Margherita Moscardini

29 Luglio 2013

Per la sua mostra personale Annexe-1xUnknown Margherita Moscardini presenta una serie di opere realizzate a partire dal 2012, durante la residenza romana alla Fondazione Pastificio Cerere. I lavori in mostra – maquettes le chiama l’artista – si muovono al confine tra la dimensione scultorea e quella progettuale e segnano le tappe di una ricerca tra le possibili relazioni, estetiche ed economiche, con l’ambiente circostante.

 

Sulla falsariga della dissertazione scientifica, Moscardini tratteggia un percorso tra gli ambienti della galleria, trasformando allegoricamente le opere in immagini di corredo (Annexes), nominate esattamente come le figure di un testo: fig. 1, fig. 2… Compone così i passaggi della sua esposizione in tre tempi, che potrebbero corrispondere a quelli della premessa, della progettazione, e dello studio di fattibilità, attraverso un approccio utopico che guarda ai movimenti radicali.

 

Punto di partenza di tutto il progetto, già fulcro della mostra al Macro (13.12.2012 – 27.02.2013), è l’osservazione della catena di bunker nota come Vallo Atlantico fatti costruire da Hitler durante la seconda guerra mondiale per contrastare le invasioni alleate. Quelli che resistono ancora oggi, disseminati sulle coste settentrionali d’Europa, dalla Norvegia alla Francia, sono gli stessi relitti su cui si soffermò per la prima volta Paul Virilio, realizzando tra il 1958 e il 1965 un’ampia documentazione fotografica pubblicata nel suo libro Bunker Archéologie (1975). Virilio rimase colpito dalla convergenza tra la solidità concreta delle costruzioni e la loro sistemazione lungo la linea dell’oceano; dal loro aspetto di relitti, dalla loro monolitica architettura moderna, dalla strumentalità incompiuta di queste macchine abbandonate.

 

Margherita Moscardini, 1xUnknown, 2012

 

 

A partire dall’osservazione dello stesso paesaggio Moscardini crea ridottissime installazioni video, proiettando le immagini su piccoli muri di cemento, avvolti in una rilegatura con la doppia funzione di involucro e quinta, creando subito un punto d’incontro tra la dimensione estesa delle architetture strategiche e quella raccolta del libro e della documentazione. La serie, dal titolo (Quiberville, Heuqueville, Bihen-Saint Firmin), evidenzia il valore formale degli edifici da difesa e avvistamento, il loro portato culturale, il ruolo strategico, l’abbandono, la trasformazione, ma soprattutto l’integrazione con il paesaggio, di cui, sottolinea Moscardini, questi edifici hanno sempre fatto parte, costruiti come sono con le terre di scavo dei luoghi. Da questo snodo prende quindi avvio la riflessione sui vincoli tra i processi di erosione e di creazione: un’economia di trasformazioni di cui l’artista, in quanto tale, si vuole assumere la responsabilità.

 

L’indagine preliminare a cui di potrebbe riferire questo primo lavoro si conclude quindi con una fila composta di sacchetti di plastica contenenti sabbia, basalto, frammenti di pietra calcarea, tutti materiali prelevati dai diversi siti d’indagine individuati da Moscardini come siti per realizzare l’architettura conclusiva del progetto, dall’Aquila a Bracciano, dalle sponde del Tevere a quelle dell’Aniene, e rigorosamente catalogati come campioni.

 

Margherita Moscardini, Fig. a, 2013

Alla premessa segue poi lo studio grafico e progettuale dei disegni; collage in cui si traduce visivamente lo spostamento dei volumi terreni potenzialmente estraibili dalla montagna, dalla cava o dalla riserva, e successivamente destinati alla costruzione delle architetture (Figg. a-b, Elogio del Condizionamento, Carotaggio, Faglie, 2013).

 

Margherita Moscardini, Fig. b, 2013

 

Queste sono poi inquadrate in un sistema geografico spaziale astratto che, mettendo in evidenza le griglie strutturali di una prospettiva sfuggente in cui sono inseriti ritagli fotografici e disegni, strizza l’occhio ai progetti utopici di Superstudio, citati dalla stessa artista.

