Florence Price, il riscatto dell’Afro-Romantic Music 

11 Giugno 2023

«Caro dott. Koussevitzky, sfortunatamente il lavoro di una compositrice è considerato da molti, in maniera preconcetta, leggero e frivolo, privo di profondità, di logica e di virilità. Aggiunga a questo il problema della razza – nelle mie vene scorre sangue africano-americano – e comprenderà bene le difficoltà che una persona come me si trova ad affrontare…».

La lettera è datata 6 novembre 1943: chi scriveva queste parole al potente direttore di origine russa della Boston Symphony Orchestra – pregandolo per l’ennesima volta di voler esaminare le sue partiture per una possibile esecuzione – era la compositrice Florence Beatrice Price, nata Smith, che aveva allora 56 anni. Quella era la quarta volta che la musicista originaria di Little Rock, Arkansas, residente a Chicago dalla fine degli anni Venti, scriveva al maestro che regnava sulla prestigiosa e antica orchestra bostoniana da quasi un ventennio, noto per essere particolarmente interessato alla musica del suo tempo, non senza un notevole riguardo per gli autori americani. Basti dire che l’elenco delle commissioni per festeggiare nel 1931 il cinquantenario della BSO comprende la Sinfonia di Salmi di Stravinskij, il Concerto per pianoforte in Sol di Ravel, la Konzertmusik di Hindemith e ancora opere di Copland, Gershwin, Prokof’ev e Roussel.

A differenza di quanto accaduto negli anni precedenti (la prima lettera di Price al direttore russo risale al 1935), almeno quella volta l’ufficio di Serge Koussevitzky rispose, chiedendo alla musicista di spedire qualche composizione. Il che avvenne nel giro di pochi mesi, senza peraltro alcun risultato. Florence Price avrebbe trascorso il tempo che le restava da vivere – sarebbe morta 70 anni fa, il 3 giugno 1953 – scivolando lentamente nell’anonimato, nonostante negli anni Trenta avesse conosciuto una vasta notorietà e continuasse a scrivere musica di notevole impatto, che sfidava le grandi forme ereditate dal Romanticismo alla luce della sua naturale conoscenza della Negro Music. Una scelta, quest’ultima, che derivava dalla “missione” affidata ai compositori americani da Antonín Dvořák sul finire del XIX secolo. L’autore boemo, sempre attento alle tradizioni musicali popolari, era giunto a New York nel 1892 per dirigere il neonato National Conservatory e poco tempo dopo in un articolo divenuto celebre – pubblicato sul New York Herald – aveva sottolineato la necessità che il patrimonio musicale africano-americano e nativo confluisse nelle composizioni colte degli autori statunitensi.

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Florence Beatrice Price (Little Rock, Arkansas, 27 aprile 1887 - Chicago, Illinois, 3 giugno 1953). University of Arkansas Libraries Special Collections.

Questa linea era stata pienamente accolta da Price, che nel 1941 aveva chiarito a Koussevitzky: «Avendo sangue africano-americano nelle vene ed essendo nata al Sud, credo di poter dire che capisco la Negro Music altrettanto bene, se non meglio di quella che ho studiato al Conservatorio del New England». E in una lettera successiva aveva specificato: «In alcuni dei miei lavori uso questo idioma musicale in maniera diretta, in altre occasioni esso semplicemente “profuma” i miei temi. Ho una fede incrollabile che una nuova musica nazionale, molto bella e molto americana, possa venire dal melting pot, proprio come ha fatto la nazione stessa».

