Il Miracolo del Torello / Cartolina da Addis Abeba

4 Maggio 2018

Il lato sud di Piazza Meskel è un enorme anfiteatro con innumerevoli spalti di terra battuta sui quali fin dalle prime ore del giorno si assiepano moltissimi corridori per percorrerne avanti e indietro l’intera lunghezza, sfidando il fitto smog di Addis Abeba. Il colpo d’occhio è notevole, le maglie degli atleti si incrociano ad altezze diverse, puntini colorati sull’immenso sfondo di terra e cemento. Si dice che percorrendo tutti i gradoni si completi una mezza maratona. Quegli spalti furono costruiti da un architetto ungherese durante il regime del Derg, negli anni 70’, perché il popolo potesse assistere alle parate militari. Alle loro spalle dominavano le tre statue di Marx, Lenin e Menghistu, la «Nuova Trinità». Prima ancora la Piazza era il luogo sacro di inizio della Festa del Meskel, dove l’Imperatore Hailé Selassié accendeva il falò dando il via alle celebrazioni accanto alla Chiesa di Santo Stefano. Adesso una parte di quella storia è stata riposta in un Museo (del Terrore Rosso) in un angolo della Piazza e, accantonati gli sfarzi bellici, la gente si è riappropriata delle tribune per l’esercizio fisico quotidiano.

Dalla parte opposta delle tribune la Piazza Meskel è delimitata da un immenso viale nel quale convergono le principali arterie della capitale etiope e su cui si affacciano le sedi delle più importanti società locali. Un’intera carreggiata è sovrastata da un passaggio ferroviario sopraelevato. Si tratta dell’indiscusso epicentro della capitale e dei suoi tre milioni di anime e il traffico è intenso ad ogni ora del giorno e della notte. 

 

 

Nel mezzo, avvolta dall’abbraccio dell’anfiteatro e fino al vialone trafficato, non c’è nient’altro che un’enorme distesa di cemento, con vista sui pochi grattacieli della città. Un cemento grezzo, irregolare, che alla prima pioggia si riempie di pozzanghere.

È su questo spiazzo su cui, ogni santo giorno, si avvera il Miracolo del Torello.

 

Campo largo 

 

L’osservatorio privilegiato per capire la portata del Miracolo è quello dei gradoni più alti della tribuna. Da lassù si vedono uomini – e anche diverse donne – di ogni età formare una moltitudine di cerchi di diverse dimensioni. Nel mezzo di ogni cerchio, in perenne movimento, uno o due uomini rincorrono un pallone. I cerchi, seguendo il movimento del pallone, tendono a stringersi e ad allargarsi, sfiorandosi ma senza mai toccarsi in un movimento organico che ha un potere ipnotico ancora superiore rispetto a quello del suo controcampo, con le linee orizzontali tracciate dai podisti che arano i gradoni con le loro falcate. 

 

 

Nei giorni festivi il respiro di questi cerchi occupa praticamente la metà della piazza, per una superficie equivalente a quella di almeno una dozzina di campi da calcio. Addis è una città che alterna addensamenti umani notevoli, nei mercati e nelle baraccopoli, a una sorprendente linearità di traiettorie, di persone che camminano sui marciapiedi di lunghissime strade. Geometrie distinte di una stessa frenesia che sembra tuttavia placarsi nella danza di queste forme cangianti dal cerchio all’elicoidale, che da lontano sembrano pulsare a un ritmo lento e costante.

 


Il colpo d’occhio è semplicemente sensazionale sia per la sua geometrica armonia, sia per il simbolismo semplice dell’elemento ludico che si riappropria dello spazio, nel cuore della città, coinvolgendo persone di ogni sesso ed età. Se alcuni cerchi sono formati da amici, o comunque da persone che si danno un appuntamento, altri sono completamente improvvisati e aperti a chiunque voglia partecipare. Io vengo dalla provincia di Milano, da uno di quei paesi in cui tra cortile, oratorio e club dilettantistico il calcio era elemento di coesione supremo. Nelle città europee questa funzione di coesione del calcio si è chiaramente smarrita. Se è vero che non si può dire lo stesso per l’Africa (e in parte per il Sudamerica), è vero che nella Piazza Meskel assume una proporzione straordinaria, facendosi icona perfetta dello sport e del calcio come momento aggregativo.

