Referendum / Si vota sempre "no"

6 Dicembre 2016

Il risultato del referendum del 4 dicembre è stato una straordinaria affermazione di Renzi.

Non sto scherzando. In effetti il SI ha preso quasi la stessa percentuale di voti che il PD prese alle elezioni europee del 2014, cosa che allora venne salutata come un risultato trionfale. E non è un caso che, a parte il Trentino, il SI in questo referendum abbia prevalso solo in Toscana e in Emilia Romagna, due roccaforti del PD. Ma il PD contro tutti perde.

In questo referendum ha giocato il fattore che chiamerei Roma-Torino. Come si ricorderà, le grilline Raggi e Appendino vinsero come sindache a Roma e a Torino perché queste signore, a parte i voti M5S, accaparrarono quelli di tutte le altre opposizioni al PD, ormai identificato con Renzi, sia di sinistra che di destra. È la forza della famosa “accozzaglia”. Da un paio d’anni, l’importante non è tanto votare per questo o quel partito, ma votare CONTRO Renzi. In realtà il padre della riforma costituzionale era Giorgio Napolitano, ma quel che oggi interessa è Renzi. Perché in così poco tempo Renzi è diventato il pericolo pubblico n. 1 da far fuori a ogni costo, anche coalizzandosi con partiti e personaggi ripugnanti? Lo vedremo poi.

Voglio dire che i contenuti specifici della riforma sono stati del tutto secondari. Il che può sembrare un altro paradosso, dato che in questi ultimi mesi ci hanno ammannito una sfilza senza fine di dibattiti tra sostenitori del SI e del NO su tutti i risvolti e i minuti dettagli della riforma. Tra le tante perle, ne cito una. Un sostenitore del NO in TV ha fatto presente che mentre bisogna avere 25 anni per essere eletti alla Camera, ne bastano 18 per entrare in Senato secondo la riforma. E come chiamare Senato una camera dove ci sono diciottenni? Insomma, ogni pelo nell’uovo-riforma andava bene per argomentare a favore del SI o del NO.

 

Mi si perdoni la deformazione professionale, ma credo che anche in politica occorra applicare il metodo usato in psicoanalisi, che distingue il contenuto manifesto da quello latente, in particolare nei sogni. Anche la politica è inzuppata della sostanza di cui sono fatti i sogni. Il contenuto manifesto è qui la lettera della riforma costituzionale, della quale in fin dei conti solo a ben pochi importava qualcosa. Nella riforma si trattava di questioni dopo tutto alquanto tecniche, da esperti costituzionalisti. Queste questioni non bastano certo a spiegare l’estrema popolarità del dibattito referendario, che ha assunto toni e febbri da tifo calcistico. Nella storia d’Italia dopo la seconda guerra, solo il referendum Repubblica-Monarchia del 1947 e il referendum sul divorzio nel 1974 hanno suscitato altrettanta passione. Però erano i contenuti di quei due referendum a spiegare la passione che suscitavano. La scelta tra Monarchia e Repubblica non era come determinare la tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito (referendum del 2011). Quanto al divorzio, esso era profondamente legato alle questioni intime di ciascuno di noi. Ma perché un intero popolo si è dilaniato, come guelfi o ghibellini, sull’abolizione o meno del CNEL, sull’abolizione o meno delle province, sul ridurre o meno il numero dei senatori?... 

 

 

Che la causa del coinvolgimento di massa non fosse il contenuto della riforma è mostrato dal fatto che, non appena la riforma fu approvata, secondo i sondaggi essa era appoggiata dal 60% della popolazione (proprio la percentuale che invece è stata raggiunta il 4 dicembre dal NO). Renzi era sicuro di stravincere convinto che la maggior parte degli italiani fossero favorevoli alla filosofia (e alla demagogia) della riforma. Ma poi, come scriveva T.S. Eliot, 

 

Between the idea
And the reality
Between the motion
And the act
Falls the Shadow

 

E l’ombra è l’odio che Renzi ha saputo accumulare contro di sé in un paio d’anni.

Fanno sorridere certe proteste, che rivelano un’immagine ingenuamente irenica della democrazia. Molti hanno detto che il dibattito è stato di basso livello, svaccato, pieno di bugie. Ma l’abbassamento del livello del dibattito sui media è proprio la conseguenza della popolarità di questo dibattito. Nessuna illusione: più si tratta di democrazie mature, più il livello del dibattito si abbassa. Molti politici mentono spudoratamente perché sanno che la gente vuole sentire proprio quelle menzogne; e non ha alcuna importanza che vengano smentite. Malgrado tutte le smentite fattuali, milioni di americani continuano a essere certi che Obama è islamico e che è nato fuori degli Stati Uniti. Se un dibattito politico è un elegante gioco di fioretto tra gentlemen, allora quel che dicono i gentlemen interessa ben poco la gente.