 

Margherita Moscardini, Maquette, 2012

 

Infine, come in ogni progetto, le maquettes vere e proprie: modelli in scala, riproduzione del progetto finale; in questo caso scultura vera e propria. Pezzi assemblati, recuperati dall’artista come objet trouvé, sono proposti da Moscardini in un gioco di rapporti dimensionali, metonimia del reale immaginato, vissuto e progettato. Nella prima Maquette (2012) un tratto di asfalto preso in strada e rovesciato diventa una montagna, per la sua assonanza formale e per le stratificazioni con cui è costruito, come quelle che il tempo sovrappone naturalmente al di sotto della superficie terrestre; un frammento di marmo recuperato da uno scavo archeologico, e poi lavorato con minuzia al suo interno, è il modello di un possibile bunker innestato nella montagna d’asfalto; le polveri estratte dall’interno del marmo per farne un ambiente abitabile segnano quindi il tempo dentro una clessidra messa là accanto.

 

Margherita Moscardini, Maquette, 2013

 

Alle coordinate temporali che emergono da questa prima maquette fanno eco quelle spaziali della seconda (Maquette, 2013) dove invece è una bussola ad essere innestata sul reperto di manto stradale. Infine in un terzo modello, il taglio superiore di uno scarto marmoreo, già superficie calpestabile di una montagna, ne diventa la sua riproduzione in scala ridotta ed è posizionato sullo stesso tavolo della Fondazione Cerere dove Moscardini ha immaginato il progetto nella sua interezza. Non proprio lo stesso tavolo, ma una riproduzione fedele, al punto da mantenerne quelli che l’artista chiama “errori strutturali”, come le zampe su cui poggia – parallelepipedi irregolari, più sottili nella parte inferiore – e da essere troppo piccolo per contenere interamente la schiena della montagna, che eccede i confini spaziali e geometri del tavolo. Anche la montagna che qui si specchia su una lastra di vetro, come su un lago, prevede un ingresso al suo interno scavato in un punto nascosto al confine tra il tavolo che la sorregge e le sue pendici. È questa la Maquette con difetti sentimentali (2013), un luogo del pensiero che Moscardini si concede rompendo il rigore scientifico con cui normalmente costruisce i suoi progetti.

 

Margherita Moscardini, Maquette con difetti sentimentali, 2013

 

Quel che è immaginato come un percorso didattico diventa così un excursus tra le possibilità della forma e della materia, del loro essere e del loro negarsi, dal cemento puro dei bunker, all’irregolarità dell’asfalto e del marmo, cercati, trovati, affiancati, incorporati, trasformati, studiati e restituiti.
Nella ripetizione in scala di modelli reali e immaginati di Moscardini, nella frizione tra scultura come essenza e come allusione ad altro da sé, lo spazio, il tempo e la memoria sono le suggestioni evocate dall’immagine progettuale nella loro valenza specifica rispetto ai luoghi, e in quella universale come modello di sostenibilità economica e politica nel senso più esteso del termine, non come ideologia, ma come presenza, attuata contemporaneamente attraverso i processi opposti di sottrazione (“erosione” nelle parole dell’artista) e costruzione.

 

L’innesto di un oggetto formale all’interno di un paesaggio costituito è un modo per Moscardini di ripristinare quello che lei riconosce come il portato rivoluzionario del minimalismo in un riferimento esplicito al cubo nero immaginato da Gregor Schneider in piazza San Marco a Venezia (Cube Venice, 2005), o ai fori perfettamente circolari di Gordon Matta Clark eseguiti negli edifici destinati alla demolizione (Conical Intersect, 1975). Contemporaneamente la pratica del riuso dei materiali del luogo è un rimando alle trasformazioni avvenute per processi naturali e per mano dell’uomo nel corso dei vari passaggi di potere e di cultura, come i monumenti trafugati, le colonne spogliate dai templi pagani per scandire le navate delle chiese cristiane, o i bunker atlantici edificati con le sabbie stesse del sito in cui sorgono.

 

Atti drammatici di destituzione, appropriazione, trasformazione, ma al tempo stesso naturali: propri del corso indifferente delle cose, fondato nell’immagine di Moscardini su un’economia del riuso che non lascia residui, ammessa come evoluzione naturale.

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