Quando una gallina ha mal di denti

15 Dicembre 2014

Quando una gallina ha mal di denti

 

Nell'ultimo fumetto di Zero Calcare, Dimentica il mio nome, (Baopublishing 2014), Lady Cocca, madre-chioccia del protagonista/autore ritratta da sempre con impareggiabile umorismo, trova il suo grande riscatto. Se è inabile alle moderne tecnologie, di certo sa come cavarsela, al contrario di suo figlio, al cospetto delle tragedie della vita e della Storia.

 

Zero Calcare, Dimentica il mio nome, Lady Cocca, 2014

 

Walt Disney, Robin Hood, Lady Cocca, 1973

 

 

 

Che questa grossa e pragmatica gallina bianca, rubata alla versione Disney di Robin Hood (1973), mostri un coraggio da leone conferma la memorabile battuta: “Non c'è niente di più risoluto di una gallina con un piano”, tratta dal bellissimo Galline in fuga (Chicken Run, regia di Nick Park, Peter Lord, 2000), lungometraggio animato in cui le abitanti di un pollaio lager gestito dalla temibile Miss Tweedy, capeggiate dalla loro leader Gaia, si rivelano capaci di una vittoriosa ribellione. Questo per dire che, come tutti gli stereotipi, frutto di scarsa fantasia e deficitaria osservazione della realtà, anche quello della gallina stupida, pavida e inetta, può essere felicemente rovesciato.

 

Nick Park, Peter Lord, Galline in fuga, Gaia, 2000

 

È quel che accade in un libro di recente uscita, La gallina che aveva mal di denti, di Bénédicte Guettier, pubblicato da Clichy nella collana Carrousel, che con lo stereotipo della stupidità gioca con grazia e umorismo per mostrarci che delle idee che ci facciamo delle cose è meglio dubitare. Perché troppo spesso queste sono dettate dalla presunta certezza del nostro posto del mondo, il che significa, il più delle volte, anche presumere quello degli altri in relazione a noi. Sbagliato.

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

Un bella gallina bianca vive felice insieme ai suoi cinque bambini, racconta questa piccola brillante storia, scritta con misura, sapienza ed economia di mezzi.

 

C’era una volta una gallina che viveva in campagna. Era felice insieme ai suoi cinque bambini. Anche se era un po’ indaffarata. Il quinto era un piccolo coccodrillo che aveva covato per sbaglio, ma che lei amava come i suoi piccoli pulcini, e anche lui la amava come se lei fosse la sua mamma.

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di dentiBénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

 

 

Recentemente uno studioso che si è occupato di cartoni animati per piccoli mi ha fatto una domanda che presupponeva da parte mia l'esposizione dei criteri di giudizio estetico che applico nel valutare un prodotto culturale rivolto ai bambini. Non credo di fare qualcosa di diverso dal valutare la qualità di un testo e di una immagine, così come farei per un prodotto rivolto agli adulti. La riuscita di un testo e/o di una immagine è frutto della messa a punto della loro forma in relazione alla loro efficacia narrativa. Di solito questa riuscita dice molto su chi l'ha realizzata: sulla sua competenza, onestà (in termini professionali), intelligenza, cultura, originalità. Si può decidere di raccontare qualcosa in un sonetto o in 500 pagine, in un manifesto o in una sequenza di immagini per un libro illustrato: la cosa non cambia.

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

 

 

Bénédicte Guettier della sua gallina dice ai lettori piccoli, attraverso parole e figure sintetiche, poche cose mirate: che è una mamma con cinque bambini. In verità quelli che vediamo nell'illustrazione non sono affatto bambini, e nemmeno pulcini, ma strane creature mezzo uovo e mezzo pulcino. E addirittura fra di loro c'è una cosa verde che si rivela poi un piccolo coccodrillo finito per sbaglio nella covata. Per sbaglio?

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

 

 

Bénédicte Guettier è come gli antichi narratori di fiabe descritti da Italo Calvino nella lezione americana sulla Rapidità. Seguendo il puro ritmo della narrazione, va dritta per la propria strada senza dare spiegazioni: che campagna sia quella dove abita la gallina; che impegni la occupino; come mai i suoi bambini siano così strambi; per quale caso un coccodrillo sia finito fra le sue uova.

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

 

 

E qui sta la abilità della Guettier: perché se non è necessario dare spiegazioni in merito a luoghi, tempi e caratteri, il non darle in relazione a fatti eclatanti come bambini-uovo o coccodrilli in una nidiata di polli, produce un effetto umoristico irresistibile e apre il campo a una serie di deliziose ipotesi fantastiche a disposizione dei piccoli lettori.

