Rachmaninov, il virtuoso che visse due volte

1 Aprile 2023

In una delle scene più divertenti di Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder, il protagonista immagina di sedurre con l’aiuto della musica l’affascinante inquilina del piano di sopra, Marilyn Monroe. Scartati Debussy, Ravel e Stravinskij (al veleno la battuta a proposito di quest’ultimo: «Stravinskij no, può spaventarla»), la scelta cade sul secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov. Fin dalle prime note, con il tenebroso attacco dello strumento solista, l’immaginazione galoppa. Lui si vede alla tastiera, abbigliato con una giacca da camera di raso rosso, lei compare avvolta in un elegantissimo abito da gran sera e l’effetto della musica è immediato: «Rachmaninov! È sleale – esala la divina Marilyn mentre il primo tema scorre cupo fra gli archi –. Ogni volta che lo sento mi distrugge… Come mi scuote, mi dà i brividi, ho già la pelle d’oca dappertutto… Io non so dove sono, o chi sono, o cosa faccio…». La fantasia s’interrompe quando il campanello di casa suona all’improvviso e invece della bellissima, eterna finta svampita, compare un intrigante facchino. Il protagonista fatica a liberarsene, ma nel frattempo il Concerto di Rachmaninov è ripartito da capo, con un effetto grottesco che suggella tutta la scena, costruita sul paradossale e sul parodistico.

Il film che avrebbe consacrato definitivamente l’attrice americana nell’immaginario del XX secolo, in virtù della celebre inquadratura con la gonna sollevata dall’aria che esce dalla griglia della metropolitana, uscì nel 1955. Rachmaninov – nato 150 anni fa, il 1° aprile 1873 e scomparso 80 anni fa, il 28 marzo 1943 – era già passato a miglior vita da oltre un decennio, ma non cessava di essere autore di straordinaria notorietà, suscettibile perfino di diventare a suo modo un’icona della cultura pop, come dimostra l’uso della sua musica fatto appunto dal cinema. Sempre a caccia, almeno allora, di colonne sonore intrise di lirismo, passione, sentimentalismo, sia pure per farne un uso spassosamente satirico, come nel caso di Wilder. Che si era preso gioco della maniera in cui il secondo Concerto era stato impiegato dieci anni prima dal regista inglese David Lean in un film di notevole successo, che nel 1946 fu tra i vincitori della prima edizione del festival di Cannes, intitolato Brief Encounter (Breve incontro). Come ha scritto Callisto Cosulich, la storia di un adulterio sfiorato e non consumato fra due mediocri esponenti della middle class britannica.

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Al di là delle schermaglie cinematografiche, lirismo, passione e sentimentalismo restano i marchi di fabbrica di un musicista passato con apparente indifferenza attraverso i turbini della modernità nella prima metà del Novecento, legato com’era alla tradizione tardo-ottocentesca sia nell’uso delle forme musicali che nell’esercizio delle funzioni di pianista-compositore, secondo una prassi che aveva avuto il suo fulgore molto tempo prima, ma che garantiva comunque carriera, visibilità, successo.

Il secondo Concerto, scritto fra il 1900 e il 1901, è in particolare quello della svolta verso la fama planetaria: un affresco dalle tinte scure e dall’invenzione turgida, a tratti congestionata. Primo e ultimo movimento sono la scena di una vera e propria “battaglia” fra lo strumento solista e un’orchestra di wagneriana ricchezza e complessità, lungo temi dalla connotazione melodica intensa e abilmente retorica, armonicamente efficace nel creare un continuo contrasto fra tensione e risoluzione espressiva. Inutile dire che si tratta di un campo minato per il solista, chiamato a un virtuosismo acrobatico non disgiunto però dalla musicalità. L’Adagio sostenuto che sta nel mezzo è il luogo di un’accensione lirica molto più introspettiva e autentica, mentre l’orchestra frange i suoi timbri in nitidi particolari, tutti da gustare.