Sono dovuti passare oltre ottant’anni dalla prima lettera a Koussevitzky perché la Boston Symphony eseguisse la terza Sinfonia di Florence Price, una delle partiture che erano state inviate nel New England. È avvenuto nella primavera del 2019, ma già alcuni anni prima la Yale Orchestra aveva eseguito questa stessa composizione, che presenta come Scherzo, cioè al terzo movimento, un brano intitolato Juba, una Danza proveniente da Charleston, South Carolina, dov’era approdata probabilmente con gli schiavi di origine congolese. In questa pagina sembrano riecheggiare attraverso una grande orchestra le stesse istanze ritmiche, motiviche e armoniche, con sofisticata ricerca timbrica, che caratterizzano pagine ben altrimenti famose di Gershwin. Il tutto nel rispetto dello schema formale tripartito degli Scherzi sinfonici del Romanticismo. Qualcosa del genere, d’altra parte, la compositrice aveva già fatto alcuni anni prima, con la sua Sinfonia n.1, accolta inizialmente con grande interesse e favore almeno a Chicago.

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Un'immagine giovanile di Florence Price.

Fino a qualche anno fa essenzialmente limitata alle parziali presenze in qualche raccolta di Song, la discografia di Florence Price è cresciuta impetuosamente negli ultimi tempi – e con essa sono cresciute le esecuzioni dal vivo, anche nell’ambito di un Festival a lei intitolato fondato nel 2020 – in virtù di un episodio degno della sceneggiatura di una ben congegnata serie televisiva. Grazie ad esso, l’attenzione degli studiosi, degli esecutori e del pubblico si è riaccesa su un’autrice che durante la sua vita ha spesso avuto notevole difficoltà a pubblicare i suoi lavori e, come abbiamo raccontato, a far eseguire quelli più importanti per organico e dimensioni. È accaduto nel 2009, quando in una casa in ristrutturazione nel minuscolo villaggio di St. Anne, Illinois, un centinaio di chilometri a sud di Chicago, è stata trovata una quantità di manoscritti musicali. Quella era la casa dove Price trascorreva le estati negli anni Trenta e Quaranta, e quella musica era la sua: uno straordinario giacimento di composizioni credute perse, che è stato conferito, come doveva essere, all’archivio dell’Università dell’Arkansas e che ha stimolato la ripresa di un interesse sopito da oltre mezzo secolo. Perché la realtà è questa: oltre l’attività come autrice di musica didattica, della quale specialmente si occupava durante gli anni di insegnamento a Little Rock, Florence Price ha scritto tre Sinfonie, due Concerti per violino, un Concerto per pianoforte in un solo movimento, composizioni varie per orchestra, molta musica per pianoforte – comprese una Fantaisie Nègre, arrangiamento da un popolare Spiritual, e le tre Little Negro Dances. E ancora brani da camera per vari organici, per voce sola e per coro, con o senza accompagnamento di strumenti. Una produzione che la pone al centro non solo della musica classica africana-americana, ma in generale della musica americana del XX secolo, sul versante di chi cercava una dimensione originale non tanto nel modernismo, ma nella riflessione sul rapporto fra la tradizione colta europea e il patrimonio popolare degli americani di origine africana. E che ne fa una protagonista di quella che è stata definita “Afro-Romantic Music”: un percorso parallelo e autonomo, ma provvisto di molte intersezioni con il jazz. La particolarità del caso di Price è data dal fatto che si tratta di una compositrice, oltre che di un’esponente del mondo africano-americano: una donna determinata e dalla forte impronta creativa, che durante la sua vita riuscì solo in rare occasioni a sfondare il “soffitto di cristallo” che incombeva anche sulla sua arte, ma che oggi sta iniziando a raccogliere il successo che non le arrise se non in minima parte ai suoi tempi.

