Lager dopo l’arrivo ad Auschwitz ridono.

 

B – Sarà, ma a me continua a sembrare tragico. Ma dimmi che tipo di umorismo è il suo?

 

A – Direi inglese. Si tratta di un umorismo britannico, humor, che sconfina a tratti nel sarcasmo, ma è in ogni caso umorismo. Saper ridere anche delle proprie disgrazie e di quelle altrui in modo simpatetico. Certo questo non salta subito agli occhi, ma c’è, dentro, nascosto, come una vena segreta e importante.

 

B – In altre parole non è un autore decisamente comico?

  

A – La comicità non è esplicita, è nascosta dentro questo involucro di umorismo. Ti potrà sorprendere, ma per me deriva dalla sua “pensosità”. Levi è un uomo e uno scrittore pensoso, ovvero che soppesa le cose. E direi persino che è un uomo della leggerezza, della leggerezza pesante, se si può dire rubando una definizione che Calvino dava di se stesso. C’è una pesantezza leggera e una leggerezza pesante. Lui appartiene alla seconda, ed è venata di malinconia, sottile malinconia. Aggiungo che il suo umorismo si alimenta della sua acutezza, della sua perspicacia e persino della sua curiosità. Non ti pare che i curiosi siano propensi all’umorismo?

 

B – In effetti non avevo pensato a questa idea della pensosità. Ne parla Hans Blumenberg, un filosofo tedesco, vero?

 

A – Sì, è una qualità che lui lega a una parola tedesca, Sorge. Fa parte dell’interrogarsi…

 

B – Beh, coi tedeschi Levi non è proprio umoristico.

 

A – In effetti sì. In questo hai ragione. Non li ha assolti per il sostegno che hanno dato a Hitler, li chiama alla loro responsabilità, soprattutto i suoi coetanei, e poi quelli più vecchi di lui, quelli come il dottor Pannwitz. Sono i collaboratori del progetto di sterminio anche se non si sporcavano le mani. Sono quelli della zona grigia intorno al Lager, gli ignavi, se vogliamo dirlo con Dante. Con loro è severissimo.

 

B – Una severità che impressiona. Ma per fortuna non è solo così; appare comprensivo, teso a capire e spiegare. Ma non con loro.

 

A – Vero. Ma ci sono più facce nel poliedro Levi. Per esempio Argon, il racconto che apre Il sistema periodico, se non fa ridere sguaiatamente, tuttavia ti strappa più di un sorriso. Si tratta della genealogia, in parte fantasiosa, dei suoi antenati. Ne mette in luce difetti, manie, caratteri. Ci sono figure comiche in quella descrizione del suo albero genealogico. Qualcuno che conosceva bene Levi ha detto: ma i tuoi avi in quel racconto somigliano ai miei. E lui ha detto: è vero, ho preso in prestito varie storie anche da te e da altri. Levi non è solo un testimone, ma uno scrittore, e uno scrittore inventa, crea personaggi, massaggia le storie vere da cui parte.

 

 

B – Vuoi dire che il testimone non conosce l’umorismo?

 

A – No, non proprio, ma di sicuro in tanti racconti o storie, Levi manifesta una indulgente simpatia verso molti suoi personaggi. Direi che possiede una buona dosa di empatia. Per esempio Cesare, il suo compagno della Tregua, lo ammira anche per il suo modo furfantesco di procedere, lo diverte e si identifica persino con lui a tratti.

 

B – Sarà, ma poi Cesare, la persona da cui Levi s’è ispirato, si è risentito per certe descrizioni e narrazioni di quel libro in cui figura. Cosa vuol dire?

 

A – Uno scrittore racconta storie, e quindi trasforma il suo materiale narrativo, le storie vere da cui parte, per avvincere il lettore. Cesare era così, ma non solo così, ma certo non puoi negare che ne esce da quelle pagine un personaggio simpatico. Cesare muove alla risata o almeno al sorriso.

