Orologio

28 Gennaio 2016

Narra Jules Verne che nella Ginevra del Medioevo, su di un’isola in mezzo al fiume Rodano, in una casa sospesa su palafitte, viveva mastro Zacharius, orologiaio. In ogni mirabile strumento costruito aveva messo parte della sua anima, regolandolo sulle pulsazioni del suo cuore. La vita stessa era per lui un meccanismo ingegnoso di cui diceva di aver scoperto il segreto: la misteriosa unione di anima e corpo non era che il sincrono oscillare di bilancieri. Avendo così assoggettato il tempo a leggi esatte, Zacharius si era convinto di esserne diventato signore e dunque di non dover morire. Ma gli orologi si guastano uno dopo l’altro, e un vecchietto malefico, incarnazione del Tempo, pone fine all’illusione d’immortalità dell’orologiaio.

 

L’anno del racconto di Verne è il 1854. Da poco, Sadi Carnot aveva osservato che le trasformazioni in natura avvengono spontaneamente verso una direzione, quella del maggiore disordine, annuncio dell’entropia, termine che Rudolf Clausius introduce nel 1864. La seconda legge della termodinamica ricorda l’inevitabile degrado di ogni sistema chiuso, la freccia che indica la direzione verso cui il tempo, non più ciclico, procede; la nuova scienza delle macchine termiche segna il declino della scienza classica, quella di Galileo e di Newton, che aveva trovato il suo coronamento nella meccanica razionale ai primi dell’Ottocento. Del pensiero scientifico della modernità, l’orologio era stato l’oggetto metaforico privilegiato: l’universo intero è un orologio, ciclo sempre rinnovato sul modello delle traiettorie dei corpi celesti. Dal Seicento di Huygens, studioso dei bilancieri e delle isocronie, ai primi dell’Ottocento, l’orologio è l’analogon di ogni oggetto del mondo. Il nostro corpo come quello degli animali è una macchina, un automa, che funziona per trasmissione del moto, sostiene Cartesio; gli organi obbediscono ai meccanismi delle macchine semplici della statica, leve, pulegge, bilance e bilancieri. Il cuore è una pompa idraulica il cui tic tac segna l’alternarsi di sistole e diastole; e anche l’unione di anima e corpo non è che il battito simultaneo di due bilancieri. Il Dio di Newton è un orologiaio costretto ad intervenire ogni tanto per risistemare le imperfezioni della sua macchina, a differenza del Dio di Leibniz il cui mondo non richiede interventi, grazie all’armonia prestabilita: la Monade suprema ha posto fin da principio tutte le monadi in armonia fra loro e così il corpo e l’anima sono come due orologi che battono sempre lo stesso tempo.

 

In passato architetto, munito di compasso e squadra, prima ancora geometra (con i suoi fidati solidi platonici), con l’età moderna Dio aveva deciso di cambiare mestiere: eccolo orologiaio, senza comunque abbandonare le pratiche della misura e dell’ordine. Se l’orologio è per l’epoca classica l’oggetto-riferimento degli oggetti, ha scritto Michel Serres, lo è in quanto pienamente riducibile al dominante paradigma geometrico-meccanico: le qualità primarie sono figura e movimento, e il moto si riconduce all’equilibrio. Movimento senza vita, semplice traslazione in cui quel che si sposta rimane invariato, non subisce modifiche nel suo stato interno; la simmetria temporale, per cui procedere verso il futuro o il passato risulta equivalente, cancella la storia. Nell’universo di Laplace, compimento della meccanica classica, i moti dei corpi celesti sono ricondotti a un percorso invariante lungo segmenti temporali chiusi; i pianeti compiono rivoluzioni in senso astronomico, e il tempo ruota su se stesso. Ogni evento, anche la comparsa di una cometa, non è che periodico, mera ripetizione del passato; il mondo-orologio è un mondo stabile e chiuso, quasi a volerci rassicurare dell’eternità del sistema, pur nella caducità degli individui. Il gesto della scienza moderna, ricondurre i processi a elementi semplici e regolari, ripete lo sforzo del pensiero filosofico (e prima ancora sacerdotale), ritrovare nel mutamento un ordine immanente e invariante, un punto fisso a cui ancorare la diaspora delle cose e degli uomini (Norbert Elias). Dietro la variabilità imprevedibile del divenire occorre rintracciare quel che trascende il mutamento e ne rende ragione, l’ordine dell’immutabile e dell’atemporale. Al posto dell’eternità di Dio, la scienza moderna introduce le leggi di natura, dove il tempo resta parametro (e non operatore) invariante per la misurazione. Questa volontà di sapere non testimonia soltanto una crescita di razionalità e astrazione, risponde anche a motivazioni inconsce: la scoperta di un quid stabile dietro il fluire incessante degli eventi rassicura gli uomini di fronte alla paura della morte, fornisce un’ancora nel naufragare della caducità.

