Tutti gli animali sono inestimabili 

13 Dicembre 2023

“È così pieno di meraviglie il mondo in cui viviamo. Dovremmo svegliarci al mattino e, indossando i pantaloni, ricordarci del cavalluccio marino, urlare di stupore e non smettere di urlare finché non ci addormentiamo, e lo stesso il giorno dopo, e quello dopo ancora. Un singolo cavalluccio marino conterrebbe abbastanza meraviglia da mettere al tappeto l’intera umanità, se solo l’umanità volesse farci caso”. È una rivoluzione dello sguardo, quella che ci richiede Katherine Rundell nel Catalogo degli animali inestimabili (edito da UTET con illustrazioni di Talya Baldwin e traduzione di Chiara Baffa).

Impariamo a guardare quanto ci circonda. Cerchiamo nella vita la bellezza. Che esiste, è lì, alla nostra portata, se, appunto, ce ne vogliamo accorgere, come l’autrice – docente di letteratura inglese a Oxford – dimostra ricostruendo tutte le sorprese che si trovano nel mondo animale. Il suo “bestiario” ci spiega da dove ha origine la “meraviglia”. Due sono le fonti: la prima è costituita da quanto sono e fanno gli organismi animali; la seconda da quello che gli esseri umani hanno immaginato intorno a loro. Sguardo scientificamente esatto e madornali errori, di cui si sono spesso appropriati letteratura e folklore, procedono a braccetto nel delineare la stratificazione del vivente. Sul piano delle fertili fantasie scatenate dal regno animale il “catalogo” di Rundell è una miniera di preziose e curiose sorprese. Scopriamo che i lemuri (l’etimo non lascia dubbi, sono i “fantasmi”) quando puntano addosso il loro lungo dito medio profetizzano la morte; che le foche, assumendo tratti umani, maschili o femminili, nelle saghe nordiche diventano i “mutaforma” più “elusivi ed arcani”, i cosiddetti “selkie”; che gli orsi nascono informi, come scrive Caio Plinio nelle Storie naturali, ed è la madre a dar loro il sembiante, leccandoli; che il corno dell’inesistente unicorno, compreso quello che lo zar Pietro il Grande volle avere con sé sul suo letto di morte, è la zanna del narvalo; che alle Hawaii si ritiene che il corvo conduca le anime dei morti nell’Aldilà; che le lepri, “pozioni d’amore viventi”, sono tra gli animali più ambivalenti: sacre ad Afrodite per via della loro eccezionale fertilità, considerate ermafrodite da Aristotele nell’Historia animalium, e poi espressione dell’amore omosessuale; ma, anche, in epoche successive, avvicinate alle streghe, preannuncio di calamità, figura della Trinità (il ricorrente motivo delle tre lepri con le orecchie intrecciate) e talvolta abbinate alla Vergine.

Se il lupo è il “simbolo su cui riversare le nostre paure e le nostra sfiducia nel mondo” (spesso nel passato il termine lupo indicava il cancro), del riccio si è a lungo pensato che raccogliesse frutti con i propri aculei e che il suo grasso, mescolato a quello di orso, fosse una cura per la calvizie. Mentre i cavallucci marini sono i destrieri di Poseidone, le cicogne sono i corrieri, la cui fama di portare i neonati a destinazione nasce o dalla mitologia slava, dove conducono le anime non nate da Vyraj, il paradiso primaverile, alla terra; o dalla mitologia classica, dove la regina dei Pigmei, Gerana, trasformata in una gru (non è una cicogna ma il mito è questo) dalla gelosa Era, salva il suo bambino portandolo nel becco. Tra le vittime predilette dei nostri fantasiosi errori ci sono soprattutto i ragni, a partire dall’idea della loro presunta letalità. Nel XVI e XVII secolo si pensava che il morso della Lycosa tarantula fosse curabile soltanto con una danza frenetica, per cui venivano preparati degli spartiti musicali curativi come l’Antidotum tarantulae di Athanasius Kircher. Un destino, quello della paura suscitata dalla loro presenza, che riguarda anche i pipistrelli, associati ad azioni oscure e al vampirismo (a loro preesistente) dopo la scoperta del pipistrello vampiro in Sudamerica nel XVI secolo; meno noto, forse, è che con insospettabile frequenza ricorrono come ingredienti nelle ricette per l’invisibilità. 