 

B – Concordo con te, del resto a me pare che a Levi piacciano questi personaggi un po’ irregolari, strani, al limite del furfantesco, come il Greco, quello che occupa uno dei capitoli più memorabili del suo secondo libro.

 

A – Questo è un altro aspetto del suo umorismo, che non è mai demolitore, ma empatico. Da buon borghese torinese è attratto dal suo opposto, dai personaggi border, come si dice oggi. Si riconosce in loro, o almeno gli piacciono. Sono eroi comici.

 

B – Pensi che sia una questione di carattere?

 

A – Di sicuro nasce da lì, dalla sua indole. Mila in quell’articolo lo descrive come cortese, affabile, dotato di occhietti vivaci, e anche discreto. L’accenno agli occhi vivaci, mi ha sempre colpito, perché credo che Levi possegga una grande capacità d’osservazione. Vede cose che gli altri neppure guardano, e questa è la prima fonte del suo umorismo. Per esempio, quando descrive i marciapiedi di Torino. Dove parla di cosa c’è su quei marciapiedi, di come conservino la memoria della città e dei suoi abitanti, e poi finisce a parlare delle gomme da masticare spiaccicate su quei marciapiedi e dice che gli archeologi del futuro sapranno riconoscere i locali più frequentati della città, i bar ad esempio, attraverso il numero di gomme rimaste lì davanti. Non è esplicitamente comico, ma umoristico sì, come quando spiega le qualità chimiche della gomma da masticare. Fa dell’ironia. Lo sai che quasi nessuno conosce questo articolo e che ben pochi leggono L’altrui mestiere?

 

B – In effetti, pur credendo di conoscere Levi, non ho mai letto quel libro.

 

A – Prendi il capitolo del libro che si intitola L’aria congestionata. Era un articolo apparso su “La Stampa” per la delizia dei lettori del quotidiano tornese. Vi esamina gli errori linguistici dei parlanti italiani. Per esempio: “acqua portabile” invece di “acqua potabile”, “formicare” invece di “fornicare”. Alcuni li esamina ampiamente come nel caso di “raggi ultraviolenti” invece che “ultravioletti” o “flautolenze”. Dimostra di cogliere aspetti sottili dei lapsus o errori, li interpreta ed è a sua volta comico come gli strafalcioni che espone. Questo lato di sottigliezza linguistica c’è dappertutto nella sua opera a partire da Se questo è un uomo.

 

B – Mi dici di aspetti che non conoscevo.

 

A – Non c’è solo questo. Prendi ad esempio gli animali. Levi parla molto degli animali, li descrive, li fa parlare in alcune interviste impossibili, ad esempio alla ragna, ma anche quella con la talpa. Poi paragona gli uomini di cui parla agli animali, usa gli animali per definirli: quello è un ragno per via delle tele che costruisce, eccetera. Lo sai che parla anche degli aspetti sessuali degli insetti. Lui così pudico, lì in quelle pagine si lascia andare a considerazioni interessanti attirato dai paradossi che il mondo animale possiede in confronto a quello umano.

 

B – C’è qualche autore a cui si ispira? Dante non mi sembra proprio un umorista.

 

A – Beh, anche Dante ha aspetti umoristici, ma di sicuro il maestro di umorismo di Levi, se così possiamo dire, è Alessandro Manzoni. Se hai letto I promessi sposi, troverai molti passi in cui la voce del narratore suggerisce aspetti umoristici, e non solo. L’umorismo di Manzoni, come quello di Levi, è ispirato a una pietas verso i suoi personaggi. Pur non essendo né cristiano né credente – Levi è piuttosto un agnostico – mostra una pietà verso gli uomini che descrive. Non tutti ovviamente. Ma verso parecchi sì. Si identifica con le loro debolezze, col loro dolore, ma senza rinunciare a formulare giudizi. L’umorismo si alimenta di questa vena di pietà. Sa sorprendersi di ogni cosa. Possiede il senso della meraviglia. Ovviamente non tutti gli umoristi sono così, ma credo che l’elemento della meraviglia sia fondamentale per essere degli scrittori umoristi. Non sarcastici, perché il sarcasmo, come l’ironia, è corrosivo, parte da quella pietas, ma poi se ne stacca, diventa pungente. In Levi non c’è traccia di aggressività come in certi scrittori dell’Ottocento, Dickens ad esempio.