Composta a 27 anni, questa partitura rimane la più famosa e la più eseguita sia dal suo stesso autore che da generazioni di pianisti che ne perpetuano ancora oggi la saldissima presenza nel repertorio. Rachmaninov l’aveva scritta dopo essere uscito dalla profonda crisi causata, nel 1897, dal fiasco della sua prima Sinfonia (ne avrebbe scritte in tutto tre), che gli aveva causato un vero e proprio blocco creativo. Fino a quel momento, egli era stato uno dei più brillanti talenti emergenti della musica russa sul finire del XIX secolo, erede designato di Cajkovskij.

Rampollo di una famiglia di antica nobiltà dalle inclinazioni musicali ricorrenti attraverso le generazioni, peraltro ridotta in rovina dal padre (che aveva dissipato i propri averi e la dote assai cospicua di sua moglie), dopo un infelice approccio al conservatorio di San Pietroburgo il ragazzo era stato mandato dai genitori a studiare in quello di Mosca. Qui aveva bruciato le tappe, diplomandosi in anticipo, prima dei vent’anni, sia in pianoforte che in composizione e iniziando una promettente carriera come solista al pianoforte e come direttore d’orchestra, ma avendo come vero obiettivo artistico ed esistenziale la composizione, alla quale si dedicava intensamente non solo scrivendo pagine per il suo strumento, da solo o accompagnato dall’orchestra, ma dedicandosi anche alla musica da camera, vocale e strumentale. 

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Il fallimento della prima Sinfonia fu un trauma dal quale Rachmaninov fece molta fatica a riprendersi. Per aiutarlo, la famiglia lo mandò a parlare con Lev Tolstoj, ma l’effetto dell’incontro fu controproducente: al giovane che gli raccontava il suo tormentoso blocco creativo (elaborato con una pericolosa inclinazione per la vodka), il grande scrittore rispose limitandosi ad esortarlo a lavorare. Decisivo, invece, fu il trattamento antidepressivo con sedute di ipnosi impartitogli dal medico Nikolaj Dahl, al quale Rachmaninov riconobbe grande merito nel superamento della sua crisi: a lui è infatti dedicato il secondo Concerto per pianoforte, la composizione della rinascita.

Dopo gli anni di apprendistato e la crisi, iniziava la “prima vita” di Rachmaninov. Era un virtuoso di altissimo livello e le sue composizioni raccoglievano l’ammirazione del pubblico. Né aveva a rinunciato a cimentarsi con l’opera, scrivendo gli atti unici Il cavaliere avaro da Puškin e Francesca da Rimini dalla “Divina commedia”, entrambe in scena nella stessa serata al Bolshoi nel gennaio del 1906 ma oggi assai raramente rappresentate. Sono partiture che fanno rimpiangere che quest’autore abbia poi abbandonato il genere teatrale.

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Pur restando saldamente legato alle sue radici e alla famiglia (aveva nel frattempo sposato una sua prima cugina, dalla quale ebbe due figlie), il musicista condusse in quel periodo un’esistenza cosmopolita, risiedendo per alcuni anni a Dresda e viaggiando con molta frequenza in Europa per i suoi tour concertistici. Nel 1909 si recò anche negli Stati Uniti, dove raccolse un clamoroso successo. Sono di quest’epoca la maggior parte delle pagine alle quali, oltre che al secondo Concerto, è consegnata la fama di Rachmaninov e la sua presenza nel repertorio: il terzo Concerto per pianoforte (1909), la seconda Sinfonia (1906-07) e alcuni Poemi sinfonici (fra i quali L’isola dei morti, 1909, ispirato al celebre dipinto simbolista di Arnold Böcklin); quasi tutte le pagine per pianoforte solo, fra cui le due celeberrime raccolte di Preludi (1903 e 1910), gli Études-tableaux (pure due raccolte: 1911 e 1916-17) e le due Sonate (1907 e 1913).