Appare quasi scontata una prima conclusione. L’errore è segno di qualcosa di più, di un’appartenenza dell’uomo a un piano simbolico che nasceva dalla contiguità con gli altri animali. Una contiguità negata magari nel passato sul piano intellettuale (teologico-filosofico), ma continuamente vissuta nell’esperienza. Per cui, scrive Rundell, “i vecchi errori sono fantastici e fantasiosi, e rivelano le speranze e le ansie degli esseri umani”. Ma il punto è che gli errori continuiamo a commetterli, anche se facciamo più fatica ad ammetterlo, perché ci fidiamo della sensazione che oggi tutto sia filtrato da una razionalità diffusa. Tra quanto accadeva e quanto accade c’è però una differenza. L’errore del presente nasce dal vuoto, dall’indifferenza, dalla distanza tra uomo e animali. Ed è qui che si posiziona il libro di Rundell, nello spazio che ci divide dal vivente. Perché è in questa area desertificata – da cui abbiamo bandito “lo stupore, l’attenzione e l’amore” – che si insedia l’indifferente spirito distruttivo dell’uomo contemporaneo.

Ci siamo dimenticati quanta bellezza andiamo ogni giorno annientando con l’estinzione delle altre specie. Quello che può sembrare un leggero e dolcemente ironico transito attraverso le forme del vivente, diventa allora un discorso politico, nel senso più nobile del termine. Tra ecosistemi che annaspano e dolorose scomparse, Rundell sottolinea come ci sia ancora “molto da salvare”. Per riuscirci, “la paura e la rabbia possono galvanizzarci, ma da sole non sono sufficienti: dovrà essere la nostra amorevole attenzione a spingerci all’azione”. Il libro assume la forma del “corteggiamento”. Il lettore deve essere sedotto. E l’arma più affilata per riuscirci diventa proprio quella dell’avvicinare le altre creature “dicendo la verità”, andando cioè là dove la scienza e l’estetica ci conducono. Perché, come suggerisce Rundell, in fondo non c’è nulla di più meraviglioso che aprire gli occhi su quanto gli animali possono fare e soprattutto su quello che appaiono ai nostri occhi.

La vera fonte di sorprese è proprio la natura e gli esempi forniti da Rundell sono numerosi e davvero capaci di lasciarci incantati. Ne elenchiamo alcuni, in ordine sparso, partendo dal vombato, lo squalo della Groenlandia, che detiene il primato di longevità: qualche esemplare ha superato i 600 anni, diventando “la cosa più vicino all’eterno” che si conosca. Con la giraffa, “concettualmente disordinata” secondo il poeta latino Orazio, non abbiamo risolto l’enigma del collo lungo. A cosa serve? Non sembra, come riteneva Darwin, che dia vantaggi nell’approvvigionarsi di fogliame. Più probabile che entri in gioco il necking, la battaglia tra maschi per stabilire l’elemento dominante, che spesso è preludio dell’attività sessuale tra gli stessi contendenti, a testimonianza della prevalente omosessualità della specie. Ma il collo è anche all’origine di un’altra abitudine delle giraffe, quella di bere soltanto ogni tre o quattro giorni. Si tratta in effetti di un’operazione laboriosa, che, per evitare svenimenti nel momento in cui si piega la testa verso il basso, richiede la chiusura della vena giugulare. Tra le creature straordinarie, c’è il rondone, “perfetto per il cielo”: il suo corpo pesa meno di un uovo di gallina.

Tutta la sua vita avviene in volo: mangia, dorme e si accoppia senza mai scendere a terra. Mediamente i rondoni non si posano per dieci mesi, ma alcuni sono arrivati a non farlo per quattro anni. Sono gli uccelli più veloci nel volo orizzontale, il record è stato raggiunto con 111,6 chilometri orari. Chi invece vive entrando nelle “case disabitate” è il granchio eremita, che è solito trovare riparo nei gusci di conchiglia vuoti: dopo averli occupati, li mimetizza circondandoli di anemoni. C’è chi rivela qualità insospettate: alcune foche possiedono un’eccezionale facilità di apprendimento del linguaggio umano, e una delle loro specie, quella degli elefanti marini, ha la capacità di trattenere il respiro per due ore grazie agli alti livelli di mioglobina che consentono di immagazzinare l’ossigeno nei muscoli, permettendo loro di raggiungere i due chilometri di profondità nelle fredde acque oceaniche. Degli orsi sono infinite le meraviglie. L’orso bruno di Kodiak modifica radicalmente il proprio corpo nel corso della vita, passando dai 500 grammi alla nascita ai 680 chili da adulto. Gli orsi che vanno in letargo trascorrono più di cento giorni senza mangiare, bere e urinare. Nonostante sia uno dei nostri animali-guida (si pensi alla diffusione degli orsacchiotti di peluche), i rapporti tra uomo e orso non sono sempre estranei al rischio.