In America si è detto che la campagna Clinton-Trump sia stata tra le più violente e becere della storia americana (poi invece si sono scoperti precedenti ottocenteschi non meno trucidi), soprattutto per merito di Trump che ha usato toni e bugie senza precedenti. È così che Trump ha finito col trascinare Clinton al suo livello, ed è forse per averlo inseguito sul suo livello che ha perso onorevolmente.

 

Una variante di visione edulcorata, da Mulino Bianco, della democrazia è quella di chi ha accusato il referendum di dividere in modo drastico gli italiani. È ovvio, perché un referendum ti obbliga a scegliere tra un SI e un NO, non contempla anche L’UNO E L’ALTRO, NE’ L’UNO NE’ L’ALTRO, FORSE, ecc. Ma la democrazia non è mai coro unitario, è amore e odio, è guerra, anche se incruenta. La democrazia, per dirla come Gesù, mette il padre contro il figlio, il figlio contro il padre, il fratello contro il fratello…

Per molti intellettuali, politologi, filosofi, moralisti, scrittori la democrazia è un’agorà ideale in cui si svolgono dispute tra dotti di fronte al pubblico che ossequioso impara a pensare. Invece il dibattito politico raggiunge il cuore o la pancia o i genitali della massa quando conferma i pregiudizi di questa massa, quando si articola come “dibattito” tra tifoserie. La politica è, come diceva Testori, “merda, sangue, merda”. 

 

Si diceva dei contenuti manifesto e latente. Il contenuto latente – la passione che ha trascinato gli italiani – non era l’abolizione del bicameralismo perfetto, ma il fatto che fosse un referendum pro o contro Renzi. Ho parlato con molte persone, sia per il SI che per il NO: a parte rari casi, il SI esprimeva un’ammirazione o un consenso nei confronti di Renzi e della sua politica, il NO esprimeva rigetto o anche odio nei confronti di Renzi. Questa è la verità, il resto sono razionalizzazioni. (I soli che hanno considerato i contenuti della riforma in modo spassionato sono stati molti indecisi, al di là di quel che hanno deciso dopo di votare. Per loro la priorità non era votare pro o contro Renzi.)

 

 

Certamente, diventato il dibattito estremamente vivo, molti, che non sapevano nulla di questione istituzionali, si sono informati. Ma non per poter scegliere tra SI e NO. La scelta era già stata fatta, bisognava solo avere argomenti per controbattere gli avversari. Dopo che Grillo ha detto “Votate con la pancia”, Renzi, ribattendo “Votate con la testa”, aveva già implicitamente ammesso la sconfitta. Forse solo una piccola élite vota con la testa, quasi tutti votano sempre e solo con la pancia.

Questa pancia è l’odio (per un minor numero l’amore) per Renzi. Questo odio è scontato a destra, perché, per quanto Renzi abbia sempre cercato di conquistare una parte dell’elettorato di destra, in realtà non l’ha mai conquistato. Perché la politica è come lo sport: se la Juve cambia tutti i suoi giocatori e adotta il modulo di gioco del Milan, mettiamo, non per questo i tifosi milanisti passeranno alla Juve né quelli della Juve passeranno ad altra squadra.

 

Chi odia Renzi lo paragona spesso a Berlusconi. Tra i due, secondo me, c’è una differenza abissale; anche se qualche misura di Renzi è stata copiata da Berlusconi (come l’abolizione dell’ICI sulla prima casa). Quel che rendeva pericoloso e odioso Berlusconi a molti (me incluso) non era il suo schierarsi a destra, quanto il fatto di essere uno degli uomini più ricchi d’Italia che possedeva metà del sistema televisivo italiano. Renzi non è ricco e non possiede i media (se escludiamo il rianimato L’Unità diretto da un vignettista). Ma perché si associa così spesso Renzi a Berlusconi? Perché entrambi hanno questa capacità particolare di suscitare passioni totali, amore e odio. Non si odia Renzi perché è come Berlusconi, si associa Renzi a Berlusconi perché li si odia in egual misura.

 

Credo che questo odio, sia a sinistra che a destra, nasca da due “errori” di Renzi, che lui credeva fossero invece il suo asso nella manica. Il primo è riassunto dal vecchio detto “In politica non bisogna stravincere”. Per almeno un anno Renzi ha stravinto, cosa che gli ha attirato una presunzione di invincibilità, e l’invincibile è sempre temuto, di Achille si cerca sempre il tallone. Il secondo errore – che per me invece è un merito – è l’aver voluto scavalcare il linguaggio della sinistra e della destra, mescolare le carte, darsi un’identità politica fuori degli schemi. Era troppo presto. L’Italia non è matura per questa mutazione.