A queste composizioni del primo quindicennio del XX secolo va aggiunta la pagina solistica forse più nota ed eseguita in assoluto – il Preludio per pianoforte in Do diesis minore dai Morceaux de Fantaisie op. 3, che risale al 1892 (quando cioè l’autore aveva 19 anni). Cinquant’anni più tardi, questa musica sarebbe stata al centro della visita del compositore agli Studi Disney di Hollywood. In quell’occasione venne proiettato uno dei primi film di animazione con Topolino, il cortometraggio The Opry House (1929), alla fine del quale il personaggio suona appunto – in maniera ovviamente caricaturale – il Preludio in Do diesis minore, con i suoi tenebrosi e martellanti accordi discendenti iniziali. «Ho ascoltato questo pezzo meravigliosamente eseguito dai migliori pianisti e massacrato crudelmente dai dilettanti, ma non mi sono mai commosso come per l’esecuzione del grande maestro Mickey Mouse», avrebbe detto Rachmaninov a Walt Disney, secondo il suo biografo Sergej Bertensson. Una battuta che contraddice la diffusa immagine del virtuoso che non sorrideva mai, chiuso in una apparentemente irrimediabile cupezza: una tetraggine alta quasi due metri, secondo l’acida battuta del suo compatriota Igor’ Stravinskij.

Gli eventi che cambiarono la storia della Russia nel 1917 ebbero l’effetto di interrompere bruscamente e per sempre la “prima vita” di Rachmaninov, che fino a quel momento si era diviso fra l’attività concertistica e quella compositiva, di preferenza esercitata durante i mesi estivi, quando si trasferiva da Mosca alla tenuta di Ivanovka, eredità della famiglia della moglie. Se aveva accolto in maniera positiva la caduta dei Romanov dopo la Rivoluzione di Febbraio, fin dall’estate il compositore si era accorto che il suo mondo stava tragicamente cambiando, facendolo sprofondare in una sorta di febbrile angoscia. Poche settimane dopo la Rivoluzione d’Ottobre, con la salita al potere dei bolscevichi, colse quindi al volo la prima possibilità di tagliare i ponti con il passato, decidendo di fuggire in Occidente. L’occasione giunse con l’inatteso invito a tenere alcuni concerti in Svezia: con la famiglia raggiunse la frontiera finlandese in treno da Pietrogrado, lasciandosi tutto alle spalle. La Vigilia di Natale del 1917 i Rachmaninov arrivarono a Stoccolma, dopo avere percorso il tratto dalla frontiera finlandese a quella svedese nel cuore della notte su una slitta scoperta. Meno di un anno più tardi, sbarcavano a New York.

Rachmaninov aveva deciso che la sua principale attività sarebbe stata quella del concertista internazionale basato negli Stati Uniti, dove gli venivano garantiti ingaggi assai cospicui e dove il pubblico lo adorava fin dalla sua prima tournée del 1909. Cominciava allora la sua “seconda vita”, dedicata quasi esclusivamente all’attività di virtuoso della tastiera. Un ruolo sostenuto con assoluta professionalità, studio incessante e di metodica umiltà, grande attenzione alla promozione, come si direbbe oggi, con molteplici interviste a riviste e periodici specializzati. Significativa ma non particolarmente ampia l’attività in sala di registrazione: sono disponibili oggi le versioni digitali di alcune decine di rulli di pianoforte e poche incisioni discografiche per l’etichetta Rca: documenti preziosi per capire la sua arte come pianista. L’evidente predilezione del pubblico si scontrava spesso con l’intransigenza o la diffidenza della critica. Forse per questo, l’insoddisfazione nei confronti di sé stesso rimase un tratto caratteristico della sua personalità fino all’ultimo, come emerge dal suo epistolario e da innumerevoli testimonianze biografiche 