Ogni anno nel mondo si verificano quaranta attacchi di orso all’uomo, il 20% dei quali ha esiti mortali. Il narvalo è tra i mammiferi meno conosciuti. La sua zanna, che può raggiungere i 25 centimetri di larghezza alla base, contiene 10 milioni di terminazioni nervose. Il narvalo è solito strofinarla sulla zanna di un altro narvalo per trasmettergli informazioni sulla salinità dell’acqua (e quindi sulla probabilità di congelamento). Talvolta, però, la usa per stordire altri pesci o come mezzo di corteggiamento. Il suo problema, abitando nei mari più freddi, è mantenere il calore: da qui derivano il corpo slanciato e l’alta percentuale di grasso che lo caratterizza. I corvi, è noto, sono tra gli animali più intelligenti, capaci di serbare rancore e di essere spietati come nemici e straordinari come alleati. Alla ferocia – non esitano a beccare gli occhi degli agnelli appena nati – uniscono notevoli abilità artigianali, creando strumenti con i ramoscelli degli alberi. Il corpo del riccio è cosparso di 6000 aculei cavi, che spuntano subito dopo la nascita. I ricci sono utili per disinfestare, visto che si nutrono di insetti. Immuni al veleno della maggior parte dei serpenti, possono soffrire della curiosa “sindrome del palloncino”, quando una glottide in cima alla trachea si blocca ostruendo il passaggio dell’aria: il corpo si gonfia fino ad essere “più del doppio delle sue dimensioni abituali e deve essere bucato come un palloncino”.

La proboscide dell’elefante è la fusione del labbro superiore e del naso ed è un portentoso concentrato di recettori olfattivi, ben 2000 contro gli 800 dei segugi, che consentono di individuare la presenza dell’acqua a tre chilometri di distanza. Con la proboscide gli elefanti comunicano, ma prevalentemente si servono della laringe con cui trasmettono suoni a così bassa frequenza che noi non possiamo percepirli. Il cavalluccio marino appartiene all’unica specie in cui a partorire è il maschio: la femmina deposita le uova nella sua tasca addominale e, dopo una gestazione che va da due a sei settimane, il maschio erutta una fantasmagorica pioggia di minuscoli cavallucci. La procreazione per i cavallucci è così importante che li spinge a costituire coppie monogame e fedeli per avere il maggior numero possibile di gravidanze. L’accoppiamento prevede una specie di balletto, in cui producono un suono simile a uno schiocco (l’altro verso che hanno a disposizione è un minuscolo ringhio gutturale). Non avendo lo stomaco, devono mangiare continuamente, ma avendo mandibola e mascella unite, non potendo masticare, devono aspirare plancton e crostacei.

La strana postura “in piedi” del cavalluccio potrebbe essere la conseguenza di antichi spostamenti tettonici che hanno creato nelle acque delle praterie di alghe, da cui il cavalluccio si è districato mettendosi in posizione verticale. Il suo antenato, sul piano evolutivo, potrebbe essere stato il pesce pipa. Il pangolino è l’unico mammifero dotato di squame, con una lingua più lunga del corpo. Per evitare problemi la tiene arrotolata in una tasca situata vicino al fianco. Grazie a una cicogna che nel 1822 arrivò dall’Africa centrale in un villaggio tedesco con una lancia da 70 centimetri nel collo, si è chiarito il mistero della scomparsa degli uccelli in inverno, risolvendo dubbi millenari. Alla cicogna spetta anche un altro primato. L’aeronauta tedesco ottocentesco Otto Lilienthal si basò proprio sul suo corpo per progettare i primi modelli di aliante. I tanto temuti ragni – ma la causa dell’aracnofobia non è stata chiarita, forse ha a che fare con gli angoli retti delle zampe – realizzano qualcosa di unico con le ragnatele che, in alcuni casi, sono infinitamente più resistenti dei fili d’acciaio. Ma soprattutto i ragni servono.

A cosa? Ogni anno mangiano da 400 a 800 milioni di tonnellate di insetti ed altri parassiti. Di fatto si nutrono di chi mangerebbe il nostro cibo, evitando carestie e pestilenze. Che i pipistrelli si muovano al buio con l’udito e non con la vista, che pur possiedono, è stato scoperto da Lazzaro Spallanzani nel 1793; più recente è la scoperta che, se li sentissimo gridare, ne rimarremmo assordati. Grandi come grizzly, velocissimi – il loro nome significa “sfrecciare” – i tonni sono tra i pochi pesci a sangue caldo. Non dipendendo dalla temperatura del mare, vanno ovunque e mangiano di tutto, compreso il mercurio che non riescono a disperdere e li rende non del tutto idonei a finire nei nostri piatti. E poi c’è lei, la talpa dorata, l’unico tra i mammiferi che possiede l’iridescenza, anche se non la può vedere, perché, vivendo prevalentemente sottoterra, è cieca, con gli occhi coperti da uno strato di cute e pelliccia. 

Per tutti gli animali nominati, Rundell sottolinea il pericolo a cui sono esposti. Non c’è una di queste specie che non stia rischiando di scomparire. Saranno la meraviglia e la bellezza a salvarle? 

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