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

 

 

Afflitta dal mal di denti, la gallina si vede costretta, come una mamma d'oggi che non sappia a chi lasciare i suoi piccoli, a portarseli dietro in città, dal dentista. I bambini, educati e composti, aspettano con lei l'autobus 14. E che questo si riveli l'avventura che, in effetti, è prendere un autobus per chi sappia apprezzarla, lo capiamo dall'immagine della Guettier.

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

Cosa poi succeda dal dentista, lo rivelo solo in parte, perché la bellezza di questo libro si fonda su un colpo di scena che sarebbe un delitto rivelare. Ai fini del rovesciamento dello stereotipo inerente all'intelligenza delle galline dirò che la nostra protagonista scopre di non avere i denti e quindi nemmeno il male conseguente. Si direbbe il colmo della stupidità, appunto, come infatti pensa subito il dentista, molto seccato di doversi occupare di una paziente sana. Ma la supposta stupidità della gallina è solo il mezzo grazie al quale la storia, con limpida evidenza, mette a nudo quella, incommensurabile, del dentista. Perché se la stupidità della gallina è imputabile a distrazione, e quindi riparabile, quella del dottore è figlia della cattiveria. E ligia all'immutabile dettato delle fiabe, Bénédicte Guettier non mancherà di punirla, perché se una fiaba può essere modernissima, il senso di giustizia di un bambino (e soprattutto quello di un bambino-coccodrillo) ha un cuore antico ed esige soddisfazione.

 

Bénédicte Guettier, La gallina che aveva mal di denti

 

 

 

Sulla stupidità delle galline poggia l'intera costruzione di una brillante raccolta di 155 micro racconti di Luigi Malerba dal titolo fascinoso: Le galline pensierose. Uscito nel 1980 per Einaudi, e oggi ripubblicato da Quodlibet (dopo un'edizione Mondadori del 1994), il libro, che non è né per bambini né per ragazzi, si offre come ineffabile campionario della stupidità umana. Qui lo stereotipo della gallina scema si è evoluto nella forma ossimorica della gallina pensierosa. Se la gallina si contentasse della propria imbecillità, suggerisce Malerba, sarebbe un'onesta, accettabile gallina.

 

Ma quando la gallina ambisce al pensiero, al benessere, all'identità, a una vita psicologica, alle emozioni dell'arte e della letteratura, al turismo, alla vita spirituale, agli affari, alla politica, precipita in uno stato di idiozia che non ha riscatto ed è, infatti, quasi sempre, vittima di se stessa: «Una gallina pensierosa si metteva in un angolo del pollaio e si grattava la testa con la zampa. A forza di grattarsi diventò calva. Un giorno una compagna le si avvicinò e le domandò cosa la preoccupasse. "La calvizie", rispose la gallina pensierosa».

Insomma, fra galline gallinologhe, sportive, filosofe, ignoranti, anticonformiste, impudiche, imprudenti, irrequiete, geografe, postmoderne, sensitive, incendiarie, americanofile, perverse, impertinenti, collezioniste, vanesie, svagate, medioevali, esibizioniste, infelici (e non manca una gallina col mal di denti che scopre di non avere i denti), Malerba dipinge una fenomenologia gallinacea che eleva lo stereotipo a capolavoro, a sua preziosa custodia, in difesa dalla vertiginosa potenza distruttiva della stupidità di massa. Una posizione a cui, di questi tempi in particolare, si ha la tentazione di aderire pienamente. Anche perché leggendo gli apologhi di Malerba, raffinati, acuti, fulminanti, e persino poetici, non si può fare a meno di pensare, molto concretamente, a persone, note e meno note, in cui si incappa nella vita di tutti i giorni. Un po' come accade quando si leggono le Favole di Esopo, che ancora oggi forniscono una descrizione esaustiva dei peggiori aspetti dell'essere umano e delle loro concrete conseguenze. Perché, come si legge nella quarta di copertina del libro, per tirare di nuovo in ballo Calvino: «Per Malerba osservare le galline vuol dire esplorare l’animo umano nei suoi inesauribili aspetti gallinacei».

 

E tuttavia, leggendo un apologo di Malerba che parrebbe ispirato a una autrice fra le più note e di certo fra i migliori scrittori della letteratura italiana del Novecento («Una gallina di nome Natalia aveva deciso di scrivere un romanzo, ma non le vennero in mente né la trama, né i personaggi, né il titolo né lo stile della scrittura. Fu così che quella gallina velleitaria scrisse invece i suoi ricordi di infanzia ed ebbe molto successo fra le oche.»), diventa lampante come nemmeno un grande scrittore sia al riparo da istanti di assoluta e fulminante stupidità, e cioè dal farsi anch'esso gallina pensierosa. Perché più ancora che lo stereotipo dalla gallina stupida è facile ribaltare quello dell'intellettuale intelligente. E questo è perfettamente nello spirito di Malerba.

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