Lo splendore di un colore / Alain Badiou. Vediamo tutto nero?

2 Maggio 2017
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Lo splendore del nero. Filosofia di un non-colore è il titolo del libro di Alain Badiou, appena pubblicato da Ponte alle Grazie nella traduzione di Michele Zaffarano: filosofia sostituisce il francese éclats, propriamente: schegge, frammenti autobiografici e notazioni artistiche e scientifiche sul tema del nero. 

 

L'autobiografia prende avvio con un cupo «nero militare», il nero della notte invernale nella camerata in cui la stufa nera a carbone è stata appena spenta per evitare il pericolo del monossido di carbonio e i soldati «insalsicciati» nelle ruvide coperte militari intonano la canzone di Johnny Halliday, Noir, c'est noir!

Ma i ricordi del servizio militare rimandano ancora più indietro, all'infanzia: al gioco nel quale il buio più completo nasconde qualcosa che non si deve vedere, sapere e ricordare, qualcosa che, quando si accende la luce, propriamente non c’è più; alla paura di un cane nero che ti segue nel buio della notte su un sentiero di montagna; al nero del sesso, sfumato da una nuvoletta bianca, nelle riviste pornografiche del tempo.

 

Nei ricordi di scuola il nero è il nero dell'inchiostro dalla cui materia si può «estorcere» il senso che si cristallizza nella parola scritta, di contro alla pulsione disordinata delle macchie e dei grumi di inchiostro. Ma è anche il nero della lavagna sulla quale il gesso bianco traccia le linee astratte delle costruzioni geometriche, che non possono che diventare confuse nell'attuale uso dei pennarelli colorati sulla lavagna bianca.

 

Lo spirito cartesiano che Badiou con orgoglio rivendica a se stesso gli faceva poi notare che la matita nera non è appunto nera, ma grigia, così come le nuvole nere non sono esattamente nere, come non lo è nemmeno l'inchiostro che esce dalle nostre stampanti.

 

Con queste osservazioni passiamo alla seconda parte del libro che si occupa delle dialettiche del nero. Notiamo che qui Badiou parla di dialettiche, al plurale, conforme al percorso della sua filosofia che, nell'ambito di un persistente riferimento al marxismo, continua a confrontarsi con il pensiero di Hegel, cercando una nuova lettura del suo procedere dialettico tra logica e fenomenologia.

 

Il primo passo è quindi in relazione alla scienza fisica, nella quale il nero è assenza di luce, pura mancanza di colore. L'opposizione di bianco e nero non è in tal caso una vera opposizione, nasconde invece una complicità: il bianco e nero della fotografia fa «venir meno» il colore reale (p. 38). Ma allora – si chiede Badiou – perché diciamo: veder tutto nero? sarebbe forse meglio veder tutto bianco? 

 

Ma anche del bianco – aggiunge – dobbiamo diffidare. Del nero certo: del nero dell'animo umano, del nero di Satana, perché rappresenta l'opposto della purezza, ma il bianco della purezza non basta a respingere il nero nei suoi limiti, esso è semplicemente il «fantasma dell'ignoranza» (p. 42), il bianco delle spose che – come Cappuccetto Rosso (sic) – non hanno ancora visto il lupo.

 

Molto interessante il riferimento dell'autore all'opera di Pierre Soulages, il pittore del nero, di quello che lui chiama l'oltrenero, un nero che riflette la luce, che vuole riproporre il nero tracciato sulle pareti di una grotta preistorica per dipingere una certezza luminosa, un gesto sacro privo di Dio. Badiou continua anche qui a parlare del nero come di un non-colore: scrive che il nero dei quadri di Soulages diventa il supporto di una luce altra rispetto alla luce, una sorta di luce oltre la luce. 

 

 

La duplicità del nero si rivela anche nella storia politica, nella quale il nero delle bandiere sembra accomunare anarchici e fascisti, ma l'autore, che rifiuta di identificare il rosso di Stalin con il nero di Hitler, tanto più respinge la presunta parentela tra bandiere nere di opposte fazioni politiche: richiamandosi alla dialettica maoista che non fonde il due in uno, ma divide l'uno in due, sostiene che essa lacera il nero, che diventa da un lato emblema delle camicie nere di Mussolini, delle uniformi e della svastica dei nazisti, nonché della bandiera dello Stato islamico, dall'altro diventa simbolo del paziente lavoro di organizzazione in seno al popolo: questo secondo nero tende a diventare rosso, come dimostrano le bandiere rosso-nere di alcuni gruppi anarchici: «diciamo allora che in materia di bandiere esiste il nero-nero nichilista e il nero-rosso comunista» (p. 52).

 

Nei capitoli seguenti Badiou esamina il nero dei preti, richiamato anche nel romanzo Il rosso e il nero di Stendhal, dove il rosso assume i significati dell'istinto, della passione, del sangue e della rivoluzione. Il nero però con tutte le sue sfumature – che vanno non dal nero al bianco, ma dal nero-nero al nero-rosso – acquista una dimensione esistenziale che caratterizza altri momenti della letteratura e della poesia, come nelle canzoni del gruppo rock francese Noir Désir degli anni Novanta.

 

Ritorna poi, nella parte terza del libro dal titolo Vestizioni, il tema dell'eros, del lutto e della morte, con un breve excursus sull'umorismo nero, in bilico tra il pianto e il riso. Nei vestiti poi la duplicità del nero si declina nel segno dell'eleganza semplice, ma anche nel segno di una pesante e ostentata complicazione delle code nere del frac e dei cappelli a cilindro.

 

Il nero della scienza fisica nasconde invece, secondo l'autore, la nostra ignoranza mascherata dall'espressone "materia oscura". L'oscurità – intesa in un senso diverso – caratterizza anche il mondo vegetale che rimane aggrappato all'oscurità della terra, come ha ben visto Victor Hugo che descrive «l'albero visto dalla parte delle radici» nella poesia Il satiro (cfr. pp. 84-85). Nel mondo animale invece il nero appare pacificato, onnipresente e tollerante: solo gli uomini hanno mutato in maleficio il nero del corvo e del gatto.

 

Non poteva mancare nello scritto di questo autore, molto impegnato, una parte conclusiva sul razzismo: di che colore sono i negri? si chiede Badiou citando Jean Genet. E aggiunge con il solito spirito cartesiano: «un bianco è forse bianco?». I colori, conclude, non hanno alcuna relazione e non la devono avere con le politiche dell'emancipazione: «L'umanità in quanto tale è senza colore» (p. 105).

 

In questa conclusione, ma anche in tutto il suo percorso, la dialettica del nero di Alain Badiou si rivela molto articolata e differenziata, capace di aderire ai diversi ambiti che prende in esame, senza incorrere in generalizzazioni e trasposizioni affrettate, rivelandosi come una vera e propria fenomenologia del nero. L'assunto teorico che del nero debba darsi una dialettica è forse all'origine della considerazione del nero come un non-colore, tesi che ha come conseguenza la presa in esame di artisti che hanno lavorato solo con il nero e non con il nero e altri colori. Del resto le tele di Soulages sembrano proprio dimostrare che il nero è un colore, rivelando le vibrazioni e la luce del suo oltrenero, lo splendore del nero.

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