Marina Cicogna, eleganza ribelle

15 Giugno 2023

La vita della ragazza nata dal conte Cicogna e dalla figlia di Giuseppe Volpi di Misurata, il fondatore della Mostra del Cinema di Venezia, sembra un film dei telefoni bianchi. Da piccola ha la governante inglese, la nanny; muove i primi passi sul prato e nella neve della villa di Cortina, quando le case ancora non erano fitte come condomini. Estati al Lido di Venezia, sulla spiaggia dell’hotel Excelsior, tra capanni ornati da piante di ibiscus, con aristocratici e intellettuali che vanno a visitare i genitori. Come un sogno a occhi aperti, che potrebbe essere di celluloide e invece è fatto di ricordi di vita, si apre Ancora spero. Una storia di vita e di cinema, autobiografia di Marina Cicogna, produttrice del premio Oscar Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970). Pubblicato da Marsilio, è stato scritto insieme a Sara D’Ascenzo, giornalista del “Corriere del Veneto” che ha aiutato la signora, nata nel 1934, a ricomporre la propria storia attraverso una lunga serie di interviste di scavo nella memoria, lunghe più di trenta ore di registrazioni. D’Ascenzo poi ha riordinato tutto, senza forzare una materia che in certi momenti naviga nella cronologia in modo approssimativo, e ha steso il libro in bella scrittura, lasciandoci gustare il tono insieme signorile, pratico, avventuroso e soprattutto anticonformista della donna.

Quell’infanzia dorata viene presto insidiata dalla guerra, dalle bombe che devastano Milano, e portano la famiglia a rifugiarsi all’estero, a dividersi, con i genitori che sostengono la Resistenza.

Il dopoguerra vede la coppia Cicogna-Volpi separarsi e i figli, Marina e il più piccolo Ascanio Giuseppe detto Bino, diminutivo di “bambino”, sistemarsi con il padre. Ma Marina dimostra subito una natura ribelle: a quattordici anni scappa di casa, prende un treno e si rifugia dalla madre a Roma.

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Le passioni della vita le trova nei film, prima di tutto come spettatrice. Perché “il cinema – scrive – è nella mia vita da sempre, nel mio Dna dalla nascita, avvenuta appena due anni dopo la prima Mostra del Cinema di Venezia”, voluta dal nonno Volpi per rivitalizzare, lui proprietario di grandi alberghi, la stagione turistica, che in settembre segnava il passo. Oltre alle pellicole viste, il libro racconta incontri con attori, col produttore David O. Selznick che, “affascinato dalla mia conoscenza delle lingue e dalla mia cultura, così diversa da quella degli adolescenti americani”, vorrebbe addirittura adottarla. Scorrono De Sica, Debora Kerr, Robert Taylor e altri divi, ma anche un fascinoso aristocratico, Dado Ruspoli. I nomi noti sono tanti, tra l’anno della maturità passato a Venezia, New York e Los Angeles, dove Marina va a studiare, e poi la Roma di via Veneto e della Dolce vita. Con un’apparizione di Marilyn Monroe, sempre dipendente dalla sua coach dell’Actor’s Studio. Compaiono Montgomery Clift e Rock Hudson, “l’attore che fece scoppiare un terremoto nell’ambiente quando, negli anni ottanta, dichiarò di avere l’Aids”. Ma tutte queste conoscenze hanno una morale: “Tutti portavano avanti le proprie scelte senza esporsi, ma senza grossi drammi”. Tutti tranne “Monty” Clift, in eterno conflitto con la propria natura.  Passiamo da locali alla moda nella Grande Mela e a LA a viaggi in piroscafo, gite a Capri o soggiorni in Costa Azzurra, magari chez Gianni Agnelli, che cercherà di entrare nel letto della nostra narratrice e sarà respinto.