 

"...in ogni mirabile strumento da lui costruito ha messo parte della sua anima, lo ha regolato sulle pulsazioni del suo cuore..."

 

Il tempo della scienza moderna è il tempo reversibile, ripetizione dell’identico, in cui il futuro riproduce il passato; tempo di istanti e tempo di statica, dove il cambiamento è illusione, e la ciclicità è “immagine mobile dell’eternità”, a dire del Platone del Timeo. Questo è anche il tempo della punizione divina, insegna il mito greco: la condanna per chi ha sfidato gli dei è il costante ripetersi del Medesimo, il compiersi senza fine di uno stesso gesto. Sisifo riporta la sua pietra sulla cima della collina per vederla poi ricadere a valle; la pietra è un orologio, misura il tempo reversibile del supplizio, il tempo infernale dell’eterno ritorno. Le Danaidi riempiono d’acqua le loro anfore bucate sul fondo, sono quindi costrette senza sosta a replicare le loro fatiche. In entrambi i casi, il cammino è simmetrico (salita / discesa; riempimento / svuotamento), come quando si rovescia una clessidra. Questo ciclo non si compie sulla terra, ma agli Inferi; se Sisifo e le Danaidi abitassero la terra, se fossero mortali, il loro lavoro (nel senso della fisica, trasporto di un peso lungo un percorso in virtù di una forza) richiederebbe spreco di energia, l’equilibrio sarebbe rotto da uno scarto, la simmetria verrebbe infranta dall’usura e dall’invecchiamento.

 

Il tempo reversibile della stabilità del sistema planetario non è comunque estraneo alla nostra condizione terrena; è il tempo del nostro cuore, quando siamo in buona salute, è il tempo delle nostre pratiche, scandito dal calendario, dalla ritualità ripetitiva delle feste che infrangono le settimane dell’organizzazione del lavoro. “Dalla clausura del convento all’orario continuato della fabbrica, lo scoiattolo umano fa girare la sua gabbia credendo di galoppare, è la noria mossa dagli asini. Precipitandoci nella reversibilità, le nostre società di lavoro e di ripartizione delle ore e dei giorni tentano di rubarci la morte, di farci dimenticare o perdere i nostri tempi […]. Il fatto bruto della morte rompe il reversibile” (Michel Serres). Il contadino restava soggetto al tempo meteorologico, al ciclo delle stagioni, all’imprevedibilità delle intemperie e dei cataclismi naturali, e i soli mezzi per difendersene erano la preghiera e le pratiche superstiziose. Ma quando una rete commerciale si organizza, il mercante affida il buon andamento degli affari, ha spiegato Jacques Le Goff, alla giusta misura del tempo; poi verrà il tempo della Borsa, in cui minuti e secondi possono fare o disfare fortune. Il tempo nuovo degli orologi, misurabile e prevedibile, lascia alle fatiche dei campi il tempo perpetuamente imprevedibile delle meteore e insieme sostituisce il tempo dei chierici, ritmato dagli uffici religiosi, dalle campane che li annunciano, talora segnato da meridiane imprecise o da clessidre grossolane. Walter Benjamin ricorda che, ai tempi della Rivoluzione di luglio nel 1830, i rivoltosi di Parigi sparavano contro gli orologi delle torri, emblema odioso del ritmo scandito dal lavoro nelle fabbriche. Forse sognando un paradiso in cui il tempo non avesse padrone; ma l’unico luogo in cui gli orologi non potranno entrare sarà l’inferno del Lager.

