Menti tribali: l’ideologia in testa

18 Novembre 2013

È sbagliato fare sesso con una gallina morta? E con tua sorella? Qualcosa in contrario al defecare in un urinale? Se il tuo cane muore, perché non mangiarlo? Quesiti morali a cui tutti sappiamo dare una risposta. Forse. Per capire cosa succede alla mente umana di fronte a domande come queste Jonathan Haidt, psicologo della Università della Virginia, ha sottoposto un campione di circa 130mila americani a un'analisi delle loro reazioni.

 

La conclusione è: la ragione non comanda. Di fronte a domande morali, raggiungiamo subito una conclusione, solo in seguito produciamo giustificazioni di ciò che abbiamo deciso. Sappiamo che qualcosa è sbagliato, poi stabiliamo il perché. «La ragione non funziona come un giudice imparziale che soppesa le prove o come un’insegnante che ci guida verso la saggezza. Si comporta piuttosto come un avvocato o un ufficio stampa: difende e giustifica agli altri le nostre azioni e i nostri giudizi», sostiene Haidt. Secondo lo psicologo non è altro che la conferma di quanto sosteneva Hume nel secondo libro del suo Trattato: «la Ragione è la schiava delle Passioni».

 

Questa idea della mente umana è al centro dell'ultimo, discusso, lavoro di Haidt: Menti tribali: Perché le brave persone si dividono su politca e religione (Codice, 2013. In originale: The Righteous Mind: Why good people are divided by politics and religion, Pantheon, 2012). La domanda da cui parte Haidt è: perché non riusciamo a superare le divisioni tra destra e sinistra? «Perché non siamo progettati per ascoltare le ragioni altrui», la sua risposta. «La mente funziona come un elefante guidato da un fantino», scrive lo psicologo.

 

 

 

Il pachiderma sta per le nostre intuizioni morali, l'omino che le guida interpreta la ragione. Che cosa c'entra questo con la politica? L'immagine può aiutarci a mettere da parte alcune visioni ideologiche. Come quella per cui il posizionamento politico è dettato dall'interesse individuale. «Secondo questa impostazione ricchi e potenti vogliono conservare; poveri e lavoratori vogliono cambiare (o almeno lo vorrebbero se acquisissero coscienza della propria condizione, dicono i marxisti)», scrive Haidt. Ma è sotto gli occhi di tutti che il nesso tra classe sociale e ideologia si è rotto da un pezzo: i ricchi votano sia a destra sia a sinistra e così la classe operaia.

 

Eppure c'è chi non riesce a farsene una ragione: «Sei intelligente. Sei di sinistra. Credi che quelli di destra abbiano una mente limitata. Non capisci perché i poveri li votino. Immagini che siano stati fatti fessi. Ti sbagli», ha scritto William Saletan sul New York Times commentando il libro. L'idea di Haidt è comune ad altri teorici della mente politica come George Lakoff (l'autore di Non pensare all'elefante): gli individui non sono guidati solo da calcoli di convenienza. Se vuoi convincere gli altri, devi richiamarti ai loro sentimenti. Haidt va oltre: non vuole spiegare come vincere, la politica non è solo manipolare chi non è d'accordo con te,  puoi anche imparare dagli altri.

 

 

In questo si discosta dagli altri analisti delle sconfitte della sinistra, i sostenitori della teoria per cui la destra vince perché è più abile a manipolare le convinzioni dell'elettorato. Secondo Haidt «i successi elettorali sono vittorie nella sfida evolutiva. Se i messaggi della destra funzionano, è perché c'è qualcosa di valido. Sbaglia chi tratta i successi della destra come una patologia della razionalità». (Avvertenza: il professor Haidt si dichiara «un liberal».)

 

Se torniamo alle domande iniziali, i soggetti interrogati di fronte alla richiesta di spiegazioni dei loro giudizi, sollevano dubbi sulla proprietà del pollo, l'eventuale consenso e maggiore età della sorella, il possesso dei servizi igienici. «Questo perché di solito pensiamo alla morale in termini di diritti, danni subiti, equità, autorizzazioni concesse». Bene, secondo Haidt «questa visione è limitata». Basandosi sulle risposte al questionario disponibile sul suo sito Moralfoundations.org, il ricercatore afferma che i pilastri della nostra morale sono sei idee fondamentali: cura, equità, libertà, lealtà, autorità, santità. Lo psicologo qui usa l'immagine di una lingua con sei recettori del gusto. A questo punto arriva la sua tesi più discussa: i conservatori hanno una mente più ampia di quella dei liberal.

 

La loro «lingua morale» sente più sapori. «Di solito chi si colloca a sinistra attiva solo due dei ricettori: quelli legati alla libertà e all'equità. Ma la nostra morale profonda è più complessa». In altre parole: i Tea party avrebbero una mente più aperta di quella dei democratici. «Sentono» anche le questioni che riguardano lealtà, autorità, santità. Sta qui il «vantaggio evolutivo» della destra rispetto alla sinistra; secondo lo studioso americano, i progressisti farebbero bene a tenerne conto.

 

Nel campo delle teoria sulla mente politica il cambio di linea è notevole: dal «Non pensare all'elefante» di Lakoff si passerebbe al «Dovresti parlare all'elefante» di Haidt. Un passaggio possibile? Haidt ci crede e lo spiega con una terza metafora: «Al 90% siamo come scimpanzé, ci comportiamo da individualisti, ma c'è un 10% di noi che funziona come le api. Siamo cooperativi, nati per vivere in comunità. Per superare le divisioni basta ricordarsi di ciò che ci distingue dalle scimmie». E ricordarsi della doppia natura della moralità: «è qualcosa che ci lega (binds) e ci acceca (blinds). E questa non è una cosa che capita solo a chi sta dall'altra parte».

Una prima versione di questo articolo è uscita su IL del Sole 24 Ore

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