 

B – Vuoi dire che giudica?

 

A – Sì. Per lui la parola chiave è “responsabilità”. Non transige sui questo. Appare anche molto duro come nel capitolo Lettere di tedeschi, un capitolo dei Sommersi e salvati. La sua durezza è l’altra faccia della medaglia dell’umorismo. Possiamo dire che Levi sembra partecipare all’infelicità altrui, è empatico, come ti ho detto. A me pare che il suo umorismo poi valga per lui. Come un antidoto alle vicende della vita, al destino, alla roulette del caso. Quando Mila dopo il suicidio scrisse che era un umorista, fece un azzardo, tanto è vero che nessuno riprese per anni quella definizione dello scrittore. La sua morte sembrò a tutti tragica. E lo era. Ma c’è sempre stato in Levi una parte in ombra, e l’ombra non contiene solo gli aspetti neri, negativi o tragici. L’ombra può contenere la capacità di ridere o di sorridere. Hai visto le foto in cui Levi sorride? Ha un sorriso particolare, come ha detto qualcuno, attribuendolo a un ramo della sua famiglia, i Della Torre.

 

B – Mi incuriosisce questo aspetto del Levi umorista che ha che fare con le parole. Me lo spieghi?

 

A – Guarda, Levi possiede l’orecchio d’un linguista, oppure di un enigmista, che è una sottospecie particolare del linguista, con qualcosa in più, perché gioca. Vede le parole, le sente, se ne nutre. Lo sai che ha inventato un palindromo in inglese, una di quelle parole o frasi che si leggono sia da destra che da sinistra? C’è in un suo racconto, Calore vorticoso. Prova a cercarlo. Ma non è solo questo. La sua mente linguistica era particolare e io sono convinto che abbia a che fare con l’umorismo. Il primo umorismo è quello del gioco di parole, di chi ascolta le parole sotto le parole. Serve una dote particolare. Non è forse uno degli aspetti più evidenti della comicità questo? Il comico che gioca con le parole e i doppi sensi non fa forse ridere? Levi aveva qualità del genere e si vede nei suoi libri, ad esempio nelle poesie. Usa lo scioglilingua, le rime, le allitterazioni. Un virtuoso in questo, lo cogli nelle sue poesie, anche le più tragiche. Ma non ci sono solo quelle, ci sono quelle leggere, giocose Quindi c’è qualcosa che lega l’umorismo al gioco, e questo alla creatività.

 

B – Cosa intendi? Che giocava con le parole? Come? E la creatività cosa c’entra?

 

A – C’entra, c’entra. Se posso fare un paragone azzardato, Levi ha fatto con il Lager quello che Bruno Munari ha fatto con il design. Spero non ti sembri troppo irriguardoso… in lui c’è una vera e propria teoria e pratica della creazione. In forma umoristica, naturalmente.

 

B – Spieghi?

 

A – Eh no, questo se lo vuoi sapere, prendi il treno e vieni a Livorno, al Festival del Ridicolo, dove si parlerà di Levi umorista. C’è anche Stefano Bartezzaghi lì a quell’incontro, e potrai chiedere a lui lumi su questo. Il viaggio ne vale la candela, non si dice così?

 

Il senso del ridicolo, festival sull'umorismo, sulla comicità e sulla satirà, si svolgerà dal 27 al 29 settembre 2019 a Livorno. Qui il programma completo. Marco Belpoliti interverrà domenica 29 settembre alle ore 15.00, con lui l'attrice Federica Fracassi (evento 15).

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