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La vita diventa decisamente cinema nella seconda parte dell’autobiografia, pur non lesinando altri incontri fondamentali. Entrano in scena Luchino Visconti e Alain Delon, Farley Granger, il fascinoso tenente Mahler di Senso, con cui Marina ha una storia d’amore, Ljuba Rizzoli, Warren Beatty, Onassis, Maria Callas, Jackie Kennedy e molti altri nomi del gran mondo. La narrazione così pure ci porta in una villa in Libia, espropriata dalla Rivoluzione islamica di Gheddafi, e all’incontro con Jeanne Moreau, “una donna dal fascino inconsueto, complessa, volubile”, che usava gli uomini come trofei da esibire. Torna però a confessare, Marina: “Il folle amore della mia vita è stato il cinema”. Ma ci aspetta ancora una divagazione biografica, prima di arrivare alla carriera di produttrice di Cicogna: l’incontro con Helmut Berger, “bello, dai soffici capelli biondo cenere, i lineamenti femminili, due occhi azzurri nei quali si scorgeva il luccichio della giovinezza e della strafottenza, Luchino aveva perso la testa per lui”. In lui Marina riconosce sé stessa: “eravamo allora due ragazzi in cerca della propria strada”, con un “desiderio nascosto di ribellione che lui incarnava senza condizionamenti”.

Ora il volume fa sospettare di aver preparato, con quegli ambienti ovattati high society, gli anni ribelli. Prima di capire come si sono attuati nel cinema, c’è l’amore per Florinda Bulcão, in arte Bolkan. Un viaggio a Rio, complice la musica brasiliana che “riempiva le strade”, fa innamorare la nostra Marina dell’allegria e dell’armonia “che percepivo ovunque”. E quando a Parigi conosce l’ex hostess dalla Varig è colpo di fulmine: “vederla fu un vero choc: quell’aspetto un po’ androgino, il viso ‘universale’, bellissimo e naturale, risultarono subito indimenticabili”. E fu passione durata per anni: l’attrazione divenne vita, oltre qualsiasi etichetta.

Intanto Marina dedica la vita al suo altro grande amore, il cinema. Diventa distributrice per la casa di produzione cinematografica di famiglia, la Euro: ma mentre il fratello è impegnato a creare successi con titoli e artisti sicuri come C’era una volta il West di Sergio Leone, lei insiste per distribuire pellicole inconsuete come Helga, che mostrava un parto in diretta, un successo in Germania, una pellicola rischiosa in un’Italia ancora profondamente puritana. Stessa cosa per Belle de jour di Luis Buñuel. Poi un giro del mondo, con Florinda. Al ritorno Monica Vitti vuole interpretare a tutti i costi La ragazza con la pistola al posto di Claudia Cardinale e ci riesce; c’è il salvataggio di Edipo re di Pasolini rimasto bloccato per esaurimento dei fondi in Marocco e quindi Cicogna si assume il rischio di finanziare Teorema, sempre di Pasolini. 

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La decisione di produrre direttamente, con la Euro, film anche rischiosi la porta a puntare su Metti, una sera a cena, di Giuseppe Patroni Griffi. L’interprete dell’amante della protagonista, una donna borghese, dovrebbe essere Gian Maria Volonté che, nel pieno dei venti rivoluzionari del Sessantotto, declina. L’incontro si realizzerà, dopo Medea di Pasolini, con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. “Gian Maria – ricorda Cicogna – era l’attore che mi inteneriva di più, perché sotto la scorza di grande istrione avvertivo il carattere di un uomo difficile, segnato dalla fragilità. La sua fama di intrattabile lo precedeva. Se un produttore piombava sul set mentre lui girava, lui smetteva immediatamente di recitare. Ma con me, per fortuna, non è mai successo». Arriva, per quel film l’Oscar: e la produttrice non vola a Los Angeles per inveterata paura dell’aereo. Poi verranno La classe operaia va in Paradiso e i film di Lina Wertmüller con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, a partire da Mimì metallurgico ferito nell’onore: modi diversi per raccontare un paese, l’Italia, in trasformazione, avvolto nei conflitti politici, familiari, tra i sessi degli anni intorno al Sessantotto e dei seguenti. Arriveranno con polemiche, su come narrare quei fatti, sulla “linea” politica giusta da seguire; e arriveranno elegie come Anonimo veneziano, accusato da alcuni di facile sentimentalismo, perfino un po’ melenso.