 

Lungo i quadranti degli orologi scorre il tempo reversibile della meccanica classica, tempo spazializzato e quantificato, ridotto allo spostamento di lancette, traduzione e tradimento del tempo vissuto che si rende avvertibile alla nostra coscienza, diceva il Bergson del Saggio sui dati immediati della coscienza (1889). Il vero tempo è durata, fluire qualitativo e differenziato, dove il passato si conserva nel presente che resta, a sua volta, gravido dell’avvenire e lo annuncia. Tempo innovativo e irreversibile, tempo dell’evoluzione scandito da uno slancio vitale che fa apparire qualcosa di nuovo rispetto al passato e non si limita a riscriverlo. La scienza che oggi diremmo classica, newtoniana, conosce solo quel surrogato farsesco del tempo che il moto delle lancette può misurare e bloccare, serie di istanti tutti uguali, perle di una collana che si succedono identiche in modo uniforme. In essa, le leggi del moto, formulate nei termini della funzione di Hamilton, descrivono processi fisici che restano simmetrici in rapporto al tempo; di ogni fenomeno è legittimo pensare che possa avvenire anche a ritroso, in senso inverso, senza che si dia una “freccia del tempo”. È altrettanto concepibile, diceva Prigogine, che un miscuglio omogeneo diventi eterogeneo quanto il contrario, oppure che un fluido ad alta temperatura diventi freddo quanto che uno freddo diventi caldo. Per la fisica classica, non ci sarebbe differenza, per usare l’immagine di Bergson, tra lo sciogliersi delle zucchero nell’acqua e il separarsi dell’acqua zuccherata negli elementi che compongono il miscuglio.

 

La fisica classica non è in grado di spiegare l’organizzazione di un sistema, grazie all’attività coerente dei suoi componenti, e l’irreversibilità di alcune trasformazioni fisiche. Del resto, già il Kant della Critica del Giudizio (1790) aveva opposto all’orologio, dotato solo di forza motrice, l’albero che “si produce da sé” (oggi diremmo autopioetico), ipotiposi degli organismi viventi, che sono insieme causa ed effetto di se stessi. Non esiste un Newton del filo d’erba, diceva il filosofo di Könisberg. Né un Einstein per la durata, per il fluire della coscienza e dell’evoluzione vitale, avrebbe aggiunto l’Henri Bergson di Durata e simultaneità (1922). Il tempo-illusione della relatività s’iscrive ancora nell’orizzonte newtoniano dell’unico tempo “fittizio” dell’orologio, semplice successione di istanti, misurati dal moto delle lancette nello spazio. La realtà del tempo come flusso e transizione viene annullata dalla scienza in istantanee, istanti in cui il tempo è inaridito e solidificato; ma la molteplicità indivisibile del tempo vissuto non si può congelare in segmenti spaziali, come una passeggiata lungo le strade di Parigi non equivale alla serie di fotografie che ne serbano il ricordo.

 

"...ed il moto si riconduce all'equilibrio. Movimento senza vita, semplice traslazione in cui quel che si sposta rimane invariato..."

 

Nel De natura deorum, Cicerone osservava che “se ti capita di osservare un orologio a sole o una clessidra ad acqua comprendi subito che l’indicazione dell’ora è dovuta all’arte del costruttore e non al caso”. Il suo argomento per analogia puntava a riconoscere una ragione, una capacità inventiva alla natura e sarà poi ripreso da quanti affidano le meraviglie del nostro mondo all’opera del Creatore. I corpi sono macchine uscite dalle mani di Dio, scrive Cartesio, ben superiori alla tecnica di quegli artigiani che costruiscono orologi di mirabile precisione. La grande quantità di ossa, muscoli, nervi, arterie, vene e tutte le altre parti che sono nel corpo di ogni animale, è “come una macchina fatta dalle mani di Dio e quindi ordinata incomparabilmente meglio e capace di movimenti più meravigliosi di qualunque altra gli uomini possano inventare” (Discorso sul metodo). Quando vedo un orologio, scriveva Voltaire, sono indotto a pensare che un essere intelligente ne ha progettato il meccanismo; ed in modo analogo, l’osservazione del funzionamento del corpo umano mi porta a concludere che “un essere intelligente ha progettato questi organi per essere nutriti all'interno del ventre materno per nove mesi; gli occhi per vedere, le mani per afferrare e così via” (Trattato di metafisica,1736).L’argomento del “disegno intelligente”, trattato con cautela da Voltaire, troverà la sua formulazione più nota nelle pagine della Teologia naturale (1802) del reverendo William Paley. Quando, nell’attraversare una brughiera, trovo per terra un orologio, dovrei necessariamente concluderne che deve essere esistito un artefice in grado di progettarlo e fabbricarlo: “Ogni indicazione di ingegnosità, ogni manifestazione di design che esistessero nell’orologio, esistono nelle opere della natura; con la differenza, da parte della natura, di essere più grandi e migliori ancora, e in numero incalcolabile».