 

Renzi ha preso oltre il 40% dei voti alle europee, è riuscito a battere la minoranza dem ogni volta che questa gli aveva messo bastoni tra le ruote, ha usato spregiudicatamente Berlusconi riuscendo poi a far eleggere presidente della Repubblica il suo candidato, ha trovato il compromesso giusto per far passare la legge Cirinnà, ecc. ecc. Il suo spavaldo successo ha messo gli avversari – destre, grillini – in uno stato di fibrillazione ostile; ma gli ha anche attirato un odio direi implacabile da parte della sinistra e di molti dem. Renzi puntava tutto sulla velocità: “farò in pochissimi anni riforme di cui si parla da decenni”. La riforma costituzionale rientrava in questa corsa podistica. Ma le vittorie, che lo rendevano pericoloso come Napoleone, gli hanno attirato un fantasma, come diciamo in psicoanalisi: quello del despota. Moltissimi sinceramente credono che anche questa riforma costituzionale (di cui si parla da 40 anni) fosse un altro modo per vincere lui. Il successo dell’altro angoscia, ci minaccia.

 

Perciò non ha senso dire che Renzi ha commesso l’errore di personalizzare il dibattito sul referendum. Anche se si fosse defilato, lo avrebbero personalizzato i suoi avversari. Lo abbiamo ben visto con i quattro referendum del 2011. In questo caso Berlusconi non si era esposto particolarmente, ma la gente ha interpretato quei referendum disparati come un plebiscito pro o contro Berlusconi, e siccome un premier dopo due anni e mezzo raggiunge il culmine dell’impopolarità, come abbiamo visto ora con Renzi, Berlusconi ha “perso” i quattro referendum. Anche in questo caso i loro contenuti – a parte quello che proibiva la costruzione di centrali nucleari – non erano rilevanti. L’importante era votare CONTRO Berlusconi. Era significare il proprio malcontento. Penso che Renzi abbia capito che la personalizzazione era inevitabile, e che quindi abbia accettato la sfida, pur sapendo quanto fosse disperata la sua impresa.

 

Ma l’errore di Renzi più grave è il secondo: aver rinunciato alla retorica di sinistra.

È famosa la battuta di Nanni Moretti in Aprile: guardando d’Alema in un dibattito per televisione, gli urla “Ma di' qualcosa di sinistra!”. In effetti, per lo più essere di sinistra, oggi, è “dire qualcosa di sinistra”. Oggi abbiamo la variante grillina: l’importante è dire qualcosa contro la casta politica. L’importante è dire nel modo corretto, non fare.

Di recente Umberto Eco aveva evocato l’aneddoto della signora di sinistra che andò a congratularsi con d’Alema nel 1996, poco dopo la vittoria di Prodi alle elezioni. “Finalmente – disse a d’Alema – adesso sì che potremo fare una vera opposizione!” Eco pensava che al fondo della sinistra ci sia una rinuncia a governare, un godersi la propria posizione di “virtù oppositiva”, il crogiolarsi nella political correctness, e delegare alle destre il lavoro sporco del governare.

 

Il peccato di Renzi è stato parlare non da leader di sinistra. Se fosse stato zitto, sarebbe stato più di sinistra che parlare come ha parlato. Eppure ha fatto parecchie cose che l’elettorato di sinistra dovrebbe apprezzare. Sono convinto che quello di Renzi sia stato il governo più di sinistra finora avuto. Ha fatto avere 80 euro mensili in più a chi ha un salario basso, ha dato 500 euro agli insegnanti per la loro formazione, ha fatto approvare la legge sulle unioni civili, è riuscito a far avere qualcosa di più ai pensionati; di recente ha chiuso, dopo sette anni, il contratto con gli statali; ha assunto oltre 100.000 insegnanti; ha praticato una politica di accoglienza dei migranti ampia ed efficace condannando ogni tipo di muro; ha attaccato platealmente la politica europea di austerity che penalizza i paesi del Sud… Ma nella politica conta la retorica ancor più di quello che si fa. In politica si parla sempre di cose concrete, ma alla fin fine l’elettorato si orienta secondo la retorica, perché è quella a toccare l’inconscio, altrimenti detto pancia. E la retorica di Renzi non piace alla sinistra, né ovviamente ai grillini.

 

 

Ad esempio, Renzi ha fatto propria la bandiera di abbassare le tasse. Per gran parte del “popolo di sinistra” questo è un discorso osceno, anche se si tratta delle tasse che questo stesso popolo paga. È ormai stabilito che l’abbassamento delle tasse è cosa da destra. Del resto la destra lo ha ben colto. In America si dice che i liberals, la sinistra, “tax and spend”, “mettono tasse e spendono”. Chi è di sinistra parte dal presupposto che occorra tassare per incrementare i servizi pubblici. Se si dice però che con tasse troppo alte le imprese non decollano e non c’è crescita, da questo orecchio non ci vogliono affatto sentire.