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Fu sempre molto legato al modo di vivere russo, alle tradizioni del suo Paese di origine, puntigliosamente conservate dovunque scelse di abitare, dalla East Coast alla California. Si astenne sempre dall’intervenire nelle vicende politiche dell’Urss staliniana, salvo nel 1931, quando insieme a due compatrioti in esilio scrisse al New York Times una lettera di critica alle politiche della madrepatria. In quell’occasione, peraltro solo brevemente, la sua musica conobbe in Russia una qualche forma di ostracismo, peraltro ben presto superata. Prima e dopo, i lavori di Rachmaninov sono sempre stati eseguiti e amati in Unione Sovietica. E hanno continuato a esserlo dopo la caduta del comunismo. Quanto al musicista, non esitò a fornire un supporto anche concreto, per esempio inviando un aiuto economico all’Armata Rossa all’inizio della Seconda guerra mondiale. 

Secondo i calcoli dello storico del pianoforte Piero Rattalino, dall’inizio del 1919 al febbraio del 1943, un mese e mezzo prima della morte (avvenuta a Beverly Hills, in California, dove aveva acquistato la sua ultima casa), Rachmaninov ha tenuto 1.204 concerti, 216 dei quali in Europa, suonando in oltre 200 città americane e in molte europee, non esclusa Milano, dove alla Società del Quartetto andò a sentirlo Arturo Toscanini. Per quasi 25 anni, una media di sette concerti al mese fra autunno e primavera, mentre il periodo estivo – proprio come in Russia – era riservato allo studio e alla composizione. Dal 1933 allo scoppio della guerra, lo passò in una villa sul lago di Lucerna.

Tuttavia, la composizione ha avuto nella “seconda vita” di Rachmaninov un ruolo decisamente meno importante rispetto agli anni russi. Dal 1918 in poi, il suo catalogo comprende appena sei lavori, quasi tutti per orchestra e/o con pianoforte, fra i quali il quarto Concerto (1926), la Rapsodia su un tema di Paganini (1934), le Danze Sinfoniche (1940). Si tratta però di partiture che spesso mostrano come in realtà il musicista non fosse del tutto impermeabile a quanto la musica era venuta elaborando dall’inizio del secolo. Lo dimostrerebbe ad esempio la sofisticata struttura delle Rapsodia – costituita da 24 Variazioni sul celebre Capriccio n. 24 per violino solo di Niccolò Paganini –, che elabora la forma tripartita del Concerto tradizionale con tecniche compositive raffinate, dalle quali emerge, sintomaticamente, la presenza del tema tradizionale del Dies Irae, che le più recenti acquisizioni storico-musicologiche hanno dimostrato essere un elemento ricorrente quasi ossessivo in tutto l’arco creativo di Rachmaninov. 

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Accompagnato almeno fino agli Anni Ottanta da valutazioni storico-critiche sostanzialmente negative, Rachmaninov rimane oggi un caso particolare nella musica del Novecento. Alla sua epoca celebre come virtuoso, oggi è amato dal grande pubblico per le sue composizioni, sfida esecutiva alla quale nessun grande pianista può sottrarsi. Le celebrazioni del centocinquantenario della nascita sono significativamente iniziate negli Stati Uniti con un progetto senza precedenti: alla fine di gennaio la Philadelphia Orchestra, la formazione americana con cui il musicista ebbe il rapporto più fervido e profondo quand’era guidata da giganti come Leopold Stokowski ed Eugène Ormandy, e la pianista cinese Yuja Wang, brillantissima star globale della tastiera, hanno proposto alla Carnegie Hall di New York una “maratona Rachmaninov”. Nella stessa serata, con la direzione di Yannick Nézet-Séguin, sono stati eseguiti tutti quattro i Concerti per pianoforte e la Rapsodia su un tema di Paganini, quasi tre ore di musica. Clamoroso e per nulla sorprendente il successo. Perché forse la modernità musicale ha solo sfiorato Rachmaninov, ma il musicista che nella sua vita incontrò sia Tolstoj che Walt Disney non cessa di avere il suo spazio nell’attualità.

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