Barconi profughi e intellettuali

11 Maggio 2015

Dove sono ora Jean-Paul Sartre e Raymond Aron? Su una vecchia foto, che gli archivi digitali ci restituiscono in bianco e nero sottraendoci il piacere dell'ingiallito d'antan che faceva pure il suo effetto. Ma quella foto del 1979, in cui il più imprevedibile e radicale dei filosofi gauchisti si recava “mano nella mano” all'Eliseo insieme al più liberale degli intellettuali della destra repubblicana francese, il suo effetto lo fa comunque. Era la religione universale e umanistica dell'“engagement”, dell'impegno, a unirli di fronte alla tragedia dei boat people dal Vietnam e dalla Cambogia, precipitati in soli quattro anni dalla guerra di liberazione alla galera del comunismo. Guardate le immagini di allora: non assomigliano a quelle dei boat people di oggi? Uomini, donne e bambini seminudi che annaspano nel mare, corpi dai riflessi ambrati luccicano abbrancicati a scheletri di barche. Altri corpi di cui intravvediamo a pelo d'acqua solo la schiena, gambe e braccia larghe irrigidite nell'ultimo spasimo.

 

Allora tutto questo avveniva nel golfo che i giornali francesi ora chiamano come un tempo “del Siam”; oggi tutto questo avviene – come sappiamo fin troppo bene – nel canale di Sicilia. Ma non è certo la distanza geografica a cambiare lo scenario, piuttosto l'abissale distanza emotiva. La mobilitazione della più improbabile delle coppie – Sartre & Aron – portò alla mobilitazione di un Giscard d'Estaing inizialmente riluttante e poi della Francia intera: sindaci, vescovi, associazioni laiche e religiose. Partirono navi per il salvataggio dei profughi, un battello di Médecins sans frontières capitanato da Bernard Kouchner incrociava le rotte dei disperati. Alla fine ne vennero salvati 130 mila solo dalla Francia, in tutto 380 mila tra resto d'Europa, America e Australia. I vietnamiti fuggiti dal paese furono non meno di due milioni e Sylvie Kauffmann ci ricorda su Le Monde che secondo i calcoli di allora perirono in mare annegate o massacrate dai pirati malesi tra le 200 e le 250 mila persone.


La Francia riguarda quella vecchia foto e si chiede: dove sono i Sartre e gli Aron d'oggi? Certo non mancano le raccolte di firme e gli appelli, in Italia su Micromega si può leggere quello promosso da Barbara Spinelli. Ma perché la “vergogna” denunciata su La Stampa di domenica da Enzo Bianchi che si “esprime nell'insana convinzione di poter creare barriere impenetrabili all'anelito di vita di intere popolazioni”? Dove, quando, come è avvenuta una simile frattura nell'idea stessa di umanità che ha portato l'olandese Mark Rutte, premier del partito Popolare, a dire in Consiglio europeo: “L'ultima volta che ho guardato la carta geografica, la Libia era in Africa, non in Europa”?


C'è una spiegazione lontana che risale a quegli anni, quando il mondo era diviso in due e produceva – a maggior ragione – passioni partigiane. Dopo la grande sbornia collettiva filo Vietnam, la fuga di massa dal paradiso di Ho-Chi-Minh è stato insieme uno choc e una rivincita per intellettuali e opinione pubblica non - e anticomunista. In Italia non accadde perché l'imbarazzo di fronte agli oppressi vietnamiti che diventavano oppressori fu enorme e la subalternità di fronte al mito della guerra antimperialista e anti Usa invincibile. Certo si può dire che la Francia aveva il suo passato coloniale in Indocina da farsi perdonare; ma anche in Siria e Libano Parigi ha tenuto il suo mandato nella prima metà del 900, eppure di fronte ai 2-3 milioni di siriani in fuga dal proprio paese François Hollande ha detto che la Francia potrà accoglierne tra 5 e 700.


C'è profugo e profugo e anche in questo caso la divisione ideologica del mondo di allora attribuiva etichette che funzionavano come certificati di garanzia: anticomunisti e dunque della nostra parte. Nella divisione del mondo che si sta formando in questa nostra confusa contemporaneità, a parte la propria povertà, chi rappresenta questa umanità che si presenta sulle nostre coste? E non è che tra loro si nasconde anche qualche terrorista?


C'è poi qualcos'altro ancora: nessun politico oggi è in grado di sostenere una politica che preveda anche la più piccola apertura agli stranieri, fosse anche per le più nobili ragioni umanitarie. Il premier britannico David Cameron, il più vicino alla scadenza elettorale, ha detto chiaramente: “Possiamo mandare una nave in aiuto, ma i profughi vanno sbarcati nel paese più vicino”. E cioè l'Italia. È quella che in Francia si chiama la “lepenizzazione degli spiriti” e che si può tradurre politicamente in questo modo: non affannatevi a fare previsioni su chi vincerà le prossime elezioni, perché le ha già vinte Madame Le Pen. I commentatori che all'indomani delle elezioni dipartimentali hanno salutato la vittoria di Sarkozy come il successo di un moderato capace di battere il lepenismo non si sono accorti che sul terreno sociale l'ex presidente della République parla ormai lo stesso linguaggio di Marine Le Pen. Certo non propone l'uscita dall'euro e la rottura con Bruxelles, ma intanto ha dato ragione a Putin sulla Crimea e non è poca cosa. E non ci sono nemmeno più Sartre e Aron – i “fratelli nemici” – a denunciarlo: il sorriso con cui suggellarono il loro incontro resta confinato in quella vecchia foto del 1979.

 

 

 

Questo testo è stato pubblicato da "La Stampa"

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