 

Ma la metà dell’Ottocento vede la morte sia dell’orologio che dell’orologiaio. Non c’è infatti bisogno, argomentò Darwin, di far ricorso all’ipotesi di un agente sovrannaturale per le opere della natura, visto che la selezione naturale offre un’alternativa plausibile al “disegno intelligente” come spiegazione della complessità biologica. O forse, la professione di orologiaio, che lo costringeva ad affaticare gli occhi, aveva reso Dio cieco, ha suggerito Richard Dawkins. L’affascinante e variegata complessità degli organismi è l’esito non casuale di processi di selezione naturale che rendono superflua l’idea dell’operare di un’entità sovrannaturale. Un sistema di selezione cumulativa, in cui ad ogni passo i miglioramenti vengono messi alla prova, scartando le soluzioni meno efficienti, è la soluzione che la natura ha messo in atto per produrre ordine dal caos, ottenendo risultati strabilianti, in grado di sfidare le leggi di probabilità. “L’unico orologiaio in natura sono le forze cieche della fisica”; un orologiaio progetta e prevede in vista di un fine, la selezione invece è un processo cieco, automatico, senza anticipazione cosciente. La selezione naturale è l’orologiaio cieco, non vede innanzi a sé, non pianifica le conseguenze, non ha in vista dei fini, eppure è in grado di produrre la perfezione dell’occhio o il meccanismo della ecolocazione del pipistrello.

 

Il migliore modello del cosmo-orologio dell’età moderna è stato fornito dall’astronomia, dal regolare e sicuro procedere delle traiettorie dei corpi del cielo. Il caosmo dell’età contemporanea, successivo all’avvento della termodinamica, trova la sua espressione esemplare nel campo dei fenomeni meteorologici: sistemi fluidi dove miriadi di particelle mescolano ordine e disordine, fino a produrre l’incerto e imprevedibile andamento delle nuvole. Ce lo ha ricordato Karl R. Popper: “Con le nuvole intendo rappresentare sistemi fisici che, al pari dei gas, sono altamente irregolari, disordinati e più o meno imprevedibili […]. All’altro estremo possiamo porre un pendolo molto esatto, un orologio di precisione, col quale intendiamo rappresentare sistemi fisici regolari, ordinati e altamente prevedibili nel loro comportamento” (Conoscenza oggettiva). L’atteggiamento della tradizione filosofica e scientifica non è stato molto diverso da quello di Franz, un bambino autistico, personaggio del romanzo Le Meteore di Michel Tournier. Franz possiede la capacità di stabilire in pochi secondi quale giorno della settimana fosse in una data qualsiasi degli ultimi secoli. La certezza che il 12 febbraio del 412 fosse un giovedì lo rassicura nei confronti dell’instabile successione degli eventi atmosferici; il tempo (time) astronomico, su cui si modella la regolare successione del calendario, rassicura e consola nei confronti del tempo meteorologico (weather). Ma la saggezza popolare dei proverbi, indizi che prefigurano l’andamento delle giornate, non basta a colmare il divario fra cronologia e meteorologia; le intemperie rendono impuro l’ordine del calendario, un temporale imprevisto condurrà Franz alla morte. Prevediamo il momento esatto di un’eclissi, ma non siamo sicuri di poterla osservare, qualche nuvola potrebbe ostacolarci la vista.

 

 

Bibliografia

Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia (1940), in Angelus novus, Einaudi, 1962

Henri Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, Cortina, 2002

Henri Bergson, Durata e simultaneità, Cortina, 2004

Richard Dawkins, L’orologiaio cieco, 1986, Rizzoli.

Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Einaudi, 1977

Michel Serres, Hermès IV. La distribution, Editions de Minuit, 1977

Michel Serres, Jules Verne, Sellerio, 1979

Michel Serres, Passaggio a Nord-Ovest, Pratiche, 1984

Norbert Elias, Saggio sul Tempo, Il Mulino, 1986

Karl R. Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, 1975

Ilya Prigogine, Isabelle Stengers, La Nuova Alleanza, Einaudi, 1981

Ilya Prigogine, La nascita del tempo, Theoria, 1988

Michel Tournier, Le Meteore, Mondadori, 1979

Jules Verne, Mastro Zacharius, Passigli, 2005

 

Disegni di Anna Enrica Passoni.

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