Anna Kańtoch. Thriller dalla Polonia

29 Gennaio 2024

La letteratura polacca ha dato autorevolmente i natali a vari premi Nobel. Dall’autore di Quo Vadis Henryk Sienkiewicz nel 1905 al poeta e scrittore Czesław Miłosz nel 1980 alla poetessa Wisława Szymborska nel 1996 ad Olga Tokarczuk, nel 2019. Non solo: sono circolate e si sono affermate opere di respiro mondiale quali, tra le molte, Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki, I fratelli Ashkenazi di Israel J. Singer fratello di Isaac Singer, Il pianista. Varsavia 1939-1945 di Władysław Szpilman, Trans-atlantic e Cosmo di Witold Gombrowicz, Le botteghe color cannella di Schulz, Per non parlare di Stanisław Lem e il suo Solaris, pietra miliare della letteratura fantascientifica (per un affresco vedi Luigi Marinelli, Storia della letteratura polacca, Einaudi, 2004). Detto ciò, poco si sa del versante giallistico. Sparute sono state le comparse in italiano, da Marek Krajeski (per Einaudi Morte a Breslavia, Fine del mondo a Breslavia, Fortezza Breslavia) a Zygmunt Miłoszewski, (per Voland Il Caso Costellazione e Il Citofono), da Katarzyna Bonda, (da Piemme Non esistono buone intenzioni, Nessuna morte è perfettaOgnuno è carnefice e Il caso Nina Frank) a Krystian Bala, autore di Amok che conteneva inquietanti e implausibili analogie con l’omicidio di un imprenditore come il modo in cui il cadavere è stato seviziato tanto da costargli la condanna a 25 anni di carcere (Graan, Il demone di Sherlock Holmes, Corbaccio 2011).

In questo scenario che si presenta rarefatto risulta che si stia dilatando la passione per il genere, con una forte crescita delle pubblicazioni, dai 4 del 2003 ai 112 del 2013 secondo i dati rilevati.

Non si discosta dal modello Anna Kańtoch, autrice di svariati titoli del filone fantastico “new weird” che contamina fantascienza, fantasy e horror, che si presenta nel mondo del giallo. In Italia, dopo Buio (Carbonio, 2017) e Gli incompiuti (Moscabianca Edizioni, 2023) compare ora La primavera degli scomparsi (Voland 2023) segnalato come primo capitolo di una trilogia già insignita in Polonia come miglior romanzo poliziesco.

La protagonista è Krystyna, una nonna di 73 anni un po’ speciale. “Invece di dondolare la nipote sulle ginocchia e guardare con lei i cartoni animati, una volta le avevo mostrato l’arma di servizio e avevo raccontato che effetto fa uccidere una persona, e forse nelle mie parole era mancata la giusta dose di orrore o di condanna». Poliziotta ormai fuori servizio vive a Katowice nell’Alta Slesia e conduce un’esistenza piatta, dedicandosi agli hobby tipici dei pensionati, quali la cura del giardinaggio, le passeggiate con le racchette, la visione di serie televisive con la predilezione per “quelle di carattere storico e i polizieschi leggeri dove in quarantacinque minuti uomini attraenti e belle donne risolvono gli enigmi più. complicati con una pausa per un drink a bordo piscina o per un flirt sullo sfondo dell’oceano».

Ma cosa capita? La Kańtoch si serve dello schema classico delle “due indagini” analizzato minuziosamente da Todorov (“Tipologia del romanzo poliziesco” in Poetica e prosa, Theoria, 1989). Vengono separati dall’autore due momenti dalle caratteristiche storiche, cronologiche e narrative diverse: da un lato l’indagine sul crimine e dall’altro quella sul passato dei protagonisti che via via si affacciano nel romanzo. In altri termini una duplice domanda attende una risposta: come si giunge a smascherare l’autore del delitto e come si sono sviluppate le storie precedenti degli attori della storia.

Circa il passato il nastro si riavvolge facendo emergere nitidi ed incombenti fantasmi. Una fotografia in bianco e nero del 1963, quindi di circa sessant’ anni prima, mostra alcuni ragazzi e ragazze di età tra i ventidue e i ventiquattro anni, con pesanti zaini da viaggio, in procinto di partire per un'escursione sui Monti Tatra, in Polonia. Tra questi vi è Romek, fratello di Krystyna che non dimentica l’ultimo saluto. «Ho sotterrato due mariti, ho lavorato per trent’anni nella polizia, ho messo al mondo due figli e visto diventare grandi i nipoti. Eppure una parte di me è rimasta su quella banchina e non è mai cresciuta». Di quegli amici, erano cinque, solo Jacek, quello dal “sorriso sul viso lentigginoso”, è tornato alimentando sospetti sul suo comportamento rispetto alla tragica fine dei compagni. Krystyna da allora non si dà pace, ossessionata dal mistero sulla scomparsa del fratello. E cinquant'anni dopo, in un giorno qualunque, si imbatte in un anziano signore al supermercato, «è imbiancato, incurvato, coperto di rughe, ma è sempre lui», è sempre Jacek. Da questo riconoscimento, peraltro non risolutivo perché risulta che quella persona ha diversa identità, prende avvio il romanzo.