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Intanto prosegue la vita mondana di Marina: irrompe sulle scene Marta Marzotto, Zeffirelli scatena la gelosia di Visconti, Cicogna produce per la Cineriz. Il fratello Bino, stritolato tra i debiti e la droga, finisce suicida. In Marina rimane viva “la voglia di scovare ancora qualche talento in un cinema italiano che stava irriducibilmente cambiando pelle”. Siamo appena al 1972 e iniziano ad avvertirsi i segni della crisi, che di lì a poco piallerà la nostra cinematografia: “Alla fine degli anni settanta la mia carriera di produttrice era a un punto morto, faticavo a trovare un centro”.

Marina, Florinda e Helmut affittano una appartamento a New York: “molti amici ci seguirono e si creò una sorta di comunità che desiderava godersi la Grande Mela in quegli anni pieni di contraddizioni, in un clima fuori dal comune, che oggi  non verrebbe capito: il nostro mondo era fatto di persone che popolavano la notte, vivendo sopra le righe ma con leggerezza e con una gioia di stare al mondo incontenibile”. Fascino. Glamour del mondo di sogni del cinema, con altri amori e altri incontri. 

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L’ultima parte della vita è quella dei ripiegamenti, introdotti da un’epigrafe presa dallo Zio Vanja di Čechov, sul tempo che passa, sulla mezza età che ingrigisce, fa abbattere e involgarire, lasciando vivo il desiderio di bellezza. Con Florinda è separazione. Arriva un altro amore, più quieto, Benedetta. “Le mie scelte parlano per me”, confessa ancora Cicogna. “Ho vissuto per vent’anni con Florinda, da quasi quaranta vivo con Benedetta. Eppure non ho mai amato le manifestazioni eclatanti della propria sessualità. Considero le parate, e in generale l’ostentazione dei propri orientamenti, come qualcosa di ridondante, a meno che non si tratti di persone che sentono di vivere in un corpo che non appartiene a loro […]”. Sono anni ancora di viaggi, di case, di qualche incarico ministeriale per il cinema da parte di Urbani e poi di Franceschini, di breve durata. Veniamo messi a parte ancora di incontri, di lutti, di momenti di riepilogo, della passione per la moda (per Valentino in particolare), con la coscienza, dichiarata, di “essere una donna libera che non ha mai avuto paura di mostrarsi per ciò che è e ha compiuto le sue scelte in totale autonomia, senza proclami”. Questo insistere sull’assenza di prese di posizione esplicite circa la propria sessualità oggi può sembrare un retaggio di tempi oscurantisti, ma è stato l’abito ‘elegante’ di molte persone nate in anni lontani, è segno significativo di un concetto di eleganza d’altri tempi, che cerca la libertà senza ostentazioni.

Arrivano gli ottant’anni, riconoscimenti di stato, sopraggiunge una malattia difficile, l’orizzonte di vita si restringe: rimane l’affetto per gli animali, soprattutto per i cani, che diventano schermo per affrontare il difficile tema, anche quello molto poco elegante, della fine della vita, dell’oscuramento di un mondo: “Penso spesso al destino dei cani dopo la morte dei padroni. C’è una fotografia, scattata durante il corteo funebre della regina Elisabetta II, che mi torna in mente con insistenza in questi giorni: i suoi amati cani, gli ultimi che le erano rimasti […] fermi su un marciapiede con una persona che li tiene al guinzaglio al passaggio del feretro […]”, disorientati, smarriti, “come se aspettassero qualcuno che non arriverà più”.

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Marina Cicogna (con Sara D’Ascenzo), Ancora spero. Una storia di vita e di cinema, Marsilio, pagine 268, euro 19.

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