E il tutto sublimato dal fatto che di calcio si tratta, ma di calcio svuotato dall’elemento finalistico del goal. In cui le squadre sono sempre due, ma senza alcuna forma di simmetria, come se le affinità con «guardie e ladri» non fossero inferiori rispetto a quelle con una normale partita. Si dice «il gioco del calcio», ma il torello sembra ancora più gioco.

 

 

Scendendo di qualche gradone, si distinguono meglio i colori delle maglie. Molti dei giocatori portano casacche delle squadre europee, e a un primo sondaggio sembra che la Premier League sia il campionato più seguito, come del resto in tanti altri paesi africani dai tempi dei trascorsi al Chelsea di Drogba. Ma anche il passaggio di Eto’o al Barcellona ha lasciato un segno profondo, così come il vecchio fascino della Serie A (a poche centinaia di metri dalla piazza esiste ancora il Juventus Club, ristorante gestito da una famiglia italiana restata in Etiopia dopo la decolonizzazione e dove è possibile vedere le partite del campionato italiano). Ci sono anche diverse maglie gialle e verdi della nazionale Etiope, che dopo la vittoria di una Coppa d’Africa in casa, nel 1962, non ha più raggiunto alcun risultato significativo e si è qualificata una sola volta per le fasi finali della Coppa. Non ho gli elementi per dire se la Piazza Meskel sia in qualche modo metaforica dell’approccio etiope al calcio, ma se così fosse si potrebbe tranquillamente dire che gli etiopi sono bravi a giocare, ma non a vincere.

 

Close up

 

Perché a giocare, effettivamente, sono bravissimi. Basta infatti continuare la discesa fino alle prime file degli spalti, e poi giù fino ad avvicinarsi ai giocatori, per capire fino in fondo il Miracolo del Torello e rendersi conto dell’impressionante livello tecnico medio dei giocatori, e delle loro eccellenza nella gestione dei fondamentali. Lo smarcamento, la lettura del gioco e dei movimenti dei compagni prima ancora della ricezione, il controllo di palla, il tocco sullo stretto e talvolta il passaggio lungo a cambiare il gioco, moltiplicando la frustrazione di coloro che devono attraversare nuovamente il cerchio per andare a recuperare il pallone. L’esercizio quotidiano in un gioco che prevede la privazione dell’elemento fondante del calcio, ovvero la verticalizzazione verso la porta avversaria, rende i giocatori molto bravi nel percepire l’ampiezza dello spazio e allo stesso tempo la modulazione del cerchio e delle variazioni del suo diametro. Osservando le qualità del palleggio si capisce perché il torello resti un gioco di base sia nelle scuole calcio, sia per le squadre professionistiche.

 

 

Anche le dinamiche di coloro che cercano di recuperare il pallone, quando sono in coppia, sono tutt’altro che banali e spesso dimostrano una notevole capacità di gioco di squadra. Da momenti di assalto a due, quando i portatori sono in difficoltà o il cerchio perde la sua capacità di allargarsi facendo scorrere il pallone sull’esterno. Oppure in un asse in cui un giocatore porta il primo pressing mentre il secondo copre le linee di passaggio più lunghe. I sincronismi appaiono anche qui molto ben rodati.

Tutto quello che ho descritto è, per un amante del calcio, un piacere allo stesso tempo profondo e sottile, e consiglio a tutti coloro che dovessero passare da Addis Abeba di non rinunciare a una visita – peraltro solitamente inevitabile – per la Piazza Meskel. E soprattutto consiglio di non svilire il momento con la foga di voler vedere tutto subito. Bisogna prima faticare e rischiare di impantanarsi per salire fino in cima ai gradoni, dove si domina la piazza. E solo successivamente scendere lentamente fino al cemento. Solo così si potrà apprezzare a pieno il Miracolo del Torello.

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