Ad esempio, molti rimproverano Renzi di fare discorsi patriottici. Un leader di sinistra non parla di patria! Anche se io trovo ovvio che il ruolo di premier implichi anche una certa retorica patriottica, parte della sua funzione.

 

Si prenda il ponte sullo Stretto di Messina. Un ponte è di sinistra o di destra? Il bel Golden Gate Bridge che unisce Marin County a San Francisco è di destra o di sinistra? Il ponte di Øresund che unisce Svezia e Danimarca è di destra o di sinistra? La domanda suona assurda. Eppure, si dà il caso che in Italia di solito chi è di destra sia a favore del ponte sullo Stretto, e chi è di sinistra di solito sia contro il ponte. Una divaricazione che a prima vista appare misteriosa, e di cui bisognerebbe analizzare le motivazioni – il contenuto latente, non quello manifesto; il contenuto manifesto sono per lo più astruserie ingegneristiche. Così, rilanciando l’idea del ponte sullo Stretto Renzi ha rafforzato l’immagine che tanti di sinistra hanno di lui: “non è dei nostri”. Uno di sinistra deve riparare le buche delle strade, non può parlare di ponte sullo Stretto! (Ma non è possibile fare entrambe le cose?) 

Ovviamente Renzi ha fatto anche alcune cose che vengono classificate a destra, come aver eliminato il mitico articolo 18, o aver posto il preside delle scuole in una posizione di “sceriffo” si dice (ma gli sceriffi non erano i buoni che cercavano di far rispettare la legge nel Far West?). Tocchi di destra, tocchi di sinistra, la partitura di Renzi è risultata cacofonica. Il contrario di Trump, per esempio, che canta una partitura coerentemente reazionaria, senza alcuna stecca o stonatura (per chi la pensa come lui). 

Insomma, Renzi ha avuto contro sia la destra che la sinistra, per non parlare dei grillini. Goliath perde sicuramente contro dieci David. Si dirà: ma il M5S non mescola anch’esso i contenuti, come fa Renzi? Non ci sono cose di sinistra come cose di destra nel loro programma? Perché allora i grillini non appaiono altrettanto cacofonici? Perché si offrono come opposizione radicale, che non ha mai governato. Essi incarnano quello che chiamerei il grande lamento dei frustrati incazzati

 

Quando parlo con la gente comune – ma anche con i laureati – sento un lamentarsi continuo di qualsiasi cosa. È come se il nostro vivere sociale fosse totalmente negativo, sbagliato, per cui parlare politicamente significa ipso facto denunciare e lamentarsi. La lamentela, il lagno, è un rumore di fondo continuo, ubiquo, snervante. Si dice: è perché con la globalizzazione c’è un declino dei ceti medi. Ma la lamentela caratterizza molte altre classi sociali. Certamente ci sono molte cose storte, io stesso vorrei cambiare molte cose. Ma qui, ancora una volta, non si tratta di contenuti manifesti, bensì di contenuti latenti. Il contenuto manifesto della lamentela spesso è assurdo o irrilevante. Ad esempio, una mia vicina si lamentava del fatto che – prima della morte di Ciampi – Ciampi ricevesse un vitalizio mentre quei soldi potevano essere spesi per gli studenti all’estero… Un’altra metteva in relazione il fatto di avere un cancro allo stomaco con il cattivo funzionamento del mezzi pubblici a Roma… Ogni giorno ascolto le proteste più assurde, basate spesso su falsità o leggende metropolitane. Ma da dove nasce questa profonda scontentezza del vivere sociale, che poi si flette contro chi ha il potere politico? In effetti, dal 1994 in poi a ogni elezione vince l’opposizione, ovvero si vota contro il governo precedente. In fondo, in Italia vince sempre il NO.

 

Freud aveva parlato di Disagio nella civiltà in un saggio famoso. Il solo fatto di vivere in società ci inquieta, ci sfianca, ci frustra. Certo le ragioni che Freud avanzava all’epoca per spiegare questo malessere non solo politico non possono essere ancora le nostre, ma direi che questa scontentezza endemica riflette un malessere che non viene dalla politica, ma di cui la politica fa le spese. Sempre più nel mondo moderno siamo scontenti della nostra vita, sembra che tutto ci ostacoli, e siccome non sappiamo perché, ce la prendiamo con i poteri, in particolare con i poteri politici. Un paese che vota sempre per le opposizioni è un paese infelice.

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