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Un verso, la poesia su doppiozero / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi

28 Novembre 2016

Ci sono alcuni versi, in tutte le lingue, che sembrano vivere di luce propria. E sembrano compendiare nel loro breve respiro la vita del prisma cui appartengono : frammenti che raccolgono e custodiscono nel loro scrigno, integro, il suonosenso della poesia dalla quale provengono. Con un solo verso un poeta può mostrare il doppio nodo che lo lega al proprio tempo e al tempo che non c’è, all’accadere e all’impossibile. In un verso, in un solo verso, un poeta può rivelare il suo sguardo, in grado di rivolgersi all’enigma che è il proprio cielo interiore e al movimento delle costellazioni, alla lingua del sentire e del patire di cui diceva Leopardi e all’alfabeto degli astri di cui diceva Mallarmé. Un verso, un solo verso, può essere il cristallo in cui si specchiano gli altri versi che compongono un testo. Per questo da un verso, da un solo verso, possiamo muovere all’ascolto dell’intera poesia.

 

Leopardi, A Silvia: il verbo da cui questo verso dipende, da cui pende come una collana, sta nel verso precedente: splendea. “Quando beltà splendea /negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi”. Ridenti e fuggitivi: due modi dell’apparire, contrastanti, accostati per la prima volta nella poesia italiana. Il riso degli occhi: nella galleria della figurazioni femminili, il lampeggiamento del riso negli occhi appartiene anzitutto alla Beatrice di Dante. Il "viso ridente", il "dolce riso" , gli "occhi rilucenti", "li occhi suoi ridenti". Un riflesso che unisce quella luce degli occhi ai cieli, il riso degli occhi al "riso dell'universo". Fisiologia dell'amore e teologia dell'amore si congiungono in questo mostrarsi della luce come sorriso. Ma questa radice teologica dell'amore è estranea al verso leopardiano.

 

Qui il riso degli occhi è circoscritto nel tempo fuggitivo dell'esistenza umana. Silvia ora è solo parvenza. Il riso degli occhi suoi lampeggia nel tempo di una mortalità crudele. È una luce che appare come già stata. Transitorietà della bellezza: John Keats questa bellezza che declina l’ha descritta anch’egli come tremito di luce negli occhi, e insieme nel paesaggio. Negli occhi della Silvia leopardiana il declino è detto dal contrasto tra lo sfolgorio del sorriso e il gelo della finitudine, tra l'onda di vita che c’è in quel sorriso e il corpo d'ombra degli ultimi versi:"... e con la mano / la fredda morte ed una tomba ignuda / mostravi di lontano". Un corpo luminoso e un corpo d'ombra. Un corpo d’ombra come l'Euridice di un bellissimo poemetto di Rilke, Orfeo, Euridice, Ermes. Negli occhi ridenti di Silvia c'è il riflesso del riso della natura, della primavera.

 

 

Questa corrispondenza tra il riso della natura e il riso degli occhi attraversa la poesia: ancora la Beatrice della Vita Nuova, Petrarca nel Canzoniere, il Tasso delle Rime, e Leopardi stesso nelle Ricordanze: "Nerina mia, per te non torna / primavera giammai, non torna amore". Ma la relazione – di velature e di contrasti – tra "ridenti" e "fuggitivi" sbalza il verso leopardiano sopra gli altri versi. È proprio questo reciproco illuminarsi e ombreggiarsi di "ridenti" e "fuggitivi" che dà al verso leopardiano il suo singolare, unico timbro. Certo, c’era già un petrarchesco "fugitivo raggio", ma si tratta di un annuncio molto parziale, perché privo di quella polisemia che sfavilla nell'aggettivo leopardiano. L’energia di quel "fuggitivi" è proprio nel legame con "ridenti". Legame assente negli esemplari di Dante, Petrarca, Tasso. Leopardi, componendo, ha variato più volte ridenti, ma non ha mai toccato fuggitivi.

 

Da "ridenti" a "fuggitivi" c'è uno slargarsi e, insieme, un incresparsi del senso: il mostrarsi luminoso dell'immagine è accompagnato, e sfumato, dal tremito di un'ombra, perché c’è nel fuggitivi il ritrarsi pudico degli occhi, c’è una verecondia che combatte con il desiderio, e c’è anche una malinconia dello sguardo, presagio del declino, della caducità. La luce degli occhi "ridenti e fuggitivi" si raccoglie tutta in un lampo. Sarà l’"éclair", il lampo, degli occhi della passante di Baudelaire, nel rumore di una strada parigina: in quel lampo degli occhi ci sarà l'esperienza di un amore non vissuto ma più forte di un amore vissuto.

 

Come non richiamare l'immagine di Silvia dinanzi al mostrarsi della passante come "fugitive beauté", come bellezza fuggitiva? La passante di Baudelaire apre la sequenza delle fuggitive: in Proust, nella poesia di Sbarbaro, di Campana, di Machado. Eppure, osservati da questi margini, gli occhi "ridenti e fuggitivi" di Silvia mostrano che è davvero irripetibile e inconfondibile il cerchio d'ombra che dà risalto al loro fulgore. Ma sia la luce sia l'ombra provengono da tutti gli altri versi del testo poetico. E dunque, a questo punto, un'altra lettura può avere inizio, seguendo ordinatamente il tempo, e il ritmo del testo poetico: "Silvia, rimembri ancora...". 

 

Un verso:

L'amor che move il sole e le altre stelle

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