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Decolla così l’indagine sul presente, la classica inchiesta giudiziaria. E Krystyna, sospinta da una molla inesauribile, si mette alla caccia pronta a scatenare la nemesi nei confronti dell’uomo che crede colpevole. Si ricostruisce così la vita di Janek, che risulta dominata da una continua scomparsa, nel 1963 da scuola, nel 1993 come insegnante da un istituto come sembra ricostruire un collega di allora, Euler e poi nel 2005, con la costante permanente di non volersi far notare. 

Per una serie di imprevisti Krystyna si imbatte in un cadavere che sembrerebbe Janek e poi in una torbida vicenda di cani scomparsi e identità mistificate. Intorno a lei si agita una costellazione di personaggi, ora singolari, ora emblematici della Polonia di oggi pervasa di solitudini diffuse e di giovani sperduti.

Non è Janek però il cadavere che risulta ucciso in casa un sabato tra le sei e le dodici di sera, con le telecamere in funzione così come le luci interne sempre accese durante l’intera notte, accompagnate da un inaspettato grido lacerante. 

Ma perché costui negli ultimi decenni è sempre scappato? Da chi? Forse è perseguitato o si sente minacciato? Forse ha voluto simulare la propria morte per sfuggire a qualcuno? E poi, perché si munisce di un cane per la difesa quando poi lo lascia e si allontana misteriosamente per raggiungere una casa in campagna? Perché da quella casa qualcuno ha chiamato la polizia? L’indagine incalza in un girovagare anche geografico, tanto che Janek nel cambiare identità assume, non a caso, nomi di città storiche (p.238).

La narrazione ha una fattura classica, si snoda tra morti, inchieste, ricostruzioni, immersioni in un passato intricato. Si avverte però la mancanza di qualcosa, di un “topos” del modello poliziesco. Si tratta del luogo in cui si svolge la vicenda, come venne lucidamente sottolineato anni addietro (Rigosi, “I luoghi del romanzo poliziesco”, Delitti di carta, n.6-2000). Dal “luogo” promana l’atmosfera che diviene il vero protagonista perché è la sede di una comunità incolpevole e serena, deturpata finché non verrà scoperto il colpevole. Come suggerisce Benjamin in un minuto saggio (“Il giallo e le case borghesi”, in Il punto sul romanzo poliziesco, Laterza 1985), l’interno borghese è il luogo ideale del delitto: una zona delimitata, circoscritta, al cui interno l’omicidio è commesso ricercando tra una ristretta cerchia di persone il colpevole. Quando questi viene smascherato emerge la conflittualità di una società fino a quel momento coperta da una facciata apparentemente rispettabile. Per non parlare della metropoli come luogo, cruenta e soprattutto scatenante le devianze nell’“hard boiled” alla Chandler, mentre è disegnata più malinconica in Simenon perché non causa di degenerazione ma ispiratrice di atmosfere.

Si scorge qualche timida analogia con la giallistica scandinava di cui in Italia sono conosciuti molti esponenti, come Indriðason, Mankel, Larson, Holt tra i molti. A differenza dei gialli europei e anglosassoni esiste colà un «clima» basato su trame complesse e oscure, ma senza colpi ad effetto, i trucchi anglosassoni cari ad Agatha Christie, le ricostruzioni ambientali pur nell’amore dei dettagli, lo sfondo politico, la psicologia ricostruttiva.
Quello della Kańtoch è infatti un thriller anomalo dalle plurime traiettorie, schiacciato dall’incombenza del passato, attento all’umanità ondeggiante, dominato da un mistero di crescente complessità, costruito con intarsi e vie laterali che creano inaspettate oscurità, meticoloso nell’illustrare le scene: “C’è nessuno? aiuto! Mi ha risposto il silenzio, non quello normale che regna in una casa da cui si è usciti solo per poco ma un altro, più profondo e immobile”. Non solo: l’enigma si nobilita nel trattare anche temi forti quali l’invecchiamento, l’isolamento, la dissoluzione delle famiglie, il contrasto tra realtà e apparenza, l’impossibilità di raggiungere certezze. Il tutto incorniciato in uno stile incline a lunghe digressioni che creano ansiosa attesa, alimentato dal passaggio sincopato dei capitoli dalla prima alla terza persona narrante.

Il lettore, dubbioso, senza certezze, si imbatte nelle pagine finali in una avvertenza: «può darsi che alcuni si stupiranno che il mistero non sia stato chiarito. Mi affretto a dissipare i timori: questo filo sarà ripreso nelle parti successive della trilogia e infine sciolto». 

Non resta che attendere le puntate successive.

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