L'ordinamento Universitario

22 Novembre 2013

Dopo avere seguito le mie lezioni di Teoria e Metodo dei Mass Media, che tenevo alla facoltà di Grafica e Art Direction, in un noto istituto di alta formazione italiano, molti studenti mi hanno testimoniato di non sentirsi per niente arricchiti nel loro bagaglio di conoscenze in quella Facoltà. Sostenevano d’aver arricchito il loro savoir faire, ovvero di essersi meglio attrezzati per erogare un servizio.
 
Questa situazione è tipica della tendenza attuale dei corsi skill-oriented che hanno colonizzato l'alta formazione nel nome di una proceduralizzazione e linearizzazione delle forme di conoscenza. Entrambe queste azioni sono assoggettate e sottoposte al dominio di uno 'scopo': il lavoro, che è trasformato nel 'fine' stesso dell'alta formazione. Non si insegna più per fare acquisire un bagaglio di conoscenze, ma si insegna il fine della managerializzazione, ovvero un obiettivo profetico.
 
Secondo Sergio Bologna, uno dei più interessanti e validi teorici del lavoro postindustriale, la competenza – in inglese skill – non rientra nella sfera del lavoro di conoscenza, quello maggiormente diffuso oggi, se non l'unico nel futuro. La conoscenza per sua natura è un lavoro extra mercato, svincolato da un prodotto specifico o dalle necessità del “produrre”. La conoscenza è legata all’“inventare”, all’“innovare”, al rompere gli schemi, a “liberare” e a liberarci.
Il problema è che non è più chiaro se l'Università debba insegnare competenze-skill o invece conoscenze.

 

 

L'istituto di alta formazione serve per acquisire skill, strumenti per gestire e/o risolvere problemi concreti nelle procedure del lavoro, o per acquisire capacità di adattamento complesse, come dispositivo di una continua creazione e cura del sé (Foucault, 1984)? La conoscenza implica la produzione di una continua capacità d’inventare e innovare, che s’adatta molto bene a quest'epoca informazionale, caratterizzata da una innovazione accelerata, il cui soggetto non è più l'uomo moderno inserito in una storia lineare, bensì un soggetto postindustriale in perenne fase evolutiva, proiettato in una dimensione quantica dei significati e dei saperi.

 

La conoscenza si fonda sulla “libertà di pensiero”, per questo i più fecondi e noti dispositivi didattici provengono praticamente tutti dall'ambito delle Scuole Libertarie, dalla Jàsnaja Poljàna di Lev Tolstoj alla Sands School di Ashburton, essendo la stessa conoscenza un processo libertario fondato su due asset cibernetici: il conflitto di forze in perenne antagonismo tra loro, e la libertà entropica dell'espressione di questo stesso conflitto.

 

Questa conflittualità è a fondamento di ogni conoscenza, basti pensare alla metafisica e all'ontologia, due discipline prettamente anarchiche! La conoscenza vista come un processo ha prodotto sia il pensiero sociale che quello libertario conservatore, entrambi poli di un motore conoscitivo specifico dell'uomo. Queste Scuole hanno come compito e scopo la risoluzione del conflitto attraverso strumenti, norme e regole, che rendono ragione dell’entropia prodotta attraverso la pratica della ricerca aperta, e delle norme e regole ad essa correlate, da essa giustificate e rese tollerabili.

 

 

La ricerca è quindi il motivo normativo dell’alta formazione, poiché la ricerca è sia pensiero che norma, è equilibrio, 'ratio', ovvero pattern riconoscibile, forma che si ripropone ed è riproponibile, divenendo così norma.

 

Lo skill invece è sempre circoscritto a qualcosa di finito e quasi di cogente, com’è caratteristico di tutte le attività che devono essere quantificabili, descrivibili e prevedibili.
La conoscenza non può essere mai prevedibile, tanto quanto la competenza è fondata sulla prevedibilità.

 

Ma nell'epoca informazionale, l'innovazione è al centro dei processi perché i significati non sono più nel tempo. Oggi il significato è flottante e quello che occorre imparare è gestire tutte queste infinite forme di entropia. Oggi, mentre gli skill di processo conoscono un’obsolescenza, che diventa velocissima, se sono tecnologici, il metodo appare al contrario è un bene durevole, e il pensiero critico un investimento sul futuro.

 

Perché il soggetto postindustriale si muove riscrivendo in tempo reale la mappa del territorio che percorre, simile a un voyager, un esploratore di frontiera, che deve essere in grado di riconoscere i segni ricorrenti per creare un fondo su cui, con un'operazione gestaltica, innescare un processo di verità per orientarsi.

 

 

Ma l’università della riforma e del Processo di Bologna fornisce competenze, non conoscenza. L’ordinamento universitario, sempre più specialistico e compartimentato, non contribuisce a creare conoscenza né cultura come trasformazione sociale. Quindici anni fa, quando Sergio Bologna ha iniziato a enucleare i temi del lavoro autonomo, ha avuto necessità di creare una “Libera Università”, recuperando il significato originario del termine universitas: comunità di persone animate dagli stessi interessi.

 

Oggi l’innovazione di pensiero deve liberarsi della macchina universitaria: è impossibile avere libertà di pensiero nel format della produzione accademica. Dall’economia alla sociologia, dalla filosofia alla letteratura, nelle scienze umane in generale, il format del prodotto accademico è concepito con lo scopo di legittimare la macchina esistente, è un meccanismo autoreferenziale.

 

Ma se viene compresa l'importanza dei corsi di conoscenza e la centralità della ricerca aperta, la macchina molto probabilmente si rinnoverà dall'interno, secondo un modello di cibernetica di secondo ordine.

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