Florence Beatrice Smith era nata a Little Rock il 9 aprile 1887 (o secondo una recentissima ipotesi, basata su documenti trovati alla Library of Congress, il 9 aprile 1888). In quel periodo la capitale dello Stato dell’Arkansas veniva definita “Negro Paradise”, a indicare le condizioni sostanzialmente buone in cui si trovava a vivere la popolazione africana-americana. La futura compositrice apparteneva a una famiglia della middle class e fra i suoi antenati, sia per parte di padre che di madre, c’erano stati almeno un paio di bianchi. In quanto di “mixed race”, la sua pelle era meno scura di quella della maggior parte della popolazione nera. Inoltre, il fatto che i suoi genitori fossero nati liberi prima dell’abolizione della schiavitù (dicembre 1865) e avessero compiuto studi regolari e di alto livello aveva permesso loro di entrare nella cosiddetta élite africana-americana, formata da persone colte e impegnate, inserite nelle attività culturali e imprenditoriali. Il padre era un odontoiatra (fu il primo dentista nero di Chicago e il primo di Little Rock, dove arrivò dopo avere perso tutto nel “Great Chicago Fire”, il grande incendio che devastò la metropoli sul lago Michigan nel mese di ottobre del 1871) e per tutta la vita fu attivista per i diritti civili della sua gente, oltre a essere impegnato anche come scrittore e inventore. La madre aveva studiato pianoforte, e fu per questo che indirizzò la figlia fin da piccola verso la musica. Era inoltre un’abile donna d’affari, che si occupava proficuamente di attività immobiliari. Almeno fino ai primi anni del XX secolo, gli Smith erano rispettati cittadini di Little Rock e vivevano in case che rispecchiavano la loro indubbia agiatezza.

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Florence Price (a destra) con i componenti del consiglio della National Association of Negro Musicians. Teenie Harris Archive / Carnegie Museum of Art/ Getty Images. 

Era quindi naturale, per le consuetudini e le ambizioni familiari, che Florence Beatrice fosse mandata sedicenne a studiare a oltre duemila chilometri da casa, in uno dei maggiori conservatori del Paese, quello di Boston, che era anche uno dei pochi che accoglievano allievi africani-americani. Qui conseguì un doppio diploma, da organista e da insegnante di musica. Al suo ritorno a Little Rock si dedicò principalmente all’insegnamento (ma non disegnava di frequentare le chiese per suonare lo strumento prediletto) e si sposò con un brillante avvocato, Thomas Price. Tuttavia, la situazione sociale negli anni a cavallo della Prima guerra mondiale e subito dopo peggiorò in maniera radicale, con accentuate forme di segregazionismo nei confronti degli africani-americani e crescente insofferenza e violenza nei loro confronti. Secondo la musicologa africana-americana Rae Linda Brown, recentemente scomparsa, autrice dell’unica monografia finora pubblicata sulla compositrice, (The Heart of a Woman – The Life and Music of Florence B. Price, University of Illinois Press, 2020), il trasferimento della famiglia Price a Chicago, avvenuto fra il 1928 e il 1929, fu per molti aspetti una vera e propria fuga da una situazione divenuta ormai insostenibile, causata dalle violenze diffuse e incontrollate contro gli africani-americani, che ormai dilagavano nella capitale dell’Arkansas e che suscitavano fra l’altro concreti timori per la sorte delle due figlie. 

Poco dopo l’arrivo a Chicago, Florence Price divorziò dal marito, responsabile di pesanti maltrattamenti nei suoi confronti, scegliendo però di conservarne sempre il cognome. Ma i problemi familiari e le difficoltà legate anche alla situazione economica generale (erano gli anni della Grande Depressione) non le impedirono di affermarsi non solo nella evoluta e brillante società africana-americana attiva in questa città, ma anche nel mondo dei bianchi.

Fra gli Anni Venti e i primi Trenta, Chicago era – insieme a New York – una vera e propria capitale della musica, che attirava interpreti di tutti gli stili e i generi, dal jazz – lì, fra l’altro, viveva a quell’epoca Louis Armstrong – alla classica. Costante era l’attenzione della critica per questa vasta e diversificata attività musicale, specialmente da parte del settimanale The Chicago Defender, antica testata fondata nel 1905 e rivolta alla comunità africana-americana. A quell’epoca, questa pubblicazione di fondamentale importanza nella storia del giornalismo USA era dotata di un’edizione locale e di una nazionale: oggi è ancora attiva, sia pure da alcuni anni solo in versione digitale sul web.

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Florence Price al lavoro al pianoforte.

La brillantezza creativa di Florence Price, resa fervida dal contatto con i protagonisti del blues, del gospel, di sound africani-americani di ogni tipo, che ascoltava nelle innumerevoli sedi musicali della città in cui abitava, ebbe una crescita molto significativa, che la portò rapidamente in primo piano. Il culmine della sua carriera reca la data del 15 giugno 1933, quando la Chicago Symphony, diretta da Friedrich Stock, eseguì la sua Sinfonia n. 1 in Mi minore, la composizione vincitrice, l’anno prima, dell’importante premio Wanamaker destinato ai compositori africani-americani. Fu un grandissimo successo: Price diventava così la prima compositrice nera ad essere eseguita da una “major orchestra”, come gli americani chiamano le formazioni strumentali principali del loro Paese. 

In questa composizione di ampie proporzioni, il modello stilistico, specialmente nel primo movimento, è quello di Dvořák e della sua popolarissima Sinfonia Dal Nuovo Mondo, scritta mentre si trovava a New York. L’elaborata adesione di Price al patrimonio musicale africano-americano è evidente specialmente nel secondo movimento, in sostanza uno Spiritual in versione orchestrale basato su un tema pentatonico (secondo l’esempio del Largo della Sinfonia di Dvořák), mentre il terzo movimento fa riferimento, come si diceva, alla danza fitta di ritmi sincopati chiamata Juba. Dal punto di vista formale, si nota un certo squilibrio: nei circa 40 minuti di questa vasta partitura, il primo movimento dura quasi quanto gli altri tre insieme, e anche il secondo è fin troppo sviluppato. Nel giro di pochi anni, Price avrebbe messo a punto l’equilibrio necessario, realizzando con la sua Terza Sinfonia una composizione più coesa e proporzionata. Di entrambe le partiture è recente (2021) e assai pregevole l’incisione pubblicata dalle Deutsche Grammophon, protagonista la Philadelphia Orchestra diretta da Yannick Nézet-Séguin.

Così, nel decennio in cui la musica europea andava quasi generalmente nella direzione del “ritorno all’ordine” neoclassico auspicato da Cocteau, la musica composta dagli autori africani-americani negli Stati Uniti trovava la dimensione di uno stile originale e a suo modo innovativo, oltre l’adesione espressiva a certi moduli romantici, che del resto nel Paese andavano per la maggiore, come dimostrano le fortune compositive e concertistiche di figure come Sergej Rachmaninov. È significativo il fatto – osserva Rae Linda Brown – che la Sinfonia n. 1 di Price sia al centro di una trilogia iniziata da William Grant Still nel 1931 con una Afro-American Symphony e completata nel 1934 con la Negro Folk Symphony di William Dawson. Quest’ultima portata al debutto addirittura dalla Philadelphia Orchestra diretta da Leopold Stokowski. Era l’età dell’oro della Afro-Romantic Music, sorta di diramazione colta della cosiddetta “Harlem Renaissance”, ma solo Still avrebbe conseguito una notorietà ampia e stabilmente riconosciuta, arrivando anche ai principali teatri come compositore operistico. 

Per Florence Price iniziava invece una sorta di lenta traversata nel deserto, resa tale da quelli che in un’altra delle sintomatiche lettere a Koussevitzky aveva definito i suoi due handicap: il sesso e la razza. Un percorso dentro a pregiudizi duri a morire anche oggi, nel secondo Novecento molto più pesanti, ai quali cercò di contrapporre senza troppo successo la sua forza creativa e anche un’attiva presenza nelle attività associative dei compositori africani-americani. Dopo la sua morte, con la sola eccezione della decisione di intitolarle nel 1964 una scuola elementare nei sobborghi di Chicago, l’oblio (una reputazione fantasmatica, l’ha definita uno studioso) è proseguito fino al casuale ritrovamento della maggior parte della sua musica. Un evento straordinario, grazie al quale oggi si può ben dire che per l’arte di Florence B. Price è arrivato il momento del riconoscimento.

Questo articolo è stato pubblicato nel catalogo del festival Vicenza Jazz – Maggio 2023.

In copertina, Florence Price con una delle due figlie nel giardino di casa, nei sobborghi